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 2004  dicembre 03 Venerdì calendario

TODINI

TODINI Luisa Perugia 22 ottobre 1966. Imprenditore (costruzioni). Politico. Ex parlamentare di Forza Italia • «Mi dicono che il marchio di responsabilità rimanga a vita, anche se il mio mandato è finito nel 1999» (’La Stampa’ 7/4/2006) • «[...] morbida scugnizza di lusso figlia del Cavaliere del lavoro Franco Todini (costruttore) [...] ”L’intelligenza della donna sta nell’essere apparentemente ingenua. La donna non deve mai imporsi, far vedere che ne sa più dell’uomo. Deve ottenere quello che vuole quasi facendo finta di farlo fare a lui”. Così, morbidamente, disse agli inizi della sua carriera politica. Aveva 27 anni, quando alle Europee del 1994, circoscrizione Italia Centrale, con 90 mila preferenze risultò seconda solo a Berlusconi. Pochi credettero alla sua ingenuità, moltissimi le guardarono le gambe che quando sono lunghe, affusolate, tornite, con gli uomini si impongono molto più di ogni ragionamento politico. [...]» (Lina Sotis, ”Sette” n. 18/1999) • «Mi innamorai presto di lui: avevo 15-16 anni quando capii che era un uomo con una marcia in più. Cercavo di imitarlo in tutto, arrivando persino a vestirmi da maschiaccio, a tagliarmi i capelli cortissimi. La femminilità la scoprii solo più tardi. Volevo essere alla sua altezza, volevo che fosse orgoglioso di me. Gareggiavo in atletica leggera e, se perdevo, piangevo perché pensavo di averlo deluso. Se a scuola non ero la prima della classe o prendevo 4 in latino, non osavo guardarlo negli occhi. Lui, mio padre, era figlio di contadini umbri che, dopo la terza, lo mandarono a lavorare. Solo più tardi arrivò a conquistare la licenza elementare e, per tutta la vita, il confronto con chi aveva studiato gli fece conservare quell’umiltà che fu la sua vera forza. Voleva costruire ”tutte le strade del mondo’, come confidò alla sua prima fidanzatina, e ci riuscì. Quando vidi il film di Olmi, L’albero degli zoccoli, ritrovai la vita della mia infanzia contadina: la festa e la paura per l’uccisione del maiale, la casa col camino senza riscaldamento e con un solo bagno, dove vivevamo in dieci, nonni e cugini compresi [...] Nei primi anni Settanta, l’azienda vinse l’appalto per costruire la Pontina. Fu il primo grande salto che fece uscire la società dall’ambito regionale. Ci trasferimmo a Roma e feci il liceo al ”Massimo’, la famosa scuola dei gesuiti, quella in cui studiarono Draghi e Montezemolo. Però non avevo la consapevolezza di essere una privilegiata, nemmeno quando papà mandò me e mio fratello, per qualche tempo, in Svizzera, temendo un rapimento. Dopo la maturità conseguita con il massimo dei voti, mi iscrissi, controvoglia, a giurisprudenza: mio padre diceva che per l’azienda erano necessari più i legali che gli ingegneri o gli architetti [...] Al primo esame universitario mi bocciarono. Fu un trauma. Lasciai la Luiss per lavorare in azienda. Conobbi Diana Dei, la vedova di Mario Riva. Era una donna straordinaria e mi convinsi a tentare di diventare, come lei, una attrice. Mio padre mi tagliò subito i viveri e l’Accademia di arte drammatica restò un sogno. Ci fu un momento in cui pensai di fare la missionaria in India, dove trascorsi due mesi in un lebbrosario. Ma lui mi convinse che avrei potuto aiutare meglio quelle popolazioni se avessi contribuito a uno sviluppo della nostra società tale da poter portare lavoro e ricchezza anche lì [...] Nel ”92 anche la nostra azienda e la nostra famiglia fu colpita dallo tsunami di Tangentopoli. Papà si fece 15 giorni di carcere e anch’io fui sottoposta a pesanti interrogatori. Poi, l’indagine fu archiviata con tante scuse, ma la vicenda portò la società a una profonda riflessione strategica e unì ancor di più la mia famiglia. Decidemmo una virata verso l’estero e investimmo in altri Paesi, fra cui l’Argentina. Per sei mesi mi trasferii in una grande ”estancia’ nella pampa, facendo la vita del gaucho e divertendomi moltissimo [...] Era la primavera del ”94 quando Berlusconi ”scese in campo’. La mia amica di Confindustria, Stefania Prestigiacomo, accese il mio entusiasmo per il movimento di Forza Italia e mi convertì alla politica. La mia famiglia era socialista da sempre, mio padre conosceva e stimava Craxi, ma non aveva avuto mai rapporti con Berlusconi. Scrissi a Gianni Letta una lettera, chiedendogli di farmi entrare nelle liste per le elezioni al Parlamento europeo. Fui così insistente che mi inserirono al penultimo posto. Quando mio padre lo seppe, non mi rivolse la parola per dieci giorni. Diceva che un imprenditore non doveva mai immischiarsi con la politica [...] All’improvviso papà mutò idea e mise l’azienda al servizio della mia campagna elettorale. All’inizio non compresi il motivo del suo brusco cambiamento di giudizio. Solo dopo capii che una valanga di croci sul nome Todini nelle schede elettorali avrebbe riscattato, nella sua mente, un nome che temeva, peraltro a torto, infangato dalle vicende di Tangentopoli. In politica ero di una ignoranza assoluta: sapevo a malapena la differenza tra proporzionale e maggioritario. A giurisprudenza avevo evitato l’esame di diritto comunitario, per me il Parlamento europeo era un luogo misterioso e un po’ inquietante. Andavo nei paesi vestita da ragazzina, con una scassata Croma di quindici anni e quando entravo nella sala del comizio mi scambiavano per la segretaria del candidato. L’appoggio della mia azienda e, forse, il mio ingenuo entusiasmo fece il miracolo: fui la prima eletta con 90 mila preferenze, naturalmente dopo Berlusconi [...] Tutti, a casa, erano felici. Meno lui, mio padre. Mi rimproverò con una asprezza che mi lasciò sconcertata: nella vita bisognava vincere, mai stravincere. E io ero colpevole di aver stravinto. Non me lo aspettavo e ci rimasi molto male. La politica mi dava molte soddisfazioni, imparai un sacco di cose, ma mio padre mi ripeteva: quando la smetti di perdere tempo? Ricordo una stupidaggine, ma significativa: appena fui eletta, mi tolse il telefonino aziendale, anche se avevo conservato, almeno formalmente, i miei incarichi nella società. ”Hai cambiato padrone’, disse, ”devi intestarlo diversamente’ [...] Così, dopo una legislatura, vinse ancora lui, mio padre, il mio primo amore: lasciai la politica, pur senza rinnegarla, e tornai in azienda. Conobbi Luca Josi, mio marito, e me ne innamorai. Come facevo quando ero ragazza, mi confidai con papà per chiedergli un consiglio, alzandomi presto la mattina per potergli parlare tranquillamente, davanti al lavabo del bagno, mentre si faceva la barba. Lui mi incoraggiò a proseguire la relazione, perchè Luca gli piaceva e credeva fosse l’uomo giusto per me. Si offrì persino di far da paciere, dopo il solito sciocco litigio tra innamorati. Era il 2001 ed io ero a New York: una telefonata mi raggiunse per dirmi che papà era morto, improvvisamente».