Varie, 25 novembre 2004
Tags : Les Murray
Murray Les
• Nabiac (Australia) 17 ottobre 1938. Poeta • «Il maggior poeta australiano vivente e ai vertici della letteratura di lingua inglese [...] ascendenza scozzese e cattolico convertito, pone l’Australia al centro del suo universo poetico, il paesaggio, le comunità rurali, i suoi valori e naturalmente il suo linguaggio. Non a caso la sua raccolta antologica più nota, apparsa nel 1976, si intitola The Vernacular Republic. [...] detesta i razionalisti, i secolari, incapaci di sondare i misteri della vita e della morte. Si avvale di ritmi fondati su uno schema di due o tre scansioni per verso, né accentativi né sillabici in cui confluiscono linguaggio popolare e oralità tipica degli aborigeni: spesso le sue poesie contengono autentici riti di passaggio, e non disdegnano apporti, ad esempio, di matrice indiana [...] L’opera più impegnativa di Murray, riconosciuta ormai come iol suo capolavoro [...] è una sorta di romanzo di moderna epica, in versi, FredyNeptune [...] Son ben cinque libri, milleduecento strofe per quasi diecimila versi, ma di travolgente leggibilità. La struttura è quella di un viaggio per il mondo, un’avventura picaresca, tra le due guerre mondiali [...]» (Claudio Gorlier, ”La Stampa” 24/11/2004). «Autore paradosso, gigante singolare, personalità fuori dall’ordinario. Di corporatura sorprendente per linee estese e scomposte [...] ventre immenso e acciambellato, rispetto al quale spicca, per contrasto, la piccolezza della testa calva. [...] Quanto alla lingua, è uno dei punti di forza di quest’autore quasi sconosciuto in Italia, eppure esaltato dalla critica anglofona come scrittore tra i più emblematici della vitalità delle aree ”periferiche” della cultura letteraria inglese. Il suo è un linguaggio così generoso di misure e forme, così denso nella concretezza delle immagini e imprevedibile nella varietà dei registri, da indurre Brodskij a sostenere che ”è grazie a Murray, semplicemente, che la lingua vive”. [...] ”I versi giungono così, come visioni [..] Una cosa è certa: la poesia va sognata. E anche danzata e pensata. In realtà tutti i sistemi di pensiero sono poemi. Il poema di Hitler, o quello di Gesù, o quello di Stalin, o quello di Marx, erano diversi dal mio, nel senso che le poesie dei poeti sono sistemi chiusi, con un inizio e una fine, mentre i poemi del mondo hanno bisogno di una realizzazione esterna. Nel caso del signor Ferrari, il suo poema si è concretizzato in una macchina sportiva rosso fiamma. la poesia a modellare il modo di agire e pensare degli esseri umani”.[...] genitori poverissimi, Murray crebbe nell’isolata valle di Bunyah, dove ha piantato saldamente le sue radici umane e spirituali, e dov’è tornato a vivere negli anni Ottanta: ” una valle occupata per un terzo da foreste di sempreverdi, con fattorie di bestiame e di cavalli. Quand’ero piccolo c’era anche un ufficio postale diretto da mia zia, che controllava tutti i pettegolezzi. Grande patrimonio: il pettegolezzo è il romanzo immortale dell’umanità, la mia vera scuola”. Quanto alla scuola istituzionale, vi entrò soltanto nove anni: ”Che male c’è? Anche Dio è autodidatta. Comunque a leggere avevo imparato da solo, a tre anni. Leggevo tutto ciò che trovavo, dalle enciclopedie ai testi medici, dai fumetti a Darwin. Per questo andare a scuola, quando cominciai a farlo, mi parve una gran perdita di tempo”. Murray entrò poi all’Università di Sidney, ma la lasciò presto per darsi ai lavori più svariati. Per anni, prima del ritorno a Bunyah, viaggiò per tutta l’Australia, ”questa terra che è la mia mente”, diventandone voce e memoria, e assegnando alla sua poesia, come funzione primaria, la celebrazione dei tratti del suo paese. Mondo mobile e interrazziale, ”afflitto dalle dipendenze culturali (dall’Europa, dagli Stati Uniti, dall’Asia), eppure per molti versi ignaro delle origini europee della maggior parte dei suoi abitanti”, ricco di promesse democratiche ma al tempo stesso indifferente agli obiettivi più alti del pensiero: ”Gli australiani pensano che la nostra sia una patria di accoglienza di rifugiati e vittime e che la violenza della storia sia sempre altrove. Hanno, certo, un forte senso della collettività, che fin da metà Ottocento permise molte conquiste sociali. Eppure vi dominano il conformismo nel campo delle arti, un culto salutistico demente e una buona dose di materialismo nella concezione del successo. Se un tempo l’Australia fu luogo di realizzazione per gente povera e profughi, oggi è il regno dei campioni sportivi e dei produttori di vini. La letteratura è confinata al mondo degli intellettuali coi quali io non condivido alcun valore”. Si dice che Murray, nel suo paese, abbia un’immagine conservatrice e reazionaria: ”Accuse idiote, che nascono dal mio approccio anti-élitario alla cultura. Io ho voglio scrivere per tutti. Non sono sperimentale né intellettualistico. E non faccio politica. Inoltre negli anni Settanta fui attaccato perché mi pronunciai sui diritti di assegnazione delle terre, sostenendo che i discendenti dei bianchi avevano gli stessi diritti degli aborigeni: perché gli ex coloni non sono più soltanto europei, proprio come i veri australiani non sono più solo gli aborigeni”» (Leonetta Bentivoglio, ”la Repubblica” 25/11/2004).