Varie, 30 novembre 2004
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Nauman Bruce
• Fort Wayne (Stati Uniti) 6 dicembre 1941. Artista • «[...] Per me è già fin troppo stressante esporre il mio lavoro in pubblico. come mettere a nudo una parte importante di me stesso, esporre qualcosa di molto personale in uno spazio impersonale. E non posso sapere che ne sarà dei miei lavori, come verranno accolti. naturale che tutto ciò mi renda nervoso. [...] Naturalmente, alla fine non ho, purtroppo, alcuna influenza su come il mio lavoro viene recepito. Ma almeno posso essere chiaro nelle mie premesse [...] la sensazione di non poter sfuggire a se stessi è un elemento determinante in molti dei miei video. Non so da dove nasce. Molte cose mi vengono dalle musiche di Philip Glass, di Steve Reich o di La Monte Young, che fin dall’inizio mi hanno entusiasmato con le loro composizioni a ciclo continuo [...] Se nei miei lavori ogni tanto emerge la bellezza, o anche l’allegria, la cosa non mi spiace affatto. Ma non appartengo al genere di artisti che dipingono alberi, animali e paesaggi illuminati dal tramonto. Non ne sento l’esigenza [...] L’’ideale per me è la botta a freddo, come un colpo sulla nuca che ti stende prima di darti il tempo di sollevare questioni di gusto. Mi piace l’imprevedibile [...] è piuttosto il senso di rabbia, di frustrazione che mi spinge alla creazione artistica. Io ho bisogno di questa specie di energia grezza per dare inizio a qualcosa [...] Se sono un artista è perché ho la volontà di fare qualcosa. Ma sto attraversando periodi sempre più lunghi di inattività: non riesco a lavorare perché non mi viene in mente nulla. Finché a un dato momento mi butto a fare una cosa qualunque, senza preoccuparmi di avere una buona idea, o magari una cattiva idea, o di non averne affatto. Spesso le opere più importanti nascono proprio da questa sorta di blocco, come sotto la spinta della disperazione. E vanno diritto al nocciolo della questione, alle domande su me stesso, sul motivo vero per cui voglio fare qualcosa. L’arte per me è spesso una lotta. E mi chiedo se non potrei fare qualcosa di diverso. Mi piacciono i cavalli: potrei fare l’allevatore [...] Quando penso a come verrà recepita una mia opera immagino di rivolgermi a un amico, cercando di rappresentarmi la sua reazione. Non penso mai a un pubblico astratto, a una folla. Soprattutto non riesco a creare opere a tema. Però ho contribuito alla campagna contro Bush: ho organizzato una piccola asta [...] Il mio ritmo è lento. Tempo fa ho letto i racconti di Naipaul sul Sudamerica, sui soprusi che si commettono in quella parte del mondo. Mi ha colpito il ritorno di Evita Perón, e ho cercato di esprimere queste emozioni nel mio lavoro. Così è nato Triangolo Sudamericano. Dopo averlo appeso nel mio studio ho dovuto smettere di lavorare per sei mesi. La forza visiva che emanava da quell’opera mi piaceva; ma era la prima volta che mi azzardavo a espormi fino a quel punto, personalmente e politicamente. Mi sono chiesto a lungo se era davvero questo che volevo. In uno dei miei lavori ho inserito la scritta: ”Certi esseri umani muoiono per autospoliazione’” [...]» (Hanno Rautenberg, ”L’Espresso” 2/12/2004).