Brunella Giovara, La Stampa 19/11/2004, pag. 25., 19 novembre 2004
[Dizionario dei linguaggi giovanili] Ad esempio, sbarbina. Parola che capirete al volo se avete cinquant’anni (e più), o meno di vent’anni
[Dizionario dei linguaggi giovanili] Ad esempio, sbarbina. Parola che capirete al volo se avete cinquant’anni (e più), o meno di vent’anni. Padri e figli, almeno sul modo di definire una «ragazza giovane e carina, una squinzia», sul punto si troveranno d’accordo, perché sbarbina è una di quelle parole che attraversano le nostre gioventù. E se volete capire il perché di questa saldatura generazionale, allora leggetevi il nuovissimo «dizionario storico dei linguaggi giovanili», dal titolo Scrostati gaggio!, edito dalla Utet e in uscita in questi giorni. Uno dei pochi dizionari che si possano anche leggere - anziché solo consultare - data la ricchezza degli esempi citati e il sano divertimento che spesso ne deriva, qualunque età si abbia. Con la premessa che la trivialità è d’obbligo, nel linguaggio giovanile (e poi invecchiando per lo più passa), e l’approccio è assolutamente scientifico. Sbarbina, allora. «Il Gorla, il pirlino, seduto sulla punta della sedia, insiste: ”Io comunque preferisco le sbarbine giovani!”» (tratto da Umberto Simonetta, «Tirar mattina», «trilogia giovanile» risalente agli anni Sessanta). Ma anche «Le sbarbine sono bionde/le sbarbine sono more/le sbarbine sono tante/le sbarbine in amore/Mi piaccion le sbarbine/anche se mi fan soffrire», e questi sono gli Skiantos, dall’album Kinotto, che se avete almeno trent’anni non potete che ricordare con un qualche rimpianto. Gli Skiantos, e l’indimenticabile Simonetta, sono alcune delle migliaia di fonti consultate e repertate dai due autori di Scrostati gaggio! (che poi significa «vattene, idiota!»), Renzo Ambrogio e Giovanni Casalegno. «Quattro anni di lavoro durissimo...», sospira Ambrogio, che spiega anche che «mancava un’opera lessicografica in ambito giovanile», che avesse un rigore scientifico e che rendesse conto (e onore) alla straordinaria ricchezza del linguaggio dei ragazzi, nel passaggio delle generazioni, nell’evoluzione della storia, del costume, tra le suggestioni della politica, della televisione e della musica (e anche di Internet, ormai) e il fascino di quel linguaggio «nascosto» che da sempre i giovani utilizzano per non farsi capire dagli adulti. Ma c’è un altro fascino, ed è quello che Ambrogio individua come caratteristica fondamentale: «La mutevolezza spazio-temporale, l’essere in continuo divenire». Il «giovanilese» pesca ovunque, piega qualunque parola alle proprie esigenze, ma è sempre pronto ad abbandonare - e a far morire - quanto non è più necessario, quanto non piace più. Risulta perciò particolarmente difficile da catalogare e da costringere negli spazi obbligati di un’opera come è un dizionario (gli autori infatti raccontano di aver dovuto stringere e tagliare, e di aver avanzato materiale per almeno un altro migliaio di pagine). Una periodizzazione però ci voleva (ed è quella già proposta da Cortelazzo): la fase precedente al Sessantotto, in cui «il linguaggio giovanile coincide per lo più con il gergo studentesco, ed è alquanto circoscritto sia dal punto di vista terminologico sia quanto a diffusione». Poco vitale, e anche statico, secondo gli autori, rispetto a quanto sarebbe successo nella fase che va dal Sessantotto al Settantasette: qui il politico è preminente, si afferma la lingua della contestazione, si consolida un linguaggio «che cerca di esprimere concetti e valori alti» (spesso con risultati grotteschi e giustamente ridicolizzati, dopo). Molti termini di derivazione politica-sindacale, sociologica e psicanalitica, molti prendere coscienza, presa di coscienza, a monte, nella misura in cui, a livello di, cioé... Dopo, (dagli anni Settanta a tutti gli Ottanta) si evidenzia un «ritorno al privato», si assiste all’affermazione di gruppi «con spiccata identità e riconoscibilità anche lessicale»: i dark, i punk, i paninari, e il new romantic, il rap, i primi centri sociali). Ricordate «cucador», «gallo» e «galloso»? Emersi con la trasmissione «drive In», ora miseramente scomparsi. Infine - anni Novanta-oggi - il ritorno ad una qualche attività politica, soprattutto attraverso il radicamento dei centri sociali. L’affermazione di termini derivati dall’informatica, tutti quei bit, giga, loop, resettare e sciftare (o sconnesso, nel senso di disattento). Quanto alle fonti, si va dai Versi militari di Saba (di cui si registrano forme popolari come «sgugnarsela» e «spicciarsela», al Pasolini di Ragazzi di vita e Una vita violenta («sono quasi cento gli esempi tratti da queste due opere», spiega Giovanni Casalegno). Ma «il primo testo narrativo che ha rivelato l’uso di un linguaggio alternativo a quello convenzionale è ”The Catcher in the Rye”» di Salinger, ovvero Il giovane Holden, un libro che nessuno sapeva bene come tradurre, quando sbarcò in Italia nel 1952: lo slang di Salinger non aveva corrispettivo, in italiano. Poi arrivò Maria Corti, con il suo Il ballo dei sapienti (1966) che cercò di raccontare il gergo degli studenti di un liceo classico milanese. Ma il linguaggio utilizzato dalla Corti risulta «eufemizzante, e non scivola mai verso il basso», secondo la lettura di Casalegno. Gli studenti infatti esclamano «orpo», «cribbio», «la martina!», e al massimo dicono «casotto» e «madosca». Insomma, per avvicinarsi ad una rappresentazione più realistica del linguaggio giovanile, bisognò aspettare Porci con le ali di Lidia Ravera e Marco Lombardo Radice. Era il 1976, e a molti (ragazzi, che spesso lo leggevano di nascosto, e genitori, che lo leggevano sempre di nascosto dai figli) prese un colpo per le esperienze erotiche di Rocco e Antonia, raccontate con grande franchezza (vedi alla voce «scopare», e seguenti). Il primo però che cercò di proporre «una narrativa come voce di un’intera generazione» secondo Casalegno fu Pier Vittorio Tondelli. La sua fu una scelta linguistica «drastica: portare dentro la pagina letteraria il linguaggio che lui e i suoi coetanei usavano nei bar, nelle piazze, all’università, nelle caserme, nei collettivi politici». Creando però «un nuovo linguaggio letterario alto, coltissimo e insieme vicino a quello parlato da un mondo giovanile radicalmente cambiato». Le fonti di Scrostati gaggio! naturalmente non solo solo narrative. Ci sono quelle musicali (e due terzi dei testi di canzoni provengono dal rap). E c’é Internet, formidabile serbatoio di linguaggi e di repertori (uno dei quali purtroppo scomparso: www.coatto.com). Un ambito che ad esempio offre molto materiale è quello delle parole usate per nominare la marijuana, l’hascish e le operazioni connesse, ovvero «uno degli ambiti in cui maggiormente è diffusa la gergalità insieme con l’inventiva linguistica». Centocinquanta termini diversi per nominare lo spinello, una sessantina per indicare la sua preparazione, una trentina per denominare il chilum, oltre cinquanta per l’hascish e altrettanti per la marijuana. E saggiamente De Crescenzo scriveva in Distrazione (citato alla voce spinello): «Signora mia, lei deve imparare il linguaggio dei giovani. Io, a forza di frequentarli, sono diventato un gergologo. ”In manca” vuol dire in astinenza; ”in botta” quando si è sotto l’effetto della cocaina; ”skunkiare” sta per prepararsi uno spinello, e ”stubazzare” sta per fumarselo insieme agli amici».