Lietta Tornabuoni, La Stampa 9/12/2004, pag. 11., 9 dicembre 2004
«Di febbraio, nel 1979, a Pechino un gruppo di italiani visitava i monumenti storici. Abitavano in un albergo buono e brutto di tipo occidentale, pieno di imprenditori americani e francesi che si strappavano i capelli perché non riuscivano a combinare nemmeno mezzo affare: riunioni, trattative, cerimonie e discussioni si prolungavano da giorni, ma i cinesi non tiravano fuori un soldo
«Di febbraio, nel 1979, a Pechino un gruppo di italiani visitava i monumenti storici. Abitavano in un albergo buono e brutto di tipo occidentale, pieno di imprenditori americani e francesi che si strappavano i capelli perché non riuscivano a combinare nemmeno mezzo affare: riunioni, trattative, cerimonie e discussioni si prolungavano da giorni, ma i cinesi non tiravano fuori un soldo. Del gruppo italiano faceva parte la signora Pinin Brambilla, illustre restauratrice in quel momento al lavoro su "L’ultima Cena" di Leonardo. Nella Città Proibita, al Palazzo Imperiale, al Tempio del Cielo, al Museo Imperiale, giravano con zelo tipi muniti di un barattoletto e di un pennello, che rinfrescavano le tinte di quelli come di ogni altro edificio monumentale della Cina. Fu spiegato che la cultura cinese ignorava l’unicità dell’opera d’arte individuale e il pregio d’arte del passato. Non restauravano: tenevano pulito, in ordine. La signora Brambilla quasi piangeva. Un quarto di secolo dopo, sarà interessante seguire l’applicazione degli accordi italo-cinesi sul restauro» (Lietta Tornabuoni).