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 2004  dicembre 15 Mercoledì calendario

LARSSON Björn Jönköping (Svezia) 28 dicembre 1953. Scrittore • «[...] l’Atlantico, verso cui i marinai di Larsson, preferibilmente, salpano, cercando come nel Porto dei sogni incrociati quelle ”albe sul mare che parevano di seta”, quei giorni sull’Oceano tra masse d’acqua in tumulto ”per cui certe persone sarebbero pronte, sia pure in senso figurato, a dare la vita”

LARSSON Björn Jönköping (Svezia) 28 dicembre 1953. Scrittore • «[...] l’Atlantico, verso cui i marinai di Larsson, preferibilmente, salpano, cercando come nel Porto dei sogni incrociati quelle ”albe sul mare che parevano di seta”, quei giorni sull’Oceano tra masse d’acqua in tumulto ”per cui certe persone sarebbero pronte, sia pure in senso figurato, a dare la vita”. Lo scrittore svedese, che ora insegna letteratura francese all’Università di Lund, ha vissuto per anni sulla sua barca, la ”Rustica” [...] diventato famoso con La vera storia del pirata Long John Silver (quello del’Isola del Tesoro) dopo aver esordito con Il cerchio celtico, un thriller mitologico tra i porti del Nord. Dal mare si è discostato poco, per esempio nell’Occhio del male, libro lungimirante sul terrorismo [...] ”ritengo d’aver fatto un solo romanzo veramente di mare, e cioè Il cerchio celtico. Ma c’è una difficoltà tecnica in questo campo; sulle navi non ci sono donne, l’amore è assente. Bisogna scendere a terra per poter raccontare tutti gli aspetti dell’esperienza umana [...] Per me la solitudine fisica può essere una ricchezza. Navigare da solo è una grande esperienza [...] Quando inizio non conosco la fine. Ho un tema e alcuni personaggi che si incontrano e cominciano semplicemente a vivere. Cerco di reinventare la vita. Non di copiarla. Io amo i libri che amano i lettori. Solo nel caso dell’Occhio del male ho lavorato in modo diverso. Ma quello rappresentava per me un’urgenza, un impegno. Avevo conosciuto lo scrittore algerino Rachid Boujedra, sentivo di dover fare qualcosa per lui, per il suo paese massacrato dal terrorismo islamico” [...]» (’La Stampa” 17/12/2004) • «[...] A dodici anni, età in cui nel mio immaginario partivo in direzione del centro della Terra, potevo ancora credere che l’avventura fosse di questo mondo. A venti anni, avendo ormai scoperto come andava davvero il mondo, non nutrivo più illusioni, tuttavia continuavo ad aggrapparmi ai sogni. Ho continuato a farlo, in verità. Ma dove trovare l’avventura in un mondo così tristemente e dolorosamente reale? In due mondi soltanto, forse, si può tuttora essere un po’ liberi nei propri movimenti: in mare e in letteratura. Sognavo di partire in mare e di viverci, e l’ho fatto. Sognavo di scrivere, e ho fatto anche questo, forse anche per dimostrare che l’avventura può sempre essere di questo mondo. Ma quale mare? Quale letteratura? Prima di tutto il mare: per come lo concepisco io il mare è uno stile di vita, una fonte di sogni concretizzabili, un distillato di esperienza e di fantasie, qualcosa che si trasforma continuamente, un posto nel quale di quando in quando è bello vivere, ma che altre volte è altrettanto bene lasciare, un posto in cui la partenza e l’arrivo contano più del viaggio, in cui lo scopo del viaggio è ciò che si cela dietro l’orizzonte, ma dove occorre altresì mantener ben desta l’attenzione, a rischio di non farne più ritorno. In sé, il mare non è fonte di saggezza o di principi morali, ma può esserlo e lo sarà sempre in modo differente rispetto alla terraferma. In mare l’incertezza, la precarietà, l’effimero diventano certezze inconfutabili, con le quali conviene imparare a convivere. In mare non ci si lascia tracce alle spalle. Secondo me, andar per mare non è una sfida alla morte, quanto piuttosto una sfida per vivere più intensamente e più saggiamente. Il mare non è una prova da superare: sull’acqua la spacconeria e la megalomania sono peccati capitali. Il mare è soprattutto incontro con l’altro, con l’estraneo del luogo, laggiù. Significa poter vivere da vagabondi a bordo del proprio pied-à-terre galleggiante, senza essere considerati una minaccia, all’arrivo, dagli abitanti dell’entroterra e dai proprietari. Quando il vagabondo si ferma, però, al pari di qualsiasi viaggiatore straniero che dichiari di voler restare, il mito affascinante che lo circonda si trasforma in una realtà ingombrante. In effetti, il vantaggio di essere uomini di mare consiste nel fatto che la gente crede di sapere che il marinaio se ne ripartirà. Quello è il presupposto stesso del mito del marinaio: colui che invece mette radici perde rapidamente il proprio fascino e la capacità di far sognare. Lo stesso dicasi della letteratura, che deve navigare senza bandiera alcuna. Ma è questo il mare? E questa la letteratura di mare? Tranne le rare eccezioni universalmente note, tra cui Conrad e Melville, ho trovato ben pochi scrittori che hanno cercato di raccontare il mare in quanto tale o la vita dei marinai sull’acqua. Sbagliamo a parlare di letteratura marittima se con questo termine intendiamo una letteratura d’immaginazione che parli esclusivamente di mare e della vita degli uomini - e di qualche rarissima donna - in mare. Senza dubbio, invece, parliamo a ragione di letteratura marittima se con ciò alludiamo alla poesia, l’unica che può rendere la sensazione pura e forte del mare che cambia in continuazione. E parliamo altresì a ragione di letteratura marittima che scende a terra, laddove i marinai, sovente a loro stesse spese, devono affrontare le vicissitudini della vita nell’entroterra, comprese quelle dell’amore. Ma soprattutto credo che parliamo correttamente di letteratura marittima se parliamo di una letteratura completamente d’immaginazione, che non racconta il mare in sé, né la vita dei marinai in un mondo talora ostile, spesso inclemente e sempre in buona parte escluso dalle vicende più importanti dell’esistenza umana, se parliamo quindi di una letteratura che si ispira al mare. La letteratura marittima diverrebbe dunque una letteratura a immagine del mare, una letteratura che si ispira al mare inteso come una distesa nella quale si può essere sempre liberi nei propri movimenti, uno spazio sul quale le nazioni non hanno potuto imporre le loro frontiere, un luogo nel quale si può guardare lontano, fino all’orizzonte, e dove si può sempre sognare che cosa si nasconde dietro di esso. La letteratura marittima, pena la perdita dei suoi titoli di nobiltà, deve evidentemente evocare il mare e la vita in mare, ma non può fare altro che questo, non più di quanto una letteratura locale o nazionale non può essere altro che questo. Per essere vera letteratura, la letteratura marittima deve raccontare l’esistenza umana in tutti i suoi aspetti, deve restare immaginazione, deve essere ribelle, déraciné, insubordinata, blasfema, vagabonda» (’la Repubblica” 15/12/2004).