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 2004  dicembre 17 Venerdì calendario

GRASSO

GRASSO Pietro Licata (Agrigento) 1 gennaio 1945. Magistrato. Superprocuratore antimafia • Ha detto di lui il collega Alfonso Sabella: «[...] un magistrato eccezionale [...] Ha una straordinaria carica umana. Quando lavori con lui ti trasmette entusiasmo, coraggio e fermezza anche nei momenti più delicati e rischiosi. un uomo tutto d’un pezzo: non l’ho mai sentito fare giri di parole per evitare o rimandare una decisione. Della mafia conosce passato e presente e saprà interpretare anche il futuro [...] Una persona deliziosa. Non dimenticherò mai i panini con la mortadella o con la frittata mangiati insieme nel carcere di Rebibbia, durante le pause degli interrogatori. Non dimenticherò mai le partite di calcetto organizzate insieme ai colleghi [...]» (Roberta Ruscica, ”Sette” n. 30/1999) • «[...] Sono fatalista. Se non avessi trovato un posto sull’aereo Roma-Palermo venerdì 22 maggio 1992, il giorno dopo sarei volato in Sicilia con Giovanni Falcone e Francesca Morvillo. Stesso aereo, stessa auto... Se non ci fossero stati degli ”inconvenienti”, Giovanni Brusca avrebbe deciso di mettere il tritolo in un auto già pronta davanti alla casa di mia suocera a Monreale... Insomma, il destino ha la sua parte in questa commedia. Io lascio al destino di giocare la sua partita e non rinuncio alle mie partite di calcio allo stadio o al campetto, a qualche colpo di tennis, a un’uscita in barca cercando di evitare il ridicolo di starmene in braghe sul windsurf mentre mi insegue una motovedetta dei carabinieri [...]» (Giuseppe D’Avanzo, ”Sette” n. 19/2000) • «[...] giudice a latere della Corte di Assise del più grande processo mai celebrato contro l’organizzazione criminale chiamata Cosa Nostra. [...] Quando entrò nell’aula bunker gli mancò il respiro. ”Ho sentito un nodo alla gola [...] L’emozione è durata solo un istante” [...] [...] Si stava processando per la prima volta la mafia. Pietro Grasso aveva allora 41 anni, aveva lo stesso sguardo un po’ romantico, la stessa quiete che qualcuno - a volte e a torto - ha scambiato per debolezza o peggio per rinuncia. Era il 10 febbraio dell’86, verso le 9,30 del mattino [...] ”Mi ricordo quanto ero teso nei primi minuti, mi ricordo ogni faccia di quella giornata. Ma già da qualche mese ero entrato nel mondo di Cosa Nostra, mi ero già immerso in quella realtà che avrebbe segnato il resto della mia esistenza”. Giudice a latere per modo di dire [...] è stato in realtà l’anima del maxi processo di Palermo, l’estensore della sentenza, il motore dell’organizzazione. [...] ”Mi chiamò il presidente del Tribunale Francesco Romano per informarmi che mi aveva scelto come giudice a latere, mi spiegò che avrei dovuto lavorare tanto. Andai a trovare Giovanni Falcone nella sua stanza, lui si alzò, mi portò in fondo all’ufficio istruzione, aprì una porta e disse: ”Ti presento il maxi processo’. Mentre lo diceva mi guardava con la coda dell’occhio per capire quale fosse la mia reazione, davanti a me c’erano quattro pareti coperte da 120 faldoni. Quando chiesi a Falcone ”dov´è il primo volume?’, lui sorrise e cominciò la mia avventura nel maxi processo. Quale era il primo volume? Era il rapporto del commissario Ninni Cassarà sulla nuova mafia, il rapporto denominato Michele Greco +161 [...] Avevo anche la responsabilità organizzativa, andavo a verificare i lavori dell’aula bunker accanto all’Ucciardone. Prevedendo una lunga camera di consiglio, ho suggerito ai progettisti di spostare una finestra blindata e farla aprire su un cortiletto dove potevamo prendere aria. Fu la nostra fortuna, in quei 35 giorni di camera di consiglio nel cortile facevamo ginnastica, guardavamo le stelle, respiravamo [...] il momento decisivo del maxi processo? Quando il boss Giovanni Bontate lesse un documento in aula dove si dissociava dall’omicidio di un bambino [...] Durante il maxi a Palermo non c’era stato un alito di vento, non un omicidio, non un rumore. Ma qualcuno uccise in una borgata un bimbo, il piccolo Claudio Domino. I mafiosi decisero che era più importante far sapere che non erano stati loro piuttosto che perdere il consenso sociale, piuttosto che far credere che loro avessero potuto uccidere un bambino. E con quella dichiarazione di Bontate, per la prima volta un mafioso pronunciò la parola ”noi’: noi, significava noi mafiosi. Loro stessi ammettevano la loro esistenza. Era senza precedenti [...] Nessuno ha mai detto: io sono innocente. Tutti ripetevano ossessivamente: io sono estraneo. L’obiettivo era negare, negare l’appartenenza a quella cosa che era la loro organizzazione. Con il proclama di Bontate le cose cambiarono [...]”» (Attilio Bolzoni, ”la Repubblica” 10/2/2006).