5 gennaio 2005
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Cercola Guido
• Nato a Roma nel settembre 1944, morto a Sulmona il 2 gennaio 2005 (suicida in carcere). Mafioso. Condannato per la strage del rapido 904 (Natale 1984). «Ha legato i lacci delle sue scarpe alle sbarre della finestra del bagno e dentro quei lacci, trasformati in cappio, ha infilato il collo. Non è morto subito Guido Cercola. [...] alle undici e mezzo di sera l’agente in turno di sorveglianza ha fatto in tempo a strapparglieli dal collo quei lacci: l’ergastolano respirava ancora. Ancora per poco. La corsa in ambulanza dal supercarcere è stata inutile: all’ospedale di Sulmona è arrivato un cadavere. Il cadavere di un uomo di sessant’anni, gli ultimi venti passati nei carceri di massima sicurezza di tutta Italia, l’accusa di strage mafiosa confermata in Cassazione. Era romano Guido Cercola. Nel carcere di Sulmona era arrivato nel 1999 e da quando era arrivato qui si racconta fosse sempre stato tranquillo, molto tranquillo. Di più: religioso e pio. Lo racconta Padre Anacleto, cappellano del supercarcere di Sulmona: ”Mi chiamava sempre per recitare il rosario. E quando celebravo la messa nel suo reparto era sempre lì, in prima fila”. Il suo reparto: l’Aiv, acronimo che sta per alto indice di sorveglianza, la sezione più delicata del supercarcere di Sulmona che è già un carcere di massima sicurezza, tra i suoi ospiti molti ergastolani, quasi tutti condannati per reati di criminalità organizzata. Scontava in una cella da solo la sua pena Guido Cercola. Da quando era arrivato a Sulmona non aveva mai visto il cielo senza le sbarre davanti. La sua non era una condanna qualsiasi: insieme a Pippo Calò, il ”cassiere” di Cosa Nostra, era stato accusato di aver organizzato nel 1984 la strage di Natale del treno 904, il ”secondo Italicus”, lo battezzarono subito i titoli dei giornali dell’epoca. Sedici morti oltre duecentocinquanta feriti: nella galleria degli Appennini il treno 904 che da Napoli era diretto a Milano esplose come fosse un petardo. [...]» (Alessandra Arachi, ”Corriere della Sera” 4/1/2005). «[...] Piero Luigi Vigna [...] ricorda: ”Nei suoi interrogatori ha sempre dato risposte contraddittorie, versioni diverse tra loro sul possesso dei congegni elettronici simili a quelli utilizzati nella strage; ne mancava uno che secondo noi fu usato per far esplodere il treno, e lui non ha mai saputo spiegare perché. Aveva un atteggiamento un po’ anguillesco, sfuggente, di uno che parla per depistare”. [...] Dopo la sentenza della Cassazione che confermò l’ergastolo per lui, Calò e altri imputati - lasciando in piedi solo una parte della ricostruzione iniziale, e comunque il movente ”ufficiale” è rimasto quello di un attentato della mafia per indurre lo Stato ad allentare la pressione su Cosa Nostra scatenatasi con il pentimento di Buscetta e le indagini del giudice Falcone - Cercola presentò un ricorso anche alla Corte europea di Strasburgo. Respinto perché giudicato tardivo. Allora scrisse un memoriale, vergato a mano, con qualche errore di ortografia e uno scopo dichiarato, ”ai fini di giustizia”, che comincia così: ”Quando la Corte di Cassazione ha definitivamente sentenziato la mia morte morale, non so se potete immaginare in che stato mi sono trovato, con l’angoscia da suicidio”. [...] secondo chi ha continuato a fargli visita quello stato d’animo non è mai cambiato. Anche perché neppure il memoriale ebbe seguiti concreti. Forse per via delle ulteriori contraddizioni che conteneva, rispetto alle precedenti versioni. Di Cercola restava solo il suo essere ”braccio destro” di Calò e, prima ancora, di Ernesto Balducci, un imprenditore sospettato di affari sporchi e usura, in rapporti non solo con la mafia siciliana ma pure con uomini della banda della Magliana, ammazzato nella sua villa di Roma, ufficialmente latitante, nel 1981. Cercola andava a incassare crediti per conto di Balducci, che lo chiamava il suo ”figlioccio”. Poi rimase con Calò, e nell’ultimo memoriale scrisse che fu proprio il boss mafioso a chiedergli di accollarsi i congegni elettronici, per evitargli guai. ”Allora, con tanto sacrificio, decisi di dire che erano miei, che al primo interrogatorio ho potuto rispondere su tutto, quando è arrivato il momento di rispondere dei congegni non sapevo cosa dire, per prendere tempo dissi che erano cose mie personali”. Non gli credettero allora né quando spiegò di averne usato uno per un attentato intimidatorio senza vittime avvenuto a Roma. A sessant’anni, dopo un terzo di vita passata in carcere, Guido Cercola è rimasto sepolto da un ergastolo per un reato del quale si proclamava innocente. [...]» (Giovanni Bianconi, ”Corriere della Sera’ 4/1/2005).