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 2004  dicembre 14 Martedì calendario

GOLDIN Marco

GOLDIN Marco Treviso 12 gennaio 1961. «Il nome e cognome, Marco Goldin, dicono poco, tanto sono diffusi, anzi inflazionati nel natio Veneto. Ma il biglietto da visita è di tutto rispetto: dal 1998 alla prima metà del 2004 ha portato nella sua Treviso quasi 2 milioni di visitatori per sei mostre di pittura nella non vasta Casa dei Carraresi. [...] “Goldin è una mia creatura”, si vanta Vittorio Sgarbi: “Negli anni Settanta gli ho dato la parte migliore di lui. Poi però è partito per la tangente e ha iniziato a trattare le mostre come un maiale”. Prego? “Sì, lui non scarta nulla, dal prosciutto alle setole, dallo zampone alle budella. Per la delizia dell’altrui palato facile e delle proprie tasche”, spiega Sgarbi. Che sul tema mangereccio insiste: “Lui è l’inventore della gastronomia applicata alle mostre, o viceversa. Ha saputo far leva anche sul fatto che a Treviso si mangia e si beve bene. Una scorpacciata di pittura e una di polenta e osei. Più una caraffa di Prosecco o Cartizze per mandar giù il tutto”. Per la scorpacciata di pittura il segreto è una piccola ma efficientissima catena di montaggio: tre società tutte sue con le quali Goldin le mostre le organizza, ne vende i biglietti, anche con prenotazioni via Internet, ne edita e vende i cataloghi nonché i vari gadget fatti realizzare di volta in volta. C’è chi lo definisce il re Mida delle mostre, perché trasforma in oro tutte quelle che passano per le sue mani. Con grande gioia dei proprietari di alberghi, ristoranti, enoteche e negozietti di cose originali sparsi nel circondario, tutti proprietari impegnati a raccogliere le pepite sotto forma di turisti goldiniani. E a proposito di oro, c’è chi giocando sul titolo di un famoso film e sul suo cognome, lo ha soprannominato Goldinfinger. La lunga marcia di Goldinfinger, classe 1961, oggi quasi più in auge dei concittadini Benetton e Stefanel, inizia a fine anni Settanta con l’amicizia di Sgarbi, insegnante piuttosto assenteista in una scuola statale di Venezia. È lui che lo inserisce nel mondo culturale romano, dove Goldin stringe amicizia anche con Enzo Siciliano. Arrivano i primi cataloghi da curare per gli editori Marsilio ed Electa e nell’85 la laurea in Lettere, indirizzo artistico, all’Università di Venezia. Un anno prima, il laureando organizza per la Provincia della sua città una piccola mostra sul tema “Il disegno e l’incisione a Treviso nella seconda metà del 900”. Poi, dall’85 all’87, anno in cui si sposa, il neo laureato va a insegnare lettere al liceo linguistico di Castelfranco Veneto, il paese del Giorgione. Il salto di qualità arriva l’anno dopo: Goldin cambia mestiere e diventa direttore del museo di Palazzo Sarcinelli a Conegliano e ci resta 15 anni. “È lì che ho iniziato ad amare quelli che sono i miei artisti preferiti. Tutti della pittura italiana del Secondo dopoguerra”, sospira Goldin. Quali, esattamente? “Piero Guccione nel campo figurativo, Claudio Oliviero in quello dell’astrazione e Franco Sarnari a metà strada tra i due”. Ma non si vive di solo museo. Il giovane direttore ha la seconda casa in val Zoldana e ama sciare, arrampicarsi e correre in mountain bike tra i monti Pelmo e Civetta. Nel ’96 inizia l’arrampicata alle vette del successo: mette in piedi la società Linea d’ombra, che ha come ragione sociale l’organizzazione di mostre e la vendita di biglietti, e crea anche Linea d’ombra libri, che si occupa di cataloghi e gadget. Per ultima nasce Ibiscus, che si occupa di fornire informazioni e prenotazioni per le sue mostre. Nel ’98 tutto è pronto per lanciare alla grande a Treviso il lungo ciclo impressionista, durato sei anni con altrettante esposizioni a tema, con la mostra “Da Van Gogh a Bacon”. La Fondazione Cassamarca scommette sull’ex professore di lettere e stanzia ben 6 milioni di euro per ogni progetto. Scommessa stravinta: nel 2002 il totale dei visitatori supera l’incredibile quota 600 mila. Inevitabile che col successo arrivi anche qualche invidia. E qualche screzio di troppo con Cassamarca. Finché una sera il sindaco di Brescia, Corsini, confida a cena a Sgarbi la propria delusione per una mostra su Vincenzo Foppa, il più grande pittore lombardo prima del Caravaggio: 3 milioni e mezzo di euro spesi, appena 60 mila biglietti venduti. “Quasi quasi chiamo Goldin”, conclude il primo cittadino della Leonessa. Alberto Folonari, presidente del Credito agrario bresciano e rampollo della famiglia di produttori di vini, è d’accordo. Risultato: un programma di quattro anni di mostre per finanziare le quali il Comune, il Credito agrario bresciano e la Brescia musei spa offrono 3 milioni di euro l’anno, mentre Goldin si impegna a metterne altrettanti con la sua Linea d’ombra. “Chiarisco che io non ho nessuno stipendio e che anzi ci metto del mio”, ci tiene a precisare l’ex allievo di Sgarbi: “Il mio guadagno deriva solo dalla vendita dei biglietti, dei cataloghi e dei gadget. Se le mostre vanno bene, come fino a ora, ci guadagno. Ma se vanno male, io posso anche andare in malora”. Che ci vada davvero lo sperano gli invidiosi e quelli che storcono il naso, che definiscono le mostre della star trevigiana ‘nazional-popolari’ oppure “blockbuster”. Termine quest’ultimo da intendere non tanto alla lettera, cioè “bombe dirompenti”, quanto con riferimento alla famosa catena di negozi di videocassette e cd rom. Come mai? “Beh, gli impressionisti come li vogliamo chiamare?”, domanda a sua volta Sgarbi: “Goldin ha puntato tutto proprio su di loro”. Giorgio Cortenova, direttore del museo d’arte moderna di Verona preferisce glissare: “Beato lui che trova tanti quattrini”. Il gallerista milanese Oreste Bellinzona si sbilancia di più: “Siamo di fronte al Berlusconi delle mostre. Molto bla-bla-bla, ma fatto con soldi privati e non pubblici. Le mostre di Goldin non voglio dire che siano mostre del cavolo, ma non servono a nulla”. Addirittura? “Certo”, conferma Bellinzona: “Al pubblico non danno nessuna emozione, solo una grande sistematizzazione dell’argomento e dello stile proposti. E magari un week-end a Treviso prima e a Brescia adesso”. [...]» (Pino Nicotri, “L’Espresso” 16/12/2004).