Varie, 22 novembre 2004
RANA Gian Luca
RANA Gian Luca San Giovanni Lupatoto (Verona) 20 dicembre 1965. Imprenditore • «Siccome, spiega Rana junior, “quando si fanno i tortellini si è un po’ concentrati”, il papà si presentò in ospedale per conoscere il suo primogenito quando questi vagiva già da tre giorni. “Adesso corri in Comune a dir che abbiamo un figlio”, gli ingiunse la moglie Laura. Emozionato come tutti i neopadri, Giovanni Rana, il futuro dominus della pasta fresca d’Italia, si ritrovò di fronte all’impiegato comunale con una gran confusione in testa. Con Laura erano d’accordo sul primo nome, il piccolo si sarebbe chiamato Giovanni come papà, ma qual era l’altro, il nome che piaceva a lei, quello che voleva come secondo? Rana senior ricordava vagamente, doveva essere uno degli Evangelisti, ma quale? Da uomo pratico, li fece scrivere tutti, uno dietro l’altro, e poi tornò a impastare tortellini. Mancavano due giorni al Natale del 1965. Giovanni Luca Matteo Marco Rana, Gian Luca per farla breve, figlio unico di Giovanni Rana, è cresciuto in una famiglia così, con genitori che litigavano molto, ma quasi solo su quantità e qualità dei ripieni o sulla sottigliezza della sfoglia. Il tortellino non è roba da poco, la sua ricetta è addirittura depositata alla Camera di Commercio di Bologna, con atto notarile del 1974. È un classico di tutto il Nord, anche di San Giovanni Lupatoto, pertanto, dove la gente veneta lavora tanto, lavora sempre. “Non ho mai visto mio padre fare più di cinque giorni di vacanza l’anno — riconosce Rana junior —. E anch’io al quinto giorno dico a mia moglie Antonella: “Quando si torna’?”. [...] Gian Luca Rana sembra uno spot ambulante del made in Italy: uomo del Nord Est, imprenditore nel settore gastronomico, punto di forza dell’Italia del futuro, s’è scelto perfino un hobby affine all’impresa: gli piace cucinare e cucina, infatti, per amici, ospiti, se non ha sottomano grandi gruppi, cucina per sé e per la moglie. In tempi in cui i ravioli si mangiano tutti i giorni, selezionando tra centinaia di ripieni diversi, i Rana hanno deciso di sferrare l’offensiva europea. Vendono a Stoccolma e a Parigi, avendo cura di non proporre lo stesso identico prodotto ai madrileni. “Se la parola godereccio con quel suo libidinoso gonfiarsi di guance e sciaguettare di lingua sul palato, avesse un simbolo, un’idea, questo sarebbe un tortellino”, si legge [...] sulla colta MicroMega. Intanto, grazie agli spot, Giovanni Rana è diventato a Madrid “el jenio de la pasta fresca”, un personaggio. [...] “Vogliamo diventare una multinazionale tascabile, avere un’espansione europea. L’ambizione è diventare un brand, essere riconosciuti per la qualità del prodotto. È un rischio, lo so: affrontare il mercato spagnolo, francese ed inglese in una volta sola, è roba da non dormirci la notte. Io poi, almeno in questo non sono come papà. Di notte lui dorme, gliel’ha insegnato sua madre: ‘Di mattina le cose si vedono in modo diverso’. Io, invece, sto sveglio [...] Se sette anni fa avessimo deciso di limitarci all’Italia, oggi avremmo molti più soldi in banca, ma anche molto meno futuro [...] Essere presenti in tutti i Paesi europei con uomini e filiali. Adeguarsi ai gusti locali. Gli spagnoli amano il ripieno con la mozzarella? Glielo diamo. Senza stravolgere le ricette, però. E poi, gli investimenti sono proporzionati al Paese: in Lussemburgo non abbiamo scatenato le armate, abbiamo solo due persone; gli stabilimenti li teniamo in Italia, le produzioni più sofisticate si continuano a fare a San Giovanni Lupatoto. La tagliatella è semplice, ma le invenzioni, lo gnocco ripieno, la sfoglia grezza, vanno seguite da vicino [...] Mio padre ha cominciato come garzone di panetteria. Aveva la quinta elementare, andava in giro per i negozi a portare il pane. A un certo punto, s’è accorto che si cominciavano a vendere pure i tortellini. Ha capito che stava cambiando tutto, le donne volevano stare fuori casa, lavorare, non avevano più tempo per tirare la sfoglia. Quando s’è fidanzato con mamma, nel ’62, hanno subito messo su un’aziendina. Alla fine degli anni Sessanta avevano già una ventina di operaie. Il mio primo ricordo è legato al lavoro: mi rivedo a tre anni, sul motorino di papà che andava a fare le consegne nei negozi. Tenevo in mano i vassoi con i tortellini [...] A scuola, dai Salesiani. È stata un po’ la mia casa. Ho avuto insegnanti importanti per la mia formazione, non per quel che studiavo, ho fatto ragioneria e come tutti ricordo poco delle materie, ma per l’esempio, per i concetti che mi trasmettevano. C’era il professor Luciani, quello di francese, oppure don Benini... Ogni mattina, alle sette e un quarto, prendevo la corriera per andare a Verona. L’esempio l’avevo in casa, non mi è mai pesato [...] Ogni tanto mio padre mi chiedeva: ‘E to ciopà careghete?’. Hai ancora preso delle seggiole? Significava prendere dei ‘4’. Non ero uno studente secchione, ma nello sprint finale ce l’ho sempre messa tutta. Volevo avere l’estate libera per andare in azienda [...] Mia madre mi controllava. Mio padre no. Non interveniva mai. Da adulto gliel’ho chiesto: ‘Papà, perché non mi hai mai difeso?’. ‘Cosa vuoi — mi ha risposto —. Con la mamma litigavo già tanto sui tortellini...’. A sedici anni mi sono impuntato, volevo la moto. Loro due: ‘No, è pericolosa’. Decisi di non parlare più. Una volta, ho sentito mio padre che si sfogava con mia madre: ‘Ma tolemola ’sta moto. Compriamogliela. Gavemo in casa un muto...’. Mi sono vergognato di me. Stavo ottenendo quel che volevo comportandomi da bambino capriccioso. La moto non l’ho chiesta più [...] Ero iscritto a Trento, economia aziendale. In quell’anno, è successo di tutto. I miei si sono separati, mio padre mi ha chiamato: ‘Se non mi stai vicino, mollo tutto’. Ci ho pensato su a lungo, ma lui mi aveva dato fiducia assoluta, non potevo deluderlo... Sono rimasto a San Giovanni Lupatoto, la mia università è stata guardare i miei dirigenti, imparare da loro. Anche dai tradimenti’. Il tortellino, invece, non tradisce mai» (Maria Latella, “Corriere della Sera” 22/11/2004).