Massimo Numa, La Stampa 5/11/2004, pag. 27., 5 novembre 2004
[Leggende metropolitane] Inverno 1937. Il maresciallo d’Italia Rodolfo Graziani, marchese di Neghelli, è il vicerè d’Etiopia
[Leggende metropolitane] Inverno 1937. Il maresciallo d’Italia Rodolfo Graziani, marchese di Neghelli, è il vicerè d’Etiopia. All’epoca, come si suol dire, è nel pieno della vigoria. Nato nel 1882, mantiene «lo scatto» dei vent’anni e un fisico massiccio, imponente, la folta chioma candida. In una parola: virile. Ma il 19 febbraio 1937, la «resistenza» etiopica è decisa a farlo fuori. Durante una manifestazione di beneficenza (due talleri per ogni bisognoso), i ribelli lanciano un grappolo di bombe a mano proprio sotto il palco. Graziani, raggiunto da nugoli di schegge, cade esanime in una pozza di sangue. Attenzione. Stiamo per assistere alla creazione in diretta di una delle prime leggende metropolitane che fa il giro prima dei santuari del Regime e poi si diffonde in ogni strato popolare, dall’Urbe ai centri rurali più sperduti. Allora il web non c’era ma il passaparola sì. Graziani - che detto per inciso dispone una feroce rappresaglia - si riprende e nel ’38 rientra in Italia. Inizia però a circolare la voce, un diffuso mormorio, beh che... insomma... quelle schegge hanno colpito il vicerè nell’organo essenziale per la riproduzione. Nell’epoca in cui la virilità è un Valore Assoluto, viatico indispensabile anche per la carriera, il maligno gossip trascina Graziani nella disperazione. «Semmai il Duce ci credesse?», pensa atterrito. Addio galloni. E poi il dileggio della Nazione, il compiacimento dell’odiato rivale, il serpigno Pietro Badoglio. Il maresciallo d’Italia non ci pensa due volte. Si fa fare da un professionista dell’immagine decine di copie formato 18-22 della stessa fotografia. Lui nudo, con il corpo ancora segnato dalle ferite e, soprattutto, gli «zebedei» miracolosamente intatti. Le spedisce all’intero apparato gerarchico, senza trascurare le signore più influenti e charmant. Da allora a oggi, lustro dopo lustro, le cosiddette leggende metropolitane, cioè quelle storie, ben articolate, ben costruite, spesso folli, che all’improvviso diventano per molti lo specchio della realtà, si contano a migliaia. Coinvolgono tutti i settori della vita sociale. La sanità. La cronaca. Il soprannaturale. Pescando a caso tra le ultime: un signore, un arabo, è in un ipermercato. Fa la spesa, ecco il suo carrello, zeppo di oggetti e di cibo. In coda alla cassa, scambia qualche parola con una signora. Arrivato il suo turno, estrae dal portafoglio una carta di credito, però non accettata. Ohibò, niente contanti. Momenti di imbarazzo, risolti dalla signora che, gentile, decide di pagare lei il conto, sicura dell’onestà del cittadino arabo. Questi le lascia nome e recapito, la ringrazia mille e mille volte; le dà appuntamento l’indomani, solito posto, per restituirle i soldi. Ovviamente, l’arabo arriva puntualissimo, salda il debito e, alla fine, ma proprio alla fine, le dice: «Senta signora, lei mi ha fatto un grande piacere, è una persona davvero speciale. Ora io farò un piacere a lei. Non mi chieda nulla ma, dia retta a me, domani, qui, non venga a fare la spesa... Ha capito bene?». Eccome, se la signora ha capito. Ci sarà un attentato-kamikaze. Morti, feriti e tutto il resto. Questa storiella, con varianti minime, ha fatto il giro d’Italia. Ci hanno creduto in tanti. Qualcuno s’è rivolto alla polizia, altri hanno costretto i familiari a rinunciare allo spesone settimanale. «Sarà una balla, ma non si mai», dicevano padri e madri. Altro tema. La solidarietà. L’anno è il 1997. Sul web circola una terribile vicenda. Primo atto: «Hai mai ascoltato il ticchettio della pioggia? Qualche volta hai seguito il volo di una farfalla? O osservato il tramontare del sole? C’è solo bisogno di un po’ d’amore per mandare questa e-mail». L’appello: «Per favore, passate questo messaggio a tutti quelli che conoscete. E’ l’ultimo desiderio di una bambina, che presto lascerà questo mondo, dato che è vittima di una terribile malattia: il CANCRO. Grazie per il vostro sforzo». Finalmente, i soldi: «Lo scopo di questa e-mail non è il denaro, ma dare a lei e alla sua famiglia un po’ di speranza. Per ogni persona che riceverà questa e-mail la Società Americana del Cancro donerà 3 centesimi di dollaro per il trattamento e il piano di recupero. Una persona ne ha inviate già 500. Riflettete e non siate egoisti! Dedicare 5 minuti per inviare questo messaggio è di vitale importanza: tutto questo potrebbe accadere a ciascuno di noi». Tutte le organizzazioni mediche e governative, negli Usa, impiegarono mesi per smascherare l’ignobile, crudele, leggenda-truffa. Neppure la tragedia dell’11 settembre è stata risparmiata. Circolava, nove mesi dopo la distruzione delle TT, la leggenda che a New York, e in tutti gli Stati Uniti, s’era riscontrato un notevole aumento delle nascite, com’era accaduto dopo il grande black out elettrico del 1965. Ma l’estate passò e niente baby boom. Fu solo una leggenda. Illustri sociologi, che avevano riempito giornali e periodici di dotte analisi su un evento mai avvenuto, si rassegnarono a fatica. Il viaggio nel labirinto delle «urban legend» accelera impazzito: c’è la ragazza che va a ballare in una mega discoteca del Nord. Qualcuno la droga, si risveglia all’alba, seminuda, con un perfetto taglio chirurgico nell’addome. Le hanno rubato un rene. Nei mitici ’60 e ’70, le storie erano più simpatiche. Il Corriere d’Informazione e La Notte, giornali milanesi spariti da tempo, camparono per mesi sulla misteriosa vecchina che faceva l’autostop. Appariva alla stessa ora in zone diverse della città. Vestita di nero, con la borsetta, le scarpe da Befana. Una specie di fantasma. All’improvviso svaniva nel nulla. Quasi sempre chiedeva di essere lasciata davanti al cancello di un cimitero. Però, raccontavano i lettori, a volte tentava qualche profezia. Soprattutto alla vigilia del derby, dove le leggende, quelle vere, erano sul campo di S. Siro: Facchetti, Mazzola, Rivera, tutti gli altri. E con un solo mago: Helenio Herrera. La vecchina mormorava sempre: «Vincerà l’Inter». Spesso sbagliando.