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 2004  novembre 09 Martedì calendario

[Future dictionary of America] Fra trent’anni, forse (non si può mai dire), non ci sarà nessun Bush alla presidenza degli Stati Uniti

[Future dictionary of America] Fra trent’anni, forse (non si può mai dire), non ci sarà nessun Bush alla presidenza degli Stati Uniti. Ma ci sarà un Bush nel dizionario. Non più un uomo, un politico, solo un sostantivo neutro. «Arbusto velenoso di una specie estinta»: la definizione è di Paul Auster, l’autore della Trilogia di New York, e si può trovare sfogliando il Future dictionary of America (Il futuro dizionario americano), pubblicato di recente negli Usa dalla casa editrice indipendente McSweeney’s. Bush, in inglese, significa, effettivamente, cespuglio. Così la damnatio memoriae, cucita dallo scrittore newyorchese addosso a George W., stringe come un nodo scorsoio. A Donald Rumsfeld, il duro ministro della Difesa, non va meglio; a curare la sua voce c’è un cattivo delle lettere mondiali, Kurt Vonnegut. Rumsfeld non precipita nel mondo vegetale, ma la parola, nelle future conversazioni americane, indicherà un tipo umano poco simpatico: «One that can stomach casualties». Il senso è doppio: in italiano si può tradurre come una persona che può digerire disastri; o come «uno capace di inghiottire vittime». Una faccia di bronzo o una figura da girone infernale? Le parole che usiamo sono lo specchio delle nostre vite. Il modo in cui rappresentiamo il mondo. Così un gruppo di scrittori americani, radicali e liberal, ha deciso di proiettarsi nel futuro prossimo e ipotizzare i vocaboli che gli americani useranno nelle loro chiacchiere correnti. Non solo. Hanno scelto le parole del futuro come mezzo di satira per il presente. L’idea del Futuro dizionario d’America nasce nella primavera del 2004 nel giro di scrittori, intellettuali e artisti del gruppo intorno McSweeney’s, casa editrice e think tank molto radical. Che pubblica The Believer, periodico letterario influente, e mette sulla rete un flusso inarrestabile di coscienza satirica su McSweeney’s Internet tendency (www.mcsweeneys.net). Dal 1998, anno in cui è stata fondata dallo scrittore Dave Eggers, McSweeney’s, tra libri, rivista e sito web, è diventata una palestra per giovani autori contro, ma anche un palcoscenico ambito dai grandi nomi della letteratura americana. Il New York Times cita il periodico come anticipatore di tendenze; sulla rete si mettono in coda scrittori in attesa di pubblicazione, e nascono siti Internet in grado di «sweenify», ovvero di formattare con la grafica del sito, i manoscritti elettronici degli autori che vogliono far credere di essere stati pubblicati da Eggers e soci. Il prestigio è tale che, quando Eggers, insieme a Jonathan Safran Foer e Nicole Krauss, decide di mettere insieme i cervelli per il vocabolario satirico riceve adesioni entusiastiche da quasi duecento scrittori e artisti. Nell’elenco dei contributors del Dizionario futuro si trovano Stephen King e Joyce Carol Oates, Jonathan Franzen e Art Spiegelman, Glen David Gold e Robert Coover, Jim Shepard e Sarah Vowell. Alla fine del volume, c’è un saggio contro la guerra firmato con umorismo gelido da Kurt Vonnegut, dal titolo Tacchino freddo. E, allegato, un cd musicale, con parole e note sempre dirette contro i neo-con, che include canzoni di Tom Waits, David Byrne e dei R.E.M. Quasi tutti gli scrittori ci vanno con la penna pesante e l’ironia leggera, feroci con stile. Il vincitore del Pulitzer Jeffrey Eugenides, spietato, forgia l’ «effetto Cheney», riservato al vicepresidente Dick Cheney: «manifestazioni di cambio di personalità a causa di un trapianto di organi, generalmente il cuore». Il linguaggio a venire non sbeffeggia solo i repubblicani e i conservatori di oggi. Ralph Nader, leader dei verdi Usa, secondo Art Spiegelman diventa «ralphnadir», termine spiegato come «il punto più basso di ogni processo» (il nadir, in astronomia, è l’opposto dello zenith, ndr). Alcune parole come «environment», ambiente, restano uguali, ma acquistano ulteriori significati. Il futuro preconizzato dal dizionario di Eggers e compagni è indeterminato ma non lontano, siamo ancora nella prima metà del ventunesimo secolo. Sulla copertina rossa si legge: «Quando tutti, o la maggior parte dei problemi del nostro paese saranno risolti e l’attuale amministrazione sarà un ricordo lontano». Nel libro, quando la sferza dello humour scende d’intensità, sale la tensione utopica. Il tempo che verrà è spesso immaginato «più luminoso» del presente. Il fine degli autori è riappropriarsi del linguaggio; il termine Patrioct Act, per indicare una legge che contempla la restrizione dei diritti civili, brucia sulla lingua di scrittori come Dave Eggers. L’utopia linguistica vola sulle pagine con termini come «fraudeville», coniato dallo scrittore Daniel Handler, nom de plume, Lemon Snickett. un posto che ancora non c’è: «Un luogo dove i colletti bianchi colpevoli di truffe finanziarie sono obbligati a recitare i loro trucchi su un palcoscenico pubblico». Alcune delle parole future sono state scelte tra le migliori spedite dai lettori digitali di McSweeney. Tra tutte le voci, una delle più divertenti e amare e idealistiche è «blokway» di Ryan Boudinot. Eccola: «Attitudine espressa dagli elettori, secondo cui un funzionario pubblico che abbia relazioni extraconiugali durante la sua carica, è meno meritevole di impeachment di un funzionario le cui decisioni portino alla perdita di vite umane».