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 2004  dicembre 05 Domenica calendario

Orario continuato e cagnara. Alla Scala ci si andava verso mezzogiorno e se ne usciva verso le due del mattino dopo avere assistito a un’opera seria, a degli intermezzi, a uno o due balletti e alla fine, sgomberata la platea, si ballava fino alle prime luci dell’alba

Orario continuato e cagnara. Alla Scala ci si andava verso mezzogiorno e se ne usciva verso le due del mattino dopo avere assistito a un’opera seria, a degli intermezzi, a uno o due balletti e alla fine, sgomberata la platea, si ballava fino alle prime luci dell’alba. Quello che accadeva sul palcoscenico era spesso un sottofondo musicale, al quale si prestava attenzione solo in alcuni momenti particolari. La Scala non era ancora il ”tempio dell’arte” che conosciamo oggi. Fa sorridere l’idea che i cantanti di allora fossero disturbati dal brusio, dalle richieste o dal profumo di risotto, tanto da interrompersi per chiedere gentilmente un momento di silenzio per concludere la propria parte. Non che gli artisti fossero da meno: si racconta di uno che pretendeva e otteneva di entrare a cavallo con un cappello piumato e di un’altro che inframmezzava la sua esibizione fiutando tabacco e litigando con l’orchestra. Un camerino-prigione era stato allestito nel sottopalco per i più vivaci e ribelli. E, come oggi alla Scala, si andava anche, o forse soprattutto, per guardare e farsi guardare: «Spira dappertutto grandezza di eleganza, la curva è riuscita così bene che in ogni parte che ti affacci ti sembra d’essere al centro per ben rimirare il tutto insieme», scriveva Pietro Verri il 5 agosto 1778. I palchi erano stati costruiti infatti, oltre che per avere un’acustica perfetta, anche perché ognuno potesse vedere tutti gli altri. Salvo poi abbassare la grata o tirare le tendine per avere qualche momento d’intimità.