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 2005  gennaio 04 Martedì calendario

Patrizia Valduga, per anni al fianco del poeta milanese Giovanni Raboni, morto lo scorso settembre, prefersice non parlare del suo dolore «perché mi sembrerebbe di fare pornografia»

Patrizia Valduga, per anni al fianco del poeta milanese Giovanni Raboni, morto lo scorso settembre, prefersice non parlare del suo dolore «perché mi sembrerebbe di fare pornografia». I due si conobbero il 23 gennaio del 1981, «una vita fa», quando lei, allora studentessa di lettere, gli portò i suoi sonetti: «Giovanni mi ha detto, molto tempo dopo il nostro primo incontro, che quando ho aperto la porta ha visto materializzato il suo ideale estetico di donna». Dopo un inizio difficile («doveva dare molti soldi ogni mese alla seconda moglie. Con me è partito da zero per una seconda volta»), i due hanno iniziato a condurre «una vita normalissima tra due persone che si amano. Sono stata una normale e, credo, brava casalinga, una mediocre stiratrice, ma un’ottima cuoca, sono stata anche il suo parrucchiere, la sua dattilografa prima che comperasse il computer, la centralinista, la segretaria, una dietologa dopo il suo infarto, e ho fatto anche l’elettricista e l’idraulico, perché lui non era portato per certa manualità. Non mi piace avere gente per casa, e un po’ di esercizio fisico non fa male, quindi sono stata anche una donna delle pulizie. E facchino, dopo che si è lussato una spalla». I due lavoravano in casa, in due stanze comunicanti («ero la sua prima lettrice, e lui il mio primo lettore, e l’unico che per me contasse») senza avere nessun attrito: «E come si fa a litigare con una persona che capisce ogni cosa, che conosce tutte le parole, persino quelle che neanche sapevi di stare per dire». «L’intelligenza del cuore», la cosa più importante che le ha insegnato.