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 2004  novembre 30 Martedì calendario

Breve storia dell’Ucraina, terra di confine e di spartizioni Divisa in tre parti, come la gallia di Cesare, ma con 17 province su 25 che minacciano la secessione Con la crisi econimica dell 1988-1989 si sono rinfocolati i sentimenti filorussi dell’est e del sud

Breve storia dell’Ucraina, terra di confine e di spartizioni Divisa in tre parti, come la gallia di Cesare, ma con 17 province su 25 che minacciano la secessione Con la crisi econimica dell 1988-1989 si sono rinfocolati i sentimenti filorussi dell’est e del sud. L’ovest, invece, sogna la Mitteleuropa. Per Buttiglione ”se Yuschenko diventa presidente è inevitabile a breve tempo una richiesta di ingresso dell’Ucraina nell’Unione europea” Roma. Già nel 1994 un documento del Dipartimento di Stato aveva paventato uno scenario di una guerra civile tra l’ovest e l’est dell’Ucraina sul tipo di quello che oggi sta contrapponendo i due Viktor: il filo-occidentale Yuschenko e il filo-russo Yanukovich. Tecnicamente però l’Ucraina è, come la Gallia di Cesare, divisa non in due, ma in tre. A sud e a est si concentra infatti il grosso dei 12 milioni di russofoni, il 21 per cento della popolazione, più la rete di simpatie filo-russe creata dalla contiguità al confine. Ovvero, le 17 province su 25 che minacciano la secessione se sarà riconosciuta la vittoria di Yuschenko. L’identità dell’ovest si basa invece sulla Chiesa cattolica di rito Ucraino, nata nel 1596 al Sinodo di Brest su iniziativa dei gesuiti polacchi, che convinsero una parte della gerarchia ortodossa a riconoscere il primato del Papa, in cambio della tutela della loro autonomia organizzativa e liturgica. Mentre l’unità dell’intera Ucraina, riemersa indipendente nel 1991 dallo sfasciarsi dell’Unione Sovietica, si basa sul perno di Kiev. ’Madre delle città russe”, anche se Ucraina significa, letteralmente, ”Terra di Confine”. La Russia era infatti nata a Kiev, dal principato creato nel IX secolo dalla tribù vichinga dei Rus. Ma nel 1240 la città è saccheggiata e distrutta dai mongoli dell’Orda d’Oro, e l’intera pianura ucraina è occupata dai feroci invasori, salvo la Galizia, che si mette sotto la protezione polacca. Più tardi sono però i lituani a passare alla controffensiva in Bielorussia e Volinia, fino a rioccupare Kiev. Nel 1386, infine, il granduca di Lituania Ladislao II Jagellone sposa l’erede al trono polacco Edvige d’Angiò, dando vita a quella grande confederazione polacco-lituana all’interno della quale l’intera Ucraina passa sotto il controllo amministrativo della componente polacca. E’ la grande entità ribattezzata Res Publica Polonarum in latino e Rzeczpospolita in polacco, che per quattro secoli sarà la massima potenza territoriale d’Europa, e a cui si deve la definitiva separazione tra le tre branche degli eredi della Russia di Kiev. Prima di tutti i russi: quelli che cadono sotto il dominio mongolo, e tra i quali emerge l’entità del Principato di Mosca, i cui sovrani dopo la caduta di Costantinopoli si proclamano Zar, Cesari, considerandosi eredi della stessa Roma. Poi i bielorussi, quelli sotto l’amministrazione lituana. E infine gli ucraini, quelli sotto l’amministrazione polacca. In un certo modo, anche se le due unità costituitive della Confederazione sono il Granducato di Lituania e il Regno di Polonia, l’autonomia eccelesiastica dà all’Ucraina quasi uno status da terzo membro: uno status accentuato dal particolare che in quella ”terra di confine”, per proteggere la frontiera dalle infiltrazioni di mongoli, turchi e russi, la Confederazione manda in quantità servi della gleba liberati, col diritto di portare le armi. Sono i famosi cosacchi. Ma nel 1658 l’involuzione centralista dello Stato polacco porta alla grande rivolta di Bogdan Jinelnitski, e nel marzo del 1654 la Rada, ”assemblea”, di Peryaslaev proclama il passaggio sotto l’impero zarista di tutta la regione a est del Dnepr, sotto promessa del ripristino dell’autogoverno. Ma anche gli zar si rivelano poco rispettosi del particolarismo locale, tant’è che l’ataman Ivan Mazepa, capo dei cosacchi tra 1687 e 1709, cerca a un certo punto di recuperare una piena indipendenza, scegliendo tra russi e polacchi il terzo incomodo Carlo XII, re di Svezia. Ma il primo invasore europeo della Russia farà la stessa fine dei suoi emuli Napoleone e Hitler, e l’Ucraina riprenderà a essere sbocconcellata pezzo a pezzo, finché con le tre spartizioni di 1772, 1793 e 1795 sarà l’intera confederazione polacco-lituana a sparire dalla carta d’Europa, a vantaggio di Russia, Prussia e Austria. Il grosso finisce sotto gli zar, che tra 1836 e 1839 sopprimono anche ogni traccia della Chiesa Cattolica Ucraina. C’è però una fetta che va sotto l’Austria, e che dopo la riforma federale del 1867 è divisa tra i due Kronländer di Galizia e Bucovina. E lì la Chiesa Cattolica Ucraina resiste, e viene anzi favorita dal potere asburgico. Si deve pure all’amministrazione austro-ungarica la definizione per gli ucraini di ”ruteni”, che si contrappone a quella di ”piccoli russi” dell’impero zarista. Durante la Prima Guerra Mondiale è all’inizio la Rutenia absburgica a essere occupata dai russi, che tentano di favorirvi il nazionalismo slavo per preparare una futura annessione. Ma in seguito sono invece austriaci e tedeschi a penetrare in profondità in Ucraina, promuovendo a loro volta il separatismo antirusso. Quando con la Pace di Brest-Litovsk del 3 marzo 1918 gli Imperi Centrali obbligano la Russia Bolscevica a rinunciare formalmente all’Ucraina, nella regione si affrontano ben cinque contendenti. Ci sono ovviamente gli austro-tedeschi. C’è la Rada autoproclamatasi a Kiev nel marzo del 1917 che dichiara la repubblica il 19 novembre 1917 e l’indipendenza il 22 gennaio 1918: in origine dominata dai socialdemocratici di Vinnicenko, col tempo è sempre più in mano al nazionalista Petljura. C’è il governo bolscevico di Kharkov, massicciamente appoggiato dall’Armata Rossa. Ci sono i generali ”bianchi” Denikin e Wrangel al sud, anticomunisti ma anche antiseparatisti. E ci sono anche le bande dell’anarchico Nestor Machno, a volte alleate ai bolscevichi, a volte loro concorrenti. La ”normalizzazione” di Stalin Dopo il collasso dell’Impero Austro-Ungarico si aggiunge l’effimera repubblica della Galizia, che decide di riunirsi alla ”madrepatria”. Ma le truppe polacche la invadono, mentre nel dicembre 1919 è la volta dell’Armata Rossa di attaccare l’Ucraina indipendente, infine debellata nel febbraio 1920. La restaurata Polonia di Pilsudski e la Russia di Lenin sono ora fronte a fronte, e il 26 aprile va all’assalto Pilsudski, appoggiato dai resti dell’esercito di Petljura. L’8 maggio prende Kiev; ma il 18 maggio sono i generali bolscevichi Tugacevski e Budionni a partire alla controffensiva, iniziando una corsa che arriva fino a Varsavia, dove però è a sua volta fermata tra 13 e 16 agosto. L’armistizio di ottobre e la pace di Riga del 18 marzo 1921 stabiliscono dunque la sovranità polacca su vaste aree dell’Ucraina e Bielorussia occidentale, mentre nel frattempo i trattati di pace di Parigi hanno già affidato alla Romania la Bucovina e alla nuova Cecoslovacchia una porzione di Galizia denominata Rutenia subcarpatica. Formalmente indipendente, l’Ucraina bolscevica sarà nel 1924 membro fondatore della nuova Unione delle Repubbliche Socialiste Sovietiche. Tra 1928 e 1933 Stalin ”normalizza” il particolarismo ucraino attraverso una carestia indotta che sterminerà almeno 5 milioni di persone. Poi col Patto Stalin-Ribbentrop l’Urss ”recupererà” nel 1939 l’est della Polonia e la Galizia, e nel 1940 la Bucovina romena. Questi territori saranno di nuovo perduti da Mosca tra 1941 e 1944, quando l’invasione tedesca cercherà di nuovo di giocare il nazionalismo ucraino contro Mosca. E poi saranno di nuovo ripresi nel 1944, con una nuova violenta ondata di repressione, i ”collaborazionisti”. Infine nel 1945 l’Ucraina sovietica ingoierà anche la Rutenia subcarpatica, passata dopo la dissoluzione della Cecoslovacchia nel 1939 prima per 48 ore di indipendenza, poi per sei anni di annessione all’Ungheria. E sui territori ex-asburgici ormai riunificati alla ”madrepatria” nel 1946 si abbatterà l’altra tegola della sopressione della Chiesa Cattolica Ucraina, costretta col sinodo di Lvov a rientrare nell’ortodossia. Il vescovo Slipji, esarca legittimo, finirà in carcere, per non essere liberato che nel 1963, come gesto di riguardo di Kruscev verso Giovanni XXIII. La Chiesa Cattolica Ucraina non sarà riautorizzata che nel 1989, nel clima della Perestrojka. E sempre nel 1989 sarà rilegalizzata la Chiesa Ortodossa Ucraina Autocefala, che si era staccata dal Patriarcato di Mosca nel clima indipendentista del 1919, e che dopo il 1920 era sopravvissuta in esilio. Il processo separatista, che si era esteso dalla religione alla politica per culminare con l’indipendenza del 1991, sarebbe poi rimbalzato di nuovo nella religione con la scissione del 1995 del Patriarcato di Kiev dal Patriarcato di Mosca. Le incerte statistiche religiose ci dicono che del 38,5 per cento di ucraini che si dicono praticanti il 14,8 per cento seguono il Patriarcato di Kiev, il 10,7 per cento quello di Mosca, il 6,4 per cento la Chiesa Cattolica Ucraina, l’1 per cento quella Ortodossa Autocefala. C’è poi uno 0,9 per cento di protestanti, uno 0,8 per cento di cattolici romani essenzialmente di etnia polacca, un 2,1 per cento di musulmani, ebrei e altri, un 21,9 per cento di atei dichiarati. Ma la maggioranza di coloro che sono usciti dalla notte del comunismo ateo sono semplicemente confusi: diffidenti nei confronti di un’ortodossia in passato ampiamente infiltrata dal Kgb, ma anche di una chiesa autocefala che appare spesso troppo ”americana”. E quanto ai cattolici ucraini, hanno il prestigio della lunga resistenza catacombale, ma sono anche un po’ troppo caratterizzati in senso geografico nelle aree ex-asburgiche. Al ruolo di centro di Kiev tra l’ovest e est, in questi anni di indipendenza, ha corrisposto anche un accentuato cerchiobottismo dell’Ucraina in campo internazionale. Così, in cambio della rinuncia della Russia alla Crimea e di sostanziose forniture energetiche, ha restituito una parte dell’arsenale nucleare, e ha accettato anche un controllo congiunto sulla flotta del Mar Nero. Però nel 1994 ha aderito al programma Partnership for Peace della Nato, ed ha pure bilanciato un marcato avventurismo sul piano dell’export di armamenti con il sostanziale filo-americanismo sfociato nella partecipazione alla Coalizione in Iraq. Tuttavia con la crisi economica 1988-89 si sono rinfocolati anche i sentimenti filo-russi dell’est e del sud. Dall’altra parte, l’ovest ex-absburgico, ormai ai confini con l’Ue, sogna la Mitteleuropa. ”E se Yuschenko diventa presidente è inevitabile a breve tempo una richiesta d’ingresso dell’Ucraina nell’Unione europea”, dice Rocco Buttiglione. Che, tra le varie cose, è anche un cultore di storia polacco-ucraina.