Filippo Ceccarelli, La Stampa 23/12/2004, pag. 7., 23 dicembre 2004
["Dedicato a Bossi"] Non c’è verso di riconoscere il carisma se non attraverso chi ne subisce gli effetti; e poi, a sua volta, ne riporta all’esterno i sintomi
["Dedicato a Bossi"] Non c’è verso di riconoscere il carisma se non attraverso chi ne subisce gli effetti; e poi, a sua volta, ne riporta all’esterno i sintomi. «Arduo è tradur il tuono/ a colui che ancora non sente - rimegggia il padano Luciano Ravenna, da Milano - ma tu dal destin prescelto,/ in sella al tuo destrier,/ impavido ci guidi». E quindi. Quando un militante non solo ritiene che il suo leader sia «prescelto dal destino», ma sfidando il ridicolo arriva a immaginarselo addirittura a cavallo, tipo monumento equestre, ecco, Umberto Bossi si configura come il classico capo carismatico, e in quanto tale oggetto di fede incrollabile e cieca ubbidienza, nonché portato a esercitare il comando anche con mezzi - così li definisce Max Weber - «puramente emozionali». Il paradosso è che Bossi oggi appare un leader ammalato. O meglio: c’è e non c’è, si vede e non si vede, può e non può, anche dal punto di vista politico vive in sospensione. Questo stato d’incertezza, che poi coincide con il decorso sanitario del senatùr dall’ospedale di Varese al ritorno a casa, è stato vissuto come un evento pubblico e sentimentale. I leghisti hanno scritto lettere alla Padania, telefonato alla radio, insomma hanno partecipato a una vicenda che è al tempo stesso personale e collettiva. Il dato interessante è che, sebbene ferito, il carisma di Bossi non solo è vivo, ma proprio attraverso la malattia ha avuto il modo di esprimersi, di sfogarsi come mai era accaduto in precedenza. Una giovane scrittrice e militante della Lega, Evelyn Zanola, ha raccolto in un libro appena uscito 82 fra auguri, messaggi, omaggi e poesie del popolo leghista a Bossi. Lei stessa, nella post-fazione, confessa di essersi spesso emozionata davanti a «parole toccanti, giunte dal cuore che racchiudevano un amore infinito che va oltre, un amore che solitamente riversato verso un fratello, un padre, uno di famiglia. Umberto - scrive - è riuscito a entrarci dentro». «Dedicato a Bossi» - così s’intitola il libretto (con ringraziamento a Manuela Bossi, la moglie, e prefazione del segretario leghista toscano Vincenzo Soldati) - è un documento sorprendente, una testimonianza veritiera, una specie di inconsapevole manuale che spiega meglio di tante analisi sociologiche come la politica post-moderna stia ritornando a essere molto antica. Forse pure troppo. Per cominciare, dalla statistica: la maggior parte dei leghisti, un venticinque per cento, non ha nessunissimo problema a definire Bossi «un condottiero» (variante: «un grande condottiero») oppure «un guerriero» (la variante, anche qui, è «grande guerriero»): «Oh guerriero padano, hai brandito l’ascia e spezzato le catene». Ma c’è anche chi lo chiama «l’Uomo», tout-court, o «il Grande Uomo», sempre maiuscolo, «l’incarnazione e l’essenza della libertà e della giustizia»; e chi, in omaggio alla società dello spettacolo politico, gli augura di continuare a fare «da regista a tutti i suoi uomini». Per altri ancora Bossi è, come Togliatti: «il Migliore». Curioso appellativo che rischia di fare cortocircuito con una strofetta, inviata da Varazze, che ricalca pari pari quella composta da Curzio Malaparte per il duce. E dunque: «Sorge il sole, canta il gallo, forza Bossi monta a cavallo». Come se, tra Mussolini e Togliatti, comunismo e fascismo arcitaliano, certi moduli delle culture politiche del novecento si fossero date un bizzarro appuntamento al capezzale di Bossi. Oh santa ingenuità. D’altra parte il culto del capo sfuma facilmente, se non nella religiosità, certo nel linguaggio para-religioso. Dalla provincia di Vicenza arriva questa specie di salmodia: «Nell’arroganza tu sei l’umiltà/ Nella confusione tu sei la logica/ Nell’ingiustizia tu sei il difensore/ Nell’indifferenza tu sei la consapevolezza» e così via. Scrive un altro leghista, angustiato: «Il tuo popolo ti riconosce come padre». Ma anche come figlio. Chiede e si chiede un terzo militante, pochi giorni dopo il malanno: «Ce lo meritiamo il suo sacrificio?». Da Pordenone si lasciano andare: «Tù sés fi om pari bon coma il pan», che tradotto dal friulano significa «tu sei figlio sposo e padre buono come il pane». «La politica viene fatta con la testa - ha lasciato scritto Max Weber - ma di certo non con la testa soltanto». Il pane, per dire. Nelle lettere selezionate da Evelyn Zanola rivivono simboli antichi; così come nelle parole e nelle immagini dei leghisti vibrano più o meno distanti e deformati gli eterni archetipi del potere. Ed ecco il leone: «Nel tuo saluto si respira il coraggio del leone» declama uno; «un leòn ca no si jé mai risparmiat» fa eco un’altra missiva. Oppure compare la roccia: «Sei forte come una roccia, coraggio Umberto», «roccia fonte della verità». Formule semplici e impegnative che mai a memoria di osservatore risuonarono nella lunga e arzigogolatissima stagione della Prima Repubblica. Bossi è un albero maestoso che non può essere abbattuto: «Una quercia che resiste a tutti i fulmini». Oppure è un fiore misterioso e delicato, giacché «da una rosa dolente nasce il virtuoso patire». Ma il raffronto più utilizzato è di ordine meteorologico e di luminosità. In altri termini Bossi è il sole e la luce, «la nostra luce», «un mazzo di sole». La malattia, si legge, «è come se una grossa nube avesse offuscato il sole su tutta la Padania». Di qui - ma in un altro messaggio - la comune invocazione: «In questo momento il sole non splende più, Bossi ritorna e dacci la luce». E l’augurio, dopo i primi segni di ripresa: «All’improvviso ecco un raggio di sole uscire dal suo animo e splendere sul creato». Beninteso. I militanti che scrivono quasi mai sono dei letterati. C’è chi ripete testi di canzonette: «Sei un mito!», «Grazie di esistere». C’è perfino, non corretto nel testo, uno sproposito ortografico e grammaticale: «Tutti noi c’è l’abbiamo fatta». I registri più vari si alternano: «Or mi sovviene il dì», carduccianescamente, e nella pagina appresso «L’ottimismo è un ottimo antidoto contro gli iettatori». Inizi stentati: «Segretario Federale Umberto Bossi, non sappiamo da dove cominciare, tante sono le cose che vorremmo dirle in questo doloroso momento». Concisioni dialettali: «Augùre òna rapida guargiù al nòst ministèr di riforme!». Ed ermetismi improvvidi: «Sentieri di luci,/ profondi valori,/ nettare di voci,/ sublimi sapori». O colloquialismi tipo «Ci hai fatto prendere un bello spavento». E si può sorridere, certo, del candore che ispira questa variegatissima e sgangherata corrispondenza. Ma è un sorriso che deve fare i conti, prima ancora che con il carisma di Bossi, con l’autenticità delle reazioni del suo popolo, posto di colpo davanti alla disgrazia o alla gioia del risveglio e della ripresa. «La notizia del malore - confessa uno - mi ha gettato nello sconforto». Una signora racconta di aver pregato Papa Giovanni: «Le lacrime sono scese copiose davanti all’immagine del Papa Buono». C’è un signore di Varese che racconta una sua singolare esperienza: «Questa mattina sono stato sottoposto a risonanza magnetica, di controllo - specifica - nello stesso padiglione dove tu sei stato ricoverato. Appena sono entrato ho avvertito di essere unito a te, e nonostante ci fossero una porta e un carabiniere a dividerci, io ero lì con te». Notevoli le reazioni psicoemotive dopo che Radio Padania ha mandato in onda la flebile voce del capo. «Dopo questo messaggio l’emozione mi ha preso la gola». Oppure: «Non riesco a comporre il numero di telefono della redazione, altrimenti mi commuoverei. E anche: «Che forte emozione sentire quella voce, ho pianto ora come ho pianto quel fatidico 13 marzo. Ho pregato per lui, ho acceso le candele in chiesa. Mi è mancata la sua presenza fisica». Ecco: di semplicità, dopo tutto, vive l’arte del comando emozionale anche nella post-politica. Fin troppo semplice a volte: «Bentornato Umberto! Tremi Roma Ladrona! Sarai il suo incubo peggiore quando tornerai a combattere al nostro fianco». E necessariamente sconclusionata, come arte, nelle sue premesse: «Gente di poca fede! Pensate davvero che basti uno scompenso cardiaco per privarci di lui?». E viene da rispondere: beh, dipende dalla gravità dello scompenso. Ma sarebbe una povera risposta razionale, perché non di rado in politica conta solo la fede. E avercene poca spiega molto, ma non tutto, nell’epoca delle riemersioni carismatiche e aggiornate.