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 2004  novembre 09 Martedì calendario

Bettinelli Bruno

• Milano 4 giugno 1913, 8 novembre 2004. Compositore. «Eclettico ma non generico, di profonda schiettezza poetica, Bettinelli aveva trovato un perfetto equilibrio tra il neoclassicismo e le tentazioni dell’avanguardia, affrontando diversi generi e scrivendo importanti lavori orchestrali e da camera (2 Sinfonie, e altre ampie partiture sinfoniche) alcune opere (tra cui Il pozzo e il pendolo), importanti cicli su testi di Ungaretti e Montale, e, negli ultimi anni, metafisiche pagine vocali di ispirazione sacra. Allievo al Conservatorio di Milano, vi fu insegnante insigne dagli anni Quaranta. Il ricordo della sua lezione severa e generosa non finisce con la sua morte ma aleggia nell’attività dei suoi migliori allievi d’un tempo (Abbado, Muti, Pollini, Ceccato, Canino, Bertini, Corghi e Umberto Benedetti Michelangeli) che in lui hanno sempre riconosciuto un padre-maestro e un fraterno amico di vita [...]» (Angelo Foletto, ”la Repubblica” 9/11/2004). «Aveva studiato presso il Conservatorio ”Giuseppe Verdi”, diplomandosi in pianoforte, musica corale e composizione; dal 1938 aveva poi insegnato presso quel conservatorio, approdando nel 1957 alla cattedra di composizione. In quella classe sono passati, fra i molti, Claudio Abbado, Aldo Ceccato, Riccardo Chailly, Riccardo Muti, Maurizio Pollini, Uto Ughi, esponenti di prestigio del mondo dell’interpretazione, ma anche compositori come Azio Corghi e Armando Gentilucci. Per anni ha svolto attività di critica musicale militante; era inoltre Accademico di Santa Cecilia e dell’Accademia Cherubini di Firenze. Insomma una figura di riferimento. Bettinelli era però, prima di tutto, un compositore, e la sua musica è quella di una personalità indipendente, che ha attraversato il Novecento italiano lasciando un segno forte e riconoscibile. Esponente di una generazione nata fra quella di Dallapiccola e Petrassi (1904) e quella di Nono e Berio (1924-25), esordì nel segno di quel recupero delle forme classiche predicato da Casella, come nella Sinfonia da camera del 1938 o nelle Due Invenzioni del 1939, brani in cui si sente l’esempio del contrappunto di Hindemith. Il contrappunto, il movimento di linee è d’altronde un elemento centrale in tutta la musica di Bettinelli, con un ruolo costruttivo fortissimo nelle partiture; da questa tecnica nascono alcune costanti del compositore: nelle sue parole «un’articolazione discorsiva, il pulsare ritmico e la sottile inquietudine armonica». Le successive vicende della evoluzione dell’autore non contraddicono questi assunti di base. Seguendo una strada quasi naturale nel dopoguerra, Bettinelli approdò alla tecnica dodecafonica; in seguito, trovando questa troppo vincolante, le ha preferito un libero impiego del totale cromatico, inteso come libera atonalità. Nasce da questa consapevolezza sul continuo variare delle cellule del materiale musicale, unito a una nuova ricerca sul piacere del timbro, una partitura come Varianti (1970), dove si avverte la capacità di rigenerare la storia, con un lavoro di elaborazione del materiale che guarda verso l’esempio di Brahms. E c’è in genere, nelle sue partiture, la mano del compositore-artigiano, con una conoscenza della tecnica e degli strumenti infallibile nel raggiungere il risultato desiderato. Sinfonista per vocazione - ma lontane dalla forma storica sono le ultime quattro delle sue sette sinfonie - nonché autore di molta musica strumentale cameristica e di lavori corali, ai quali si è dedicato negli ultimi anni, Bettinelli si è concesso poco al teatro musicale, dove ha conseguito il suo risultato emotivamente più forte con Il pozzo e il pendolo (1967), tratto da una novella di Poe ma non immemore, nella storia dei deliri simbolico-politici del carcerato, del Prigioniero di Dallapiccola. Anche in questo ricorso narrativo al teatro musicale è possibile certamente vedere un distacco della poetica di Bettinelli rispetto alle prospettive di rottura della generazione seguente di autori, che pure non poco è debitrice verso il maestro milanese. La sua scomparsa lascia un importante vuoto nella cultura musicale, e ripresenta la necessità, troppo spesso elusa, di riconsiderare criticamente il Novecento italiano» (Arrigo Quattrocchi, ”il manifesto” 14/11/2004).