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 2004  novembre 29 Lunedì calendario

ONTANI

ONTANI Luigi Montovolo di Grizzana Morandi (Bologna) 24 novembre 1943. Pittore • «Un pittore che ama sperimentare, un artista che mescola varie tecniche giocando in modo clownesco con la sua stessa faccia, storpiandola e mascherandola [...]» (Alain Elkann, ”La Stampa” 28/11/2004) • «[...] pittore, performer, maestro della body art e del travestitismo, concettuale controvoglia, citazionista, padre non riconosciuto della Transavanguardia [...] esibisce una doppia dimensione, ironica e seria, scanzonata e terribile, spontanea e insieme manierata; è senza dubbio uno dei maestri dell’arte italiana degli ultimi quarant’anni, un caso singolare che nessun critico o storico dell’arte è riuscito, nonostante tutto, a circoscrivere e a definire. Forse perché, unico tra gli artisti che hanno debuttato dopo il 1960, ha fatto coincidere arte e vita, trasformando il suo viso, le sue fattezze e il suo corpo in un oggetto artistico, creando una forma di finzione che allude continuamente al reale senza però mai coincidere con la realtà. [...] ”La mia origine è esemplarmente provinciale. Il desiderio dell’arte si è svolto nella quotidianità come gioco. L’eros e l’arte sono illusoriamente gli elementi imponderabili della contemporaneità, gli unici rimasti”. Parla per aforismi, frasi ellittiche, che carica di un senso recondito. nato in un piccolo paese della collina bolognese, Montevolo di Grizzana Morandi, frazione di Vergato. Come se fossimo nell’Ottocento, lo definisce ”un villaggio”. Lì c’è il suo studio, quello che chiama ”il Tempio”, e a cui torna di frequente. ”Non ho studiato niente. La mia arte è basata sul dilettantismo, la sorpresa, l’imprevisto” [...] In effetti Ontani non ha frequentato nessuna Accademia di Belle Arti, solo un corso di nudo. Il suo incontro con l’arte avviene a Torino, dove va a fare il soldato nel 1963 e vede le mostre della galleria di Luciano Pistoi. Poi nel 1965 realizza gli Oggetti pleonastici, calchi in scagliola di barattoli di borotalco, scatole di uova e cioccolatini. Li espone e li indossa nel 1967. Intanto è entrato giovanissimo, attorno ai 14 anni, alla Maccaferri, un’industria locale che fabbrica fil di ferro e che ha inventato le gabbie anti-frana. Ci resta tredici anni come impiegato. [...] la morte precoce del padre, anarchico [...] nonna, atea e socialista [...] zii scappati dall’Italia negli anni Venti. ”La Maccaferri organizzò una mostra, una forma di sponsorizzazione. Nella giuria c’erano Francesco Arcangeli, Ruggeri, un giornalista colto del Resto del Carlino ed Emiliani. Videro loro le prime cose che avevo realizzato. Nel 1970 mi sono licenziato e l’amministratore della Maccaferri mi diede più della liquidazione”. Ha 27 anni e arriva a Roma. La prima casa l’affitta con Chia. Intanto Renato Barilli, il critico che l’ha sempre seguito, sin dagli esordi bolognesi, lo presenta in una mostra alla Galleria San Fedele di Milano. ”Negli anni Sessanta e Settanta l’aspetto letterario dell’arte sembrava squalificato, ma a me invece interessava molto”. L’eccentricità di Ontani si misura nelle sue messe in scena, nelle fotografie che ha realizzato già negli anni bolognesi e che lo ritraggono nei panni del Bacchino, o in quelli giovane fauno agreste. Si fa fotografare nei boschi del suo paese, nudo o ricoperto da grappoli d’uva, pampini o foglie della pianta da cui prende nome la sua famiglia. L’elemento narcisistico appare decisivo, un narcisismo di vita e non di morte. Infatti, a differenza degli artisti che praticano in quegli anni la body art, c’è nei suoi ritratti qualcosa di delicato, leggero, giocoso, e anche di infantilmente perverso. La ricerca di una visione pittorica che anticipa quel ritorno alla pittura degli anni Ottanta. come se Ontani volesse appaesarsi nello spazio e nell’arte: uscire dal suo villaggio ma farvi sempre ritorno. Un’inquietudine che assume la forma di miti e riti i quali pescano a piene mani nella tradizione artistica italiana e non solo: nella letteratura, nella storia, nella leggenda. Si traveste da Dante, Vampiro, Pinocchio, cita Tartan e Pulcinella. ”Il mondo dell’arte è un deposito d’immagini [...] Se c’è una costante nel mio desiderio è la ripetizione”. Nelle fotografie Ontani si traveste, tuttavia non è il travestitismo di Duchamp, il suo farsi donna nella celebre fotografia di Rrose Sélavy. I travestimenti di Ontani semmai lo rivelano, o meglio: lo rivelano celandolo. [...] ”Volevo stampare grandi foto. Avevo provato ai Laboratori Villani di Bologna, quelli che realizzavano le immagini di città che c’erano una volta sui treni. Ma non era possibile e dopo una ricerca andai da un laboratorio di Forlì. Eravamo all’inizio dei Cibacrome”. Lo spettacolo sembra una delle chiavi della sua arte: lo spettacolo dell’arte attraverso lo spettacolo di se stesso. Ontani appare immobile nelle sue fotografie, in realtà è una immobilità apparente. C’è qualcosa che vibra, una forma di instabilità. La mitica Galleria dell’Attico, in un garage di Roma, diventa in quegli anni il suo luogo di esposizione, anche se l’esposizione per lui sembra uno stato primigenio, il modo consueto d’essere. ”Ho stilizzato la mia vita; è un fatto di coerenza”. Ma il travestitismo dove nasce? ”Desideravo, fin da piccolo avere una coda; ma certo non mi faccio operare per averla. Ce l’ho, ma è un fatto allusivo!”. In un certo qual modo Ontani sembra aver anticipato il Posthuman, artisti come Mattew Barney, ma con un’ironia che non avrà mai. Comincia negli anni 70 l’epoca dei cortometraggi. Nel 1972 è alla Biennale con un video realizzato con Gerry Schum, autore che sarà molto importante per lui. Achille Bonito Oliva, lo scopre in quel periodo e lo fa esporre nel parcheggio sotterraneo di Villa Borghese. La mostra s’intitola Contemporanea ed è una delle più significative degli anni Settanta. Vi presenta il suo primo tableau vivant: Tartan. Lo impersona dal vivo, realizzando un’estensione delle fotografie. Perché il nudo? ”Non era una esibizione, ma la possibilità offerta dal tempo. Gli anni 70 davano un’illusione: la possibilità di un’avventura. Allora gli artisti avevano un’ideologia; mentre io ero allergico alla politica. La rispetto ma non fa per me”. Si presenta come un artista non-politico, estraneo a una generazione, la sua. Non è esattamente così. Il fatto è che Ontani in tante cose precede la sua generazione, per questo resta sempre in disparte. Ma la sua opera si sviluppa anche in dialogo con l’epoca in cui vive. [...] nel 1974 è andato in India? ” il mio altrove. O almeno lo è stato fino all’avvento di Internet: era l’esempio di una civiltà contemporanea con una diversa dimensione di vita e di pensiero. Ora non più”. Tra le foto appese nella sua casa ci sono i piccoli quadretti che lo ritraggono nei panni di divinità indiane a fianco di ragazzi o bambini. Acquerellate a mano, sono piccoli capolavori in cui la passione sembra a un tempo espulsa e quindi reintrodotta. ”Rifuggo il sentimento [...] preferisco una prospettiva più concettosa”. Ma come si fa a essere sensibili senza essere sentimentali? ”La mia arte è più seduzione che sentimento”. Questa chiave - il sentimento rifiutato, rimosso, ma che affiora di continuo, come allusione - sembra decisiva. La sua maniera appare una forma di esistenza riuscita. Come si definirebbe? ”Sono insofferente, non inquieto”. E il tema dell’omosessualità? ”Quando l’omosessualità diventa una regola, allora ha dei limiti” [...]» (Marco Belpoliti, ”La Stampa” 12/1/2006).