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 2004  novembre 24 Mercoledì calendario

DE BERARDINIS Leo (Leone) Gioi (Salerno) 3 gennaio 1940, Roma 18 settembre 2008. Attore • « un grande del teatro italiano, ma anche un tipo scomodo

DE BERARDINIS Leo (Leone) Gioi (Salerno) 3 gennaio 1940, Roma 18 settembre 2008. Attore • « un grande del teatro italiano, ma anche un tipo scomodo. [...] aveva iniziato negli anni ”60 (con Perla Peregallo, compagna di scena e vita per 15 anni) nelle cantine romane, poi giù fino a Marigliano a ”contaminarsi” con la sceneggiata e una realtà sociale degradata. La critica non era mai stata tenera con lui [...] ”Porto avanti da anni il concetto di teatro popolare e di ricerca. Ma sono concetti sui quali bisogna ancora intendersi. Teatro popolare significa elevare e non abbassare la forza e l’emozione poetica. Popolare è il teatro greco. Popolari sono Shakespeare e Mozart. Il pubblico deve ritrovarvi la bellezza, averne nostalgia quando ne esce e così rivendicarla nella società. Certo va fatto da grandi maestri. [...] alla sperimentazione si arriva dopo un lavoro enorme: lo spontaneismo in palcoscenico è un grande equivoco che ancora pesa sul cosiddetto teatro d’avanguardia. Etichette d’avanguardia io non ne ho mai volute. Attori si nasce ma si diventa. le capacità naturali vanno rigorosamente affinate nella tecnica, poi bisogna far sparire la tecnica. Come nelle arti marziali” [...]» (Emanuela Garampelli, ”Sette” n. 2/1999) • «[...] regista e autore ”ribelle” tra i più importanti del teatro di ricerca italiano. [...] vissuto a Foggia e a Roma, era in stato vegetativo dal 2001 per l’errore di un anestesista (condannato in primo grado) in un intervento chirurgico plastico. Diretto forse solo da Enriquez, Leo ha tra i primi ”compagni di strada” Carlo Quartucci, poi Carmelo Bene con cui nel ”68 crea un Don Chisciotte
del tutto unico; nello stesso anno dedica un film a Charlie Parker perché ”per me – diceva – l’attore ideale è il grande jazzista”. Negli anni ”70 con Perla Peragallo riunisce nel teatro di Marigliano, nell’entroterra napoletano, attori improvvisati e improvvisatori. Nel 1983, a Bologna, fautore ”del teatro come serata irripetibile, nudo e bianco” guida la Cooperativa Nuova Scena in singolari spettacoli scespiriani tra cui Amleto, King Lear studi e variazioni e La Tempesta. Oltre a Shakespeare considerava suoi maestri Totò (Come una rivista: da Eschilo a Totò è un’ode al teatro) e Eduardo De Filippo. Del 1987 è il Teatro di Leo; del ’94 il Teatro Laboratorio San Leonardo di Bologna, fino al ’97 la direzione artistica del Festival di Santarcangelo di Romagna. Ultimo suo lavoro, nel 2000, Past Eve and Adam’s. Il 4 maggio 2001 gli è stata conferita la laurea honoris causa dalla facoltà di Lettere dell’Università di Bologna. [...]» (Claudia Provvedini, ”Corriere della Sera” 19/9/2008) • «[...] uno dei grandissimi della scena italiana. Tra coloro che hanno calcato nel dopoguerra le tavole del palcoscenico gli stanno alla pari solo Eduardo De Filippo, Salvo Randone e Carmelo Bene. [...] Il punto cruciale della sua carriera e che ne distingue il cammino da quello, parallelo, di Carmelo Bene, è nella peculiare evoluzione del suo progressivo emanciparsi dalla testualità in quanto rigore e gabbia, in quanto presupposto idealistico. In questo senso, va da sé, Leo è con Carmelo uno dei due grandi interpreti materialisti della nostra scena: l’uno e l’altro privi di ogni indulgenza, o accondiscendenza, nei confronti del secolare primato della scrittura drammaturgica. La differenza tra Carmelo e Leo è dunque questa: per Carmelo il problema non è solo formale o strutturale, ma anche contenutistico. Egli resta un beffardo, un dissacratore. Leo, un dissacratore non ha mai voluto esserlo. Al contrario, qualche volta lo accusammo di essere solenne, di cedere a compiacimenti intimistici, se non virtuosistici. Ma per quanto riguarda il rapporto, là sulla scena, tra ciò che era stato scritto prima, secoli prima, e il presente, il rapporto restava chiaro e inequivocabile: il primato spetterà sempre al presente, al corpo dell’attore che si consuma nell’atto stesso di fare teatro. Come Carmelo, Leo è un maestro della contaminazione; ma in modo più sfolgorante di Carmelo resta un grande attore lirico. [...] Girando l’Italia, come fosse in esilio, è andato prosciugando il suo linguaggio, fino alla pura scarnificazione: il che accadde nel decennio tra i Settanta e gli Ottanta. Ma nonostante il suo autore, se ne ha avuto uno preferito tra gli altri (Eduardo, Buster Keaton, Totò, Charlie Parker, Dante, Verdi), nonostante il suo autore sia stato Shakespeare, il primo suo capolavoro è uno spettacolo intitolato Novecento e Mille: niente altro che un collage di testi poetici, i più disparati, di addio a un mondo culturale e poetico. A questo mirabile evento del 1987 seguì più tardi uno spettacolo dedicato a Molière – un drammaturgo di cui non si era mai occupato e di cui massimamente lo attrasse la disperata e tragica vita – e, altro capolavoro,
Totò, principe di Danimarca: uno spettacolo che già nel titolo mostra la natura della contaminazione perseguita da Leo: un’arte dell’accostamento esercitata nel nome della devozione non meno che della libertà» (Franco Cordelli, ”Corriere della Sera” 19/9/2008) • « Artista dalle tante vite, è scomparso due volte [...] ridotto in coma irreversibile il 16 giugno 2001 per un episodio di sospetta malasanità (un’anestesia letale per un intervento di chirurgia estetica a Villa Torri di Bologna) [...] uno dei talenti più impetuosi, creativi e profondi del teatro di ricerca di fine ”900, dotato di tanto genio e sincerità da essersi meritato una vera fama d´artista popolare, non a caso sostenitore, come amava dire, di una ”tradizione del nuovo”. Eppure Leo, nato in provincia di Salerno, non s’era risparmiato, fin da ventiduenne, a Roma, ogni avventura radicale, con le stimmate d’una sperimentazione condivisa all’epoca con Carlo Quartucci. Nel 1967 scattò una scintilla artistica e personale che sarebbe diventata leggendaria: il rapporto intenso con Perla Peragallo, con la quale iniziò accostandosi a Shakespeare, collezionando anche un profetico tu per tu con Carmelo Bene per un Don Chisciotte a base di armature, strumenti e vetri rotti. Con Perla fonderà il Teatro di Marigliano che permise operazioni di svolta dal titolo King lacreme Lear napulitane, Sudd e Chianto ”e risate e risate ”e chianto, fino a un XXXIII Paradiso, toccando Poe e, per vocazione di cuore, lo sketch del ”wagon lit” di Totò, incarnando poi Keaton e Majakoskij, Petrolini e Viviani. E sempre più, per un Leo attore-jazzista, la musica entra nei suoi spettacoli, capace nel 1991 di stare sotto i riflettori con Steve Lacy. Ma ha anche a cuore i nuovi linguaggi, fa un censimento dei giovani gruppi, dirige dall’83 a Bologna la cooperativa Nuova Scena, crea il Teatro di Leo e con un laboratorio di attori tutti suoi, con un carisma potente affronta Macbeth, entra nel mondo di Eduardo con Ha da passà ”a nuttata. Poi è tutto un ripasso dei fondamentali, da Totò, principe di Danimarca a I giganti della montagna, dalla commedia dell’arte del Ritorno di Scaramouche a LearOpera, con uno stuolo di attori (Bucci, Sgrosso, Mazza, Sacchi, Randisi, Vetrano, Capone) che restano un patrimonio quanto il suo archivio offerto al Dams di Bologna. [...]» (Rodolfo Di Giammarco, ”la Repubblica” 19/9/2008) • «[...] un grande anticipatore che seppe indicare nuove vie alla rappresentazione e ai modi interpretativi già da quando veniva guardato come un imitatore di Carmelo Bene, tanto che quel genio volle presto recitargli assieme, ma una volta sola perché i modelli Leo li scavalcava, proteso com’era sempre a mettere in luce il nuovo sotto gli stampi antichi. Ed eccolo isolarsi con Perla a Marigliano alla ricerca di una scena e di una compagnia popolari, misurandosi con la sceneggiata ma con uno sguardo radicale alle cose che poteva far citare la spietatezza di Beckett. In effetti il suo senso della vita passava attraverso il teatro in modo talmente furibondo da far confrontare ogni genere alla sua intelligenza, come seppe fare negli anni esemplari passati a Bologna con Nuova Scena, in cui brillò per la perfezione visiva mentre allo stesso tempo formava un´intera generazione che non ha mai smesso di restargli fedele. E lo troviamo allora a rivisitare da maestro inventivo del repertorio e della comunicazione le glorie delle nostre maschere a Parigi nel Settecento e indossare i panni della Ilse dei Giganti della montagna, trovare un ponte tra Amleto e Dante, ma anche con Totò, aggiornare ”la nuttata” di Eduardo, per raggiungere il punto più alto in Novecento e mille, spettacolo del secolo su un secolo poco rimpianto ma rivissuto con un senso straordinario della realtà umana, scenica e intellettuale, in cui a un certo punto i Sei personaggi incontravano i colleghi di Aspettando Godot. E non a caso quel secolo maledetto l’avrebbe concluso con uno spettacolo solitario che, col titolo joyciano di past Eve and adam’s, riuniva una manciata di materiali degli autori prediletti, traghettati dalla sua isolata presenza di ineguagliabile attore, mutando duttilmente d’identità, quasi in forma d’addio» (Franco Quadri, ”la Repubblica” 19/9/2008).