Varie, 19 novembre 2004
SIGLIENTI Sergio
SIGLIENTI Sergio Sassari 19 maggio 1926. Banchiere. Suo padre Stefano è stato presidente dell’Imi e di Assobancaria. Nel 1987 è diventato amministratore delegato della Comit, nella quale era entrato nel ’51. Per sei anni, dal ’61 al ’67, è stato al Fondo monetario e alla Banca internazionale per la ricostruzione e lo sviluppo. Nel ’ 94, dopo il traumatico addio alla Comit privatizzata (scriverà un libro Una privatizzazione molto privata), va ai vertici dell’Ina, lasciati dopo l’Opa delle Generali. «[...] Mia mamma, Ines Berlinguer, era sorella di Mario, padre di Enrico e Giovanni Berlinguer. Fra noi tre, una differenza di due anni e quattro anni. Io sono nato nel 1926, Giovanni nel ’24, Enrico era del ’22. Ma, oltre che parenti stretti, c’è stato un rapporto familiare stretto perchè, quando eravamo adolescenti, vissi a casa loro a lungo [...] Erano gli anni di guerra e la mia famiglia era separata, in parte a Roma, in parte a Sassari. E io andai a vivere con gli zii [...] il mitico Azuni, un liceo classico molto noto, ovviamente in classi diverse. Un’ottima scuola, con grandi insegnanti. Enrico eccelleva in filosofia: ricordo un bravo professore, Forteleoni, con cui aveva un bel rapporto di amicizia al di là del liceo. Si scambiavano libri, si incontravano, discutevano… Enrico arrivò al marxismo partendo dagli studi di Hegel e Croce [...] A me avevano dato la camera di Enrico, una piccola camera austera, tappezzata di libri di Marx… [...] Per quanto mi riguarda, leggevo Marx con la lucidità del sedicenne: le sue tesi non mi hanno mai convinto [...] Giovanni era abbastanza indifferente. Enrico, invece, un sostenitore e lettore convinto, ma di animo liberale: discuteva con me, ma non ricordo mai alcuna imposizione o arroganza intellettuale, da parte sua [...] Ricordo un episodio simpatico, un giorno d’estate. Quando Enrico si iscrisse al pci. Mi disse: mi devi accompagnare in bicicletta, di notte, in un certo posto… Vuoi venire con me? Naturalmente, come qualsiasi ragazzo curioso, gli dissi di sì. Mi attraeva il mistero. Ma, dopo questa lunga passeggiata in bicicletta, lui mi portava in canna, come si diceva, arrivammo di fronte a una casa isolata in campagna e mi disse, senza possibilità di obiezioni: tu, aspettami qui! Tentai invano di ribellarmi: niente da fare. E così mi ritrovai in mezzo ai prati, in compagnia delle sole cicale. Dalla casa mi arrivavano canti, risate e il chiasso delle voci… [...] Era una riunione segreta, di comunisti e simpatizzanti, nel casolare di un floricultore. Finalmente Enrico tornò e mi mostrò con orgoglio la sua prima tessera di iscrizione al partito comunista, con la falce e il martello. [...] Enrico all’ultimo momento aveva deciso di non coinvolgermi, sia perché ero giovanissimo, credo, sia perché non ero convinto, e soprattutto, forse, perché temeva le reazioni di mia madre… [...] Giovanni, pur rispettoso verso la linea del pci, è sempre stato contrario agli stalinismi. Forse ricordo male, ma mi sembra che non abbia mai fatto un viaggio in Urss. E quando Enrico, negli anni ottanta, arrivò allo strappo, ricordo il suo commento al telefono. Una sola parola: ‘Finalmente!’. Se la decisione fosse toccata a lui, credo che lo strappo sarebbe arrivato assai prima. [...] Enrico con costanza, da giovane, era molto attivo. Quando i tedeschi si ritirarono dall’isola, sotto il governo Badoglio, Enrico fu tra i protagonisti di una manifestazione e arrestato per raduno sedizioso: si fece tre mesi di carcere duro, sostanzialmente perché era comunista; gli altri partecipanti non comunisti alla manifestazione se la cavarono senza problemi [...] Enrico era solitario, taciturno, romantico. E la solitudine era un suo fascino. Giovanni, fin da ragazzo, era un ottimo comunicatore: Un parlatore brillante. Forse Enrico aveva sofferto di più per la morte prematura della madre [...] Enrico era un idealista, aveva passione, come le ho detto, per gli studi di storia e filosofia, per lo storicismo crociano, leggeva Hegel… Era un sognatore. Aveva nel cuore e nella mente il progetto di una società nuova e giusta [...] Giovanni era un ragazzo concreto, preciso, pragmatico. Al liceo andava bene nelle materie scientifiche, in quelle letterarie e umanistiche invece riusciva proprio male, forse una volta fu addirittura bocciato. Significativo però, dopo l’esame di maturità, un suo scatto di orgoglio e di volontà. Consapevole com’era della sua debolezza culturale in quel settore, si impose – senza l’obbligo di esami – di rileggere gli autori classici, scrittori poeti e filosofi latini, greci… Anche in piena notte, potevi trovarlo con un libro di Ovidio o Petrarca in mano. Era rimasto indietro e voleva mettersi alla pari [...] Enrico era romantico, amava Wagner, anche se oggi potremmo dire che questa passione non era politicamente corretta. E amava anche Brahms. Giovanni invece prediligeva le geometrie di Bach [...] Sassari all’epoca era una città straordinaria e gli interessi di una certa colta borghesia erano, mediamente, questi [...] Da ragazzo, Enrico amava il poker. Gli piaceva il rischio: ad esempio le uscite avventurose in barca a vela. Giovanni adorava il biliardo, era un campione di carambola: una specializzazione che potrebbe essergli utile, oggi, in politica [...] Come tra tutti i fratelli del mondo, c’erano anche litigate e, raramente, anche un po’ di botte. Ma sostanzialmente l’accordo era perfetto. Colpiva, tra i due, il rispetto reciproco [...] Il nonno, Enrico Berlinguer, era un sassarese famoso, un grande personaggio. Intanto era gigantesco, alto almeno 1.90, una misura che per un sardo è assolutamente straordinaria. Girava con un cappello verdiano, a larghe tese. Era il capo dei repubblicani durante il regno dei Savoia, una condizione certo non semplice: altro che i comunisti, durante il fascismo! E successe che quando ci fu la prima visita di Vittorio Emanuele a Sassari, lui andò ad accoglierlo e così divenne il bersaglio di critiche molto aspre, sdegnate. Ma lui, che aveva un grande carisma, mise a tacere tutti con una sola frase: ‘Per un sardo’, disse ‘il dovere di ospitalità viene prima di tutto’ [...] Un bisnonno di Enrico, Gerolamo, era stato il comandante dei carabinieri di Sassari. Un personaggio eroico. La leggenda ricorda che aveva sfidato a duello un pericoloso bandito, lo aveva catturato e infine lo aveva portato a Sassari, prigioniero e sanguinante, tornando dalla montagna a cavallo. La caserma dei carabinieri è tuttora intitolata alla sua memoria. Durante gli anni del fascismo, Mussolini attraverso vari prefetti tentò varie volte di far cambiare nome alla caserma, ma non ci riuscì mai: i carabinieri, con rinvii e altre dilazioni, ogni volta prendevano tempo… Molti anni dopo Enrico andò in visita alla Fiera di Milano e, giunto al padiglione dei carabinieri, fu accolto con un saluto significativo, con esplicito riferimento alla caserma Berlinguer: ‘Le esprimiamo gratitudine’, disse il comandante di Milano, ‘per la sua terra e la sua famiglia’ [...] Enrico era timidissimo. Erano per lo più le ragazze, attratte dal suo carattere riservato e solitario, a fargli la corte, a fare il primo passo. Giovanni era brillante, sempre circondato da ragazze carine. Poi tutti e due, per sposarsi, sono andati fuori dalla Sardegna [...] Il rigore di Enrico finiva a tavola. Ricordo certe aragoste trionfali a Stintino, aggredite di slancio e con entusiasmo… E così tutti i piatti caratteristici della cucina in Sardegna. Anche Giovanni amava la buona tavola e il buon vino. Ma non ricordo di averli mai visti una volta sola ubriachi o anche, semplicemente, brilli [...] Con i giovani comunisti, e con i miei due cugini Berlinguer, giocavo a pallone. Enrico amava il football, era un centrattacco sfondatore: quando entrava in area, lavorava di gomito. Il modello, all’epoca, era il grande goleador della Lazio e della Nazionale, Silvio Piola. Era anche falloso, in area di rigore, Enrico: determinato a far gol. Giovanni per la verità al calcio preferiva la pallacanestro [...] Eravamo ragazzi normali, come tanti. E sulla passione sportiva c’è un altro ricordo, che può mostrare come si ingegnavano gli adolescenti e i giovanotti negli anni della guerra, per divertirsi… [....] Quando d’estate andavamo a Stintino, Enrico organizzava le Olimpiadi. Con tante, tante gare sportive. Perchè c’era un grosso problema [...] Noi Berlinguer e Siglienti eravamo piccoli, magrolini. Mentre, tra gli iscritti alle Olimpiadi di Stintino, spiccavano i ragazzi della famiglia più importante del paese, gli Azzena: grandi, grossi, formidabili nuotatori. Ci stracciavano e ci avrebbero stracciato, regolarmente. Allora Enrico incluse, nelle gare, alcune specialità, di cui a Stintino non sapevano un bel nulla. Come il salto triplo. Così gli Azzena venivano squalificati, o perdevano, perché non conoscevano le regole… Ad esempio il salto con l’asta: un’altra trovata geniale dei due fratelli Berlinguer, per metterli in difficoltà. Noi ci eravamo procurati un palo del cortile, loro non erano riusciti a procurarsi un’asta. E così vincemmo noi. Con misure paradossali: loro, mettiamo, vincevano nel salto semplice con 1.60, noi nel salto con l’asta arrivavamo, che so, solo a 1.40, ma vincevamo perché gli Azzena non avevano trovato un’asta adeguata… E poi la gara di corsa tipo maratona, sui tre chilometri [...] Enrico era furbo: ho l’impressione fondata che prendesse certe scorciatoie…Nella corsa la supremazia comunque era di Giovanni. Un ottimo sportivo: bel corridore e anche un bravo nuotatore. Assai diverso da Enrico anche in questo. Come tutti i marinai, anche in Sardegna, Enrico non amava tanto buttarsi in mare: era freddoloso, preferiva stare in barca. Giovanni, invece, era un buon nuotatore, pronto a tuffarsi con qualsiasi clima [...]”» (Cesare Lanza, “Sette” n. 43/2001). «[...] Con Cossiga siamo affini di affini. E lui ebbe più coraggio di me. Al di là del giudizio di merito, Cossiga picconò quando era ancora al Quirinale. Il sottoscritto parla 10 anni dopo aver lasciato la Banca Commerciale [...] forse avrei dovuto farlo prima. Ma allora si parlava meno con i giornali. Ricordo, però, quando, per oppormi alla fusione tra Comit, Credito Italiano e Banca di Roma, dissi a un giornale inglese: “There is something to be said for being single”. La cosa fu ripresa da tutta la stampa suscitando le ire di mia moglie e dell’Iri. Allora dipendevamo troppo dall’Iri e, in modo più oscuro, da Mediobanca per osare considerazioni sul sistema in pubblico. Non avevamo la stessa libertà dei nostri successori” [...] il suo libro Comit, una privatizzazione molto privata in cui, per la prima volta, aveva commesso il peccato di parlare, anzi di scrivere. Ma in quell’occasione il bersaglio era Mediobanca, la Holding Celeste che molto influenza e di nulla risponde. [...]» (Massimo Mucchetti, “Corriere della Sera” 18/11/2004).