Varie, 1 dicembre 2004
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Veronelli Luigi
• Milano 2 febbraio 1926, Bergano 29 novembre 2004. Enologo • «Aveva detto: morirò a 103 anni, come la mia amica Giuseppina Perusini Antonini, la contessa del Picolit (un vino che oggi non esisterebbe, non se ne fosse occupato Sua Nasità, temporibus illis). Aveva anche indicato l’ultima bottiglia, per il 2029: un Porto Quinta do Resurressi 1926, fatto da una contadina anarchica. E sperava che gli trovassero un posto nel cimitero di Pradumbli, dove sono sepolti molti anarchici. [...] È stato un grande, Veronelli, non solo per quello che riguarda il mangiare e il bere. Come avesse vissuto tante vite in una. Milanese dell’Isola, nonno Luigi panettiere in piazzetta della Rosa, oggi piazza Pio XI. Primo bicchiere di vino il giorno della prima comunione. “Adesso che siete uomini, potete bere” disse il padre versando un po´ di rosso nei bicchieri per Gino e Gianni, il fratello gemello. “Doveva essere Barbera dell’Oltrepò, io e Gianni eravamo pronti a tracannare ma mio padre ci fermò: prima lo guardate, poi lo annusate e poi lo bevete con rispetto, perché c’è dentro la fatica dei contadini”. Studi classici, passione per la filosofia. Fu assistente di Giovanni Emanuele Bariè e collaboratore di Lelio Basso. Perse buona parte dell’eredità paterna facendo l’editore: poesia (La ragazza Carla di Elio Pagliarani) ma anche i socialisti utopisti (Fourier, Proudhon) [...] Sapeva stare in disparte come in prima fila. Sei mesi per istigazione a adunata sediziosa nel 1980. “C’era una manifestazione di contadini per il prezzo delle uve, i finanziamenti del governo non arrivavano mai, sul palco delle autorità s’erano alternati il bianco, il nero, il rosso, il verde. Vai su anche tu, che sai cosa dire, mi fece Giacomo Bologna, il grande Giacomo, quello che m’ha insegnato che senza gioia e serenità il buon vino conta nulla. Io salii sul palco e dissi: vi hanno servito un sacco di balle, se volete farvi sentire fate come gli operai, bloccate l’autostrada o la stazione. Così bloccarono la stazione ferroviaria, mentre io ero al ristorante, ma istigatore restavo. E comunque i finanziamenti arrivarono dopo pochi giorni”. Donchisciottesco, dicevano, quando partì lancia in resta contro la CocaCola, che non indicava tutti gli ingredienti in etichetta. “Non era una guerra, erano tre battaglie, ma stranamente tre giudici diversi hanno sempre trovato un vizio di forma nella mia denuncia”. Donchisciottesco, dicevano ancora in tempi recenti, quando Veronelli si avvicinò ai centri sociali (Verona, Brescia, Milano) e fu tra i fondatori di Terra e libertà (come il film di Ken Loach). Era invece il Veronelli di sempre, coerente con se stesso, che rimpiangeva la mancanza di un Bové italiano, che predicava contro la globalizzazione, gli ogm, le multinazionali, e la terra era minuscola come suolo, maiuscola come pianeta, minacciata con entrambe le iniziali. [...] Aveva una cultura prodigiosa, citava a memoria Rambaldo di Vaqueyras o Brecht (“sono sempre pronto a una nuova idea e a un antico vino”), il sogno nel cassetto era tradurre Apollinaire. E anche un bel fisico, aveva diretto per qualche anno una stazione invernale, al Tonale, gli piaceva la caccia subacquea ma senza pinne e respiratore, sennò il pesce è troppo svantaggiato. Le sue Guide all’Italia piacevole restano fondamentali, così come le sue battaglie per i cru, per la dignità dei vignaioli, per la qualità del cibo e del vino. Ha avuto molti allievi, alcuni grati, altri pronti a pugnalarlo alle spalle. Il suo assaggio era diverso da quello dei tecnici. Di tipo amoroso, diceva. “Un vino è come una bella donna, non va aggredito con la volontà di imporsi, va ascoltato”. La tecnica si perfeziona, ormai son capaci tutti di sentire la marasca nel Cannonau e la pipì di gatto nel Sauvignon. Ma, come il suo grande amico Gianni Brera, Veronelli era in anticipo coi neologismi: di pronta beva, stoffa zerga, nerbo viperino. Con la penna e in tv (molti ricorderanno la trasmissione con Ave Ninchi) Veronelli è stato un poderoso e isolato apripista, di quelli col machete. Sul sentiero diventato autostrada, non ce n’è uno che gli arrivi al ginocchio [...]» (Gianni Mura, “la Repubblica” 1/12/2004) • «L’omaggio più significativo gliel’ha [...] Carlin Petrini, fondatore di Slow Food: “Un grazie sincero e meritato a Luigi Veronelli. Spero che questo grazie sia quanto più condiviso dal mondo enologico e gastronomico italiano, per il quale Veronelli nella sua quasi cinquantennale attività ha fatto grandi cose. A lui va riconosciuta la primogenitura ideologica di tutta l’enogastronomia italiana: a fine Anni ’50 ha “inventato” la figura del gastronomo moderno, con la sua penna colta e tagliente è stato il primo a indicare una strada nuova. Attraverso i suoi mirabili racconti di vino, i suoi viaggi, il suo ‘camminare la terra’ ha ispirato la generazione successiva e continua a farlo. Tutti i gastronomi italiani gli devono qualcosa”. Anche quelli che impazzano in tv. Sì perché, dopo la fondamentale esperienza di Mario Soldati, Viaggio nella valle del Po. Alla ricerca dei cibi genuini, 1957 (era la prima volta che la tv si occupava della materia: cibi, vini, coltivazioni, cantine, caseifici, salumifici, industrie dolciarie furono trattati con la stessa dignità con cui si deve trattare un fatto di cultura), toccò a Veronelli inaugurare la prima rubrica di cucina in tv, A Tavola alle 7, 1974, con Ave Ninchi, scritto da Paolini e Silvestri e diretto da Dada Grimaldi. Per sette anni Veronelli insegnò agli italiani un po’ di educazione alimentare. “Quando mi comunicarono — ha scritto Veronelli — che per la terza annata di A Tavola alle 7 Delia Scala (a sua volta subentrata a Umberto Orsini, ndr) sarebbe stata sostituita con Ave Ninchi, ebbi non pochi contrasti e i due autori il loro da fare per convincermi, poi scoprii che Ave, così diversa, era una compagna ideale; si stabilì una coppia, lei l’angelo familiare; io il demone per le mie puntualizzazioni continue ed esasperate”. Insomma nella tv attuale nessuno inventa niente. A Veronelli si deve anche un coraggioso programma sui vini voluto da Folco Portinari e Franco Iseppi: Viaggio Sentimentale nell’Italia dei vini, Raitre, 1979, con Nichi Stefi e la regia di Mario Mariani. L’anno dopo, con Angelo Paracucchi, Veronelli inaugura la fascia di mezzogiorno con il settimanale La Meridiana: l’uno insegnava a mangiare bene, l’altro a bere meglio [...]» (Aldo Grasso, “Corriere della Sera” 1712/2004).