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 2004  novembre 22 Lunedì calendario

Chang Iris

• Princeton (Stati Uniti) 28 marzo 1968, Los Gatos (Stati Uniti) 11 novembre 2004 (suicida). Storica. «Enfant prodige divenuta celebre nel 1997 con il suo best-seller mondiale Lo stupro di Nanchino (tradotto in Italia nel 2000, edizioni Corbaccio). Un’opera che ha squarciato sessant’anni di silenzi, bugie e omertà, rivelando uno dei più atroci crimini contro l’umanità: il massacro di 260.000 civili cinesi in una sola città, da parte dell’esercito nipponico nel 1937. Un libro al centro di controversie furiose e tuttora rifiutato dai giapponesi. La fine di Iris Chang diventa il simbolo della maledizione che perseguita le più grandi nazioni asiatiche, dove la memoria storica è rimossa e le vittime non possono neppure ottenere il risarcimento morale della verità. I ricordi familiari le avevano ispirato una sfida, che era diventata la missione della sua vita: fare luce sui crimini di guerra giapponesi. I suoi nonni erano scampati per miracolo da Nanchino e nei loro racconti sulla furia degli invasori lei aveva trovato i primi indizi di una vicenda quasi invisibile nei libri di storia. ”Il più rivoltante singolo episodio di barbarie in un secolo già pieno di orrori - lo ha definito George Will - un evento quasi completamente dimenticato prima che Iris Chang lo mettesse al centro del suo libro”. Per l´Asia quella tragedia segna il vero inizio della seconda guerra mondiale, due anni prima che Hitler invadesse la Polonia. In una Cina in piena disgregazione, contesa dalle potenze coloniali, al Nord le forze imperiali giapponesi si erano già annesse la Manciuria dal 1931. Il 7 luglio del 1937, usando come pretesto un incidente con le truppe locali sul ponte di Marco Polo vicino a Pechino, i giapponesi si lanciano verso il Sud per invadere l’intera Cina. Dopo avere espugnato Shanghai l’armata dell’imperatore Hirohito risale il corso del fiume Yang-tze e il 13 dicembre del 1937 entra nell’antica città di Nanchino, che il Kuomintang di Chiang Kai-shek ha ripristinato come capitale nazionale. Lì la brutalità delle forze di occupazione si scatena. una strage senza precedenti. In sole otto settimane i giapponesi incendiano e distruggono gran parte della città, uccidono 260.000 civili e stuprano oltre 20.000 donne, su una popolazione di un milione di abitanti. In proporzione è un massacro che supera il bilancio di Dresda o di Hiroshima nella seconda guerra mondiale. Il saggio di Iris Chang è costruito in tre parti, con tre angolature rigorosamente diverse: il punto di vista dei militari giapponesi; i resoconti dei cinesi sopravvissuti; infine le testimonianze degli occidentali che vivevano nella zona internazionale della città (i quartieri assegnati alle potenze coloniali, sul modello di Shanghai). La prima parte aggiunge materiale agli studi di psicologia del genocidio e della pulizia etnica. Come nel caso dell’Olocausto nazista, ciò che colpisce è la ”normalità” dei carnefici, insieme con la cultura della superiorità razziale che riduce le vittime a non-umani. Emergono però anche contrasti al vertice dell’esercito nipponico. Almeno un generale tenta di opporsi alla distruzione di Nanchino, propone una politica di alleanze e di consenso con la popolazione locale in vista di un’occupazione di lungo termine. Alla fine il Giappone opta per la soluzione più ”economica”. La rapidità della sua avanzata pone grossi problemi di gestione del territorio conquistato, la città è nel caos, l’occupante non è pronto a sfamare tutta la popolazione, lo sterminio ha una sua terribile ed efficiente razionalità. La Chang ha indagato anche sul ricorso massiccio allo stupro, il rito sistematico della violenza sessuale sulle donne come parte integrante della cultura di guerra. Gli eccessi a Nanchino sono tali che perfino le autorità militari nipponiche hanno qualche ripensamento. Per ”regolare” dall’alto in qualche modo gli stupri, nel corso della seconda guerra mondiale i vertici giapponesi adotteranno la soluzione delle comfort women, le prigioniere relegate nei bordelli per soldati. Coronato da un successo mondiale, Lo stupro di Nanchino ha suscitato controversie mai sopite. Le prove raccolte dalla Chang sono state confutate dai politici e dagli storici giapponesi, con qualche appoggio nell’ambiente accademico americano. L’autrice è stata accusata di avere esagerato le dimensioni della strage senza portare prove sufficienti. In effetti non mancano lacune e contraddizioni nelle testimonianze cinesi, anche perché il passaporto americano della Chang all’inizio non le ha semplificato il lavoro nel paese d’origine della sua famiglia. Inoltre per accelerare l’eliminazione dei cadaveri i soldati ne buttarono migliaia nel fiume Yangtze, il che ha reso impossibile ogni conteggio esatto basato sui resti umani. Di fronte alle critiche è decisiva la terza parte del saggio, quella fondata sulle fonti occidentali. John Rabe, uomo d’affari tedesco nonché nazista militante, salvò dalla morte centinaia di migliaia di cinesi nella zona internazionale (curiosamente, nella seconda guerra mondiale i giapponesi daranno a loro volta prova di clemenza verso gli ebrei tedeschi rifugiati nel celebre ”ghetto di Shanghai”: a ciascuno le sue vittime). La Chang ha ritrovato una documentazione importante negli archivi della Yale Divinity School, collegio di missionari americani a Nanchino. Infine negli archivi del Dipartimento di Stato Usa un telegramma intercettato nel 1938 da Tokyo e firmato dal ministro degli Esteri Hirota Koki afferma testualmente: ”Resoconti verbali di testimoni oculari attendibili e lettere di individui la cui credibilità non è sospetta, offrono le prove che il nostro esercito si è comportato in modi che ricordano Attila e gli Unni”. [...] Il problema della memoria ha perseguitato Iris Chang. Nell’introduzione al suo libro c’è la citazione di George Santayana: ”Chi non ricorda il proprio passato è condannato a ripeterlo”. [...] Secondo il marito e il giurista Ignatius Ding che collaborava al suo progetto, la sua depressione è stata aggravata dalla frequentazione quotidiana con le vittime della tortura» (Federico Rampini, ”la Repubblica” 22/11/2004).