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 2004  novembre 13 Sabato calendario

[Carte nautiche] «Per il bambino, innamorato di mappe e di stampe, / L’universo è pari alla sua vasta brama

[Carte nautiche] «Per il bambino, innamorato di mappe e di stampe, / L’universo è pari alla sua vasta brama. / Ah! come è grande il mondo al chiarore della lampada!». Vengono in mente i versi di Baudelaire (dai "Fiori del male", Il viaggio), a sfogliare il sontuoso volume di Paola Presciuttini sulla cartografia nautica mediterranea tra Cinque e Novecento, edito da Priuli & Verlucca. E davvero ci si sente un po’ bambini, pronti a salpare verso mondi favolosi e sconosciuti, davanti a questi disegni gremiti di minuscoli dettagli, ridondanti di stemmi galee delfini putti alati mostri marini: baluginii di un mondo in cui i viaggi si misuravano ancora in giorni e in settimane, e sulle carte poteva accadere di trovare ampi spazi bianchi con la scritta «terra incognita». All’inizio ci sono i «peripli» mediterranei dei greci e dei fenici, sorta di portolani ante litteram giunti però fino a noi privi di elementi figurati (con una importante eccezione, che l’autrice non cita: il papiro ellenistico di Artemidoro, riemerso in anni recenti e ora acquisito dal Museo Egizio di Torino, in cui il testo è accompagnato da una mappa della penisola iberica che si considera il più antico documento cartografico esistente). In realtà non è pensabile che quegli intraprendenti popoli marinari non abbiano prodotto carte nautiche. Più probabile che gli schizzi delle coste, disegnati a vista dai nocchieri, a scopi non teorici ma essenzialmente pratici e dunque di rado confluiti nei libri di geografia, siano andati perduti, logorati dall’uso. In ogni caso - escludendo testimonianze precedenti il cui contenuto cartografico è solo incidentale, come in un affresco del 1500 a.C. scoperto a Santorini - la più antica mappa nautica conosciuta risale al basso Medioevo. Si tratta della cosiddetta Carta Pisana, databile alla fine del XIII secolo, che rappresenta le coste e le isole del Mediterraneo. E proprio Pisa (dove la preziosa pergamena fu rinvenuta nell’800) è considerata la capitale dell’idrografia medievale, in concorrenza con la Catalogna del polimate Raimondo Lullo e con la fiorente Genova che tra il XII e il XIV secolo raggiunge l’acme del suo espansionismo mercantile, fornendo truppe e ammiragli alle maggiori potenze europee. Pietro Vesconte, genovese attivo a Venezia a cui si deve la più antica carta nautica datata (1311), Andrea Bianco, Grazioso Benincasa sono i protagonisti di quegli anni, con mappe finemente acquarellate, policrome rose dei venti, abbondanza di allegorie e vedute di paesaggio. I confini del mondo conosciuto si spostano al seguito dei naviganti, le canoniche Colonne d’Ercole, che per secoli erano state fissate a Gibilterra, in una carta nautica veneziana del 1430 sono collocate accanto all’«Ysola Gades» (Cadice, vicino a Madera). Nel ’500 e nel ’600, fra l’età manieristica e la barocca, le mappe diventano complesse costruzioni scenografiche in cui la carta geografica è soltanto uno degli elementi. Intorno - come nelle tavole del Theatre of the Empire of Great Britain di John Speed (1611) - una profusione di blasoni nobiliari (probabilmente inseriti a pagamento), vedute prospettiche di città, figure umane, «finestre» ipertestuali con notazioni sulla storia e i costumi, un po’ come nelle odierne pagine «linkate» di Internet: tutto quel che serve per immergersi in un viaggio virtuale. Il barocco celebra i suoi trionfi cartografici alla fine del ’600: nell’Isolario dell’Atlante Veneto Vincenzo Maria Coronelli inserisce una veduta dello stretto di Negroponte (come i veneziani chiamavano l’isola di Eubea, di fronte all’Attica) entro una elaborata cornice di fiori frutti e maschere greche, con un putto che solleva un sipario su cui è riprodotta la mappa della zona. Ma le carte nautiche non sono soltanto oggetti belli. Strumenti decisivi per la conoscenza di un territorio, dei suoi attracchi e degli eventuali punti deboli, diventano preda ambìta di guerra, sono protette dal segreto di Stato, trafugate, ricopiate di nascosto. E di nascosto vengono prodotte, per volere di Luigi XIV, da cartografi imboscati su navi spia camuffate da mercantili: 130 mappe generali e dettagliate per garantire al Re Sole il controllo del Mediterraneo. Alla supremazia cartografica francese succede quella britannica, con la fondazione dell’Hydrographic Department nel 1785: Francis Beaufort, William H. Smyth, Thomas Graves mettono al servizio dell’impero coloniale, e del turismo d’élite in rapido sviluppo, la loro competenza tecnica non meno che l’abilità squisitamente artistica, producendo vedute oggi ricercatissime dai collezionisti di stampe. Anche il neonato Stato unitario italiano, nel 1873, si dota di un Regio Ufficio Idrografico, che procede al rilievo sistematico delle acque territoriali e già alla fine del secolo produce un proprio libro per i naviganti, in sostituzione di quelli inglesi e francesi. Oggi l’avvento dei sistemi di radio-posizionamento e del Gps ha reso inutile la rappresentazione grafica delle coste. Le vedute compaiono ancora sui portolani (50 mila copie stampate ogni anno in Italia, a cui vanno aggiunte le 100 mila copie di oltre 300 carte nautiche), ma si tratta di sofisticate fotografie digitali. Niente più mappe e stampe dai colori eccitanti: per il bambino baudelairiano c’è poco da fantasticare. Tutto il globo è sotto lo sguardo di insonni satelliti, i tempi dell’avventura sono diventati un ricordo. E «agli occhi del ricordo», così continuava la poesia, «come è piccolo il mondo!».