Piero Galeotti (Università di Torino), tSt 24/11/2004, pag. 2., 24 novembre 2004
[Nuova teoria sulle supernove] Molti lettori ricorderanno che l’unica supernova dell’era moderna visibile a occhio nudo (sia pure con difficoltà e dall’emisfero australe) esplose nella Grande Nube di Magellano il 23 febbraio 1987; l’ultima supernova precedente era stata osservata da Keplero nel 1604, cinque anni prima che Galileo Galilei incominciasse a puntare il suo piccolo telescopio verso il cielo: «Tuttoscienze» ha rievocato questo evento il 13 ottobre scorso, a quattrocento anni esatti di distanza
[Nuova teoria sulle supernove] Molti lettori ricorderanno che l’unica supernova dell’era moderna visibile a occhio nudo (sia pure con difficoltà e dall’emisfero australe) esplose nella Grande Nube di Magellano il 23 febbraio 1987; l’ultima supernova precedente era stata osservata da Keplero nel 1604, cinque anni prima che Galileo Galilei incominciasse a puntare il suo piccolo telescopio verso il cielo: «Tuttoscienze» ha rievocato questo evento il 13 ottobre scorso, a quattrocento anni esatti di distanza. Una supernova è un fenomeno esplosivo che segue il collasso gravitazionale delle parti interne di una stella di grande massa alla fine della sua vita quando, terminata la fase di bruciamento termonucleare della materia che la costituisce, la liberazione di energia cessa e la stella si contrae per effetto delle forze di gravità non più contrastate da altre forze. Secondo i modelli teorici il collasso gravitazionale avviene in un tempo di pochi secondi durante il quale tutta l’energia gravitazionale viene liberata sotto forma di neutrini (e di onde gravitazionali se il collasso non avviene a simmetria sferica): durante il processo la luminosità neutrinica, oltre 10 elevato alla diciannovesima potenza volte quella del Sole, supera la luminosità in fotoni dell’intero universo. Il dato più interessante e controverso legato alla supernova del 1987 fu proprio l’osservazione dei neutrini, in quanto, anziché una sola emissione, ne vennero osservate due, segno di due possibili esplosioni della stella, cosa non prevista da alcun modello teorico. Per primo il Laboratorio del Monte Bianco annunciò l’osservazione di un evento; due settimane dopo anche gli esperimenti IMB negli Stati Uniti e Kamioka in Giappone annunciarono l’osservazione di un secondo evento, ritardato però di 4,7 ore rispetto a quello osservato al Monte Bianco. Inoltre, anche le uniche due antenne per la rivelazione di onde gravitazionali in funzione allora, a Roma e in Maryland (Stati Uniti), registrarono un evento in coincidenza temporale tra loro al tempo del Monte Bianco. Poiché nessun modello di collasso prevedeva una doppia emissione, sorse una lunga discussione sulla significatività di queste osservazioni e, dopo alcuni mesi, gli eventi del Monte Bianco e delle antenne gravitazionali vennero dimenticati pur avendo, dal punto di vista sperimentale, tutte le caratteristiche per poter esser definiti ottimi segnali. In realtà, i modelli teorici su cui si è fondata questa conclusione sono approssimati in quanto trascurano parametri fisici importanti quali l’effetto del campo magnetico e della rotazione della stella che collassa; è ben noto invece che i residui delle supernove, le stelle di neutroni, sono gli oggetti con il più intenso campo magnetico e la più grande velocità di rotazione dell’universo. Inoltre, poco dopo l’esplosione, è stato fatto uno studio dettagliato di tutti i dati sperimentali dei rivelatori di neutrini e di onde gravitazionali che ha mostrato un eccesso di coincidenze al tempo del Monte Bianco, molto probabilmente connesso con l’esplosione della supernova. In passato, per interpretare tutti i dati sperimentali sono stati formulati modelli non convenzionali di collasso, basati sul fatto che, a causa della rapida rotazione, la stella si sia frantumata dando luogo ad un primo collasso in una stella di neutroni e un successivo collasso in un altro oggetto, quale un buco nero o una stella a quark strani. Un nuovo studio, recentissimo e molto dettagliato, compiuto da fisici russi prevede proprio che una stella di grande massa che collassa si spezzi in due o più corpi a causa della rotazione e che il collasso avvenga in due stadi, con una doppia emissione di neutrini. Le onde gravitazionali verrebbero emesse per tutto il tempo durante il quale i frammenti ruotano intorno al loro centro di massa, ossia per tempi dell’ordine di alcune ore, proprio come osservarono le antenne gravitazionali di Roma e del Maryland durante l’esplosione della supernova 1987A. Se il modello è vero, forse le onde gravitazionali sono già state osservate; se non è vero, come si possono interpretare i dati delle osservazioni al tempo della supernova del 1987? Gli esperimenti di nuova generazione per la rivelazione di neutrini o di onde gravitazionali saranno in grado di risolvere il problema, ma servirà un’altra supernova. Speriamo di non dover aspettare quattrocento anni per poter dare una risposta a queste domande.