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 2004  novembre 08 Lunedì calendario

ROBINHO

(Robson De Souza) Sao Vicente (Brasile) 25 gennaio 1984. Calciatore. Dal 2010/2011 al Milan, ha subito vinto lo scudetto. Lanciato dal Santos, ha giocato anche con Real Madrid e Manchester City • «Talento che in Brasile molti considerano il vero erede di Pelè» (“La Gazzetta dello Sport” 8/11/2004) • «Tranne Kakà e pochi altri, ogni campione brasiliano ha la propria storia personale di povertà e gli aneddoti che ne conseguono. Robson de Souza, in arte Robinho, ovviamente ha la sua. Figlio unico, viveva e dormiva con i genitori nel posto più povero di un umile sobborgo di Santos, Sao Vicente. La fame di pallone era più forte di quella vera: quando i suoi riuscivano a racimolare i soldi per mandarlo a prendere la carne, lui puntualmente faceva la sosta per la partitella e abbandonava il sacchetto che diventava presto preda dei cani. Forse per questo è sempre stato pelle e ossa. Ha 18 anni quando Pelè lo vede allenarsi con il Santos: se ne innamora subito, lo vuole conoscere e la prima cosa che fa è ordinare al Santos di farlo pranzare e cenare gratis al ristorante del club: troppo magro. Pelè lo nomina ufficialmente suo erede e diventa il suo consigliere: si sentono almeno due volte la settimana. Da allora Robinho ha corso veloce, fuori dalla povertà e dentro la gloria. Il suo primo stipendio era di 1000 reais, all’incirca 300 euro, al mese. [...] È ingrassato di una decina di chili [...]. Con Diego ha fatto vincere il campionato al Santos dopo 31 anni, bissato nel 2004. Ha sfiorato la coppa Libertadores, persa in finale col Boca. Ha sfiorato anche la tragedia, quando sua madre Marina fu rapita nel novembre 2004 e trattenuta 42 giorni. Non si sa quanto pagò il riscatto. I rapitori pretesero anche che non giocasse in campionato: forse erano tifosi dell’Atletico Paranaense, rivale del Santos per lo scudetto. Saltò sei partite, rientrò all’ultima giornata col Vasco da Gama e contribuì alla vittoria decisiva per il titolo. Finì capocannoniere con 21 gol. Come ogni stella, ha il copyright su una giocata, la pedalata: consiste nel far roteare più volte piede e gamba attorno al pallone senza toccarlo, mandando in tilt l’avversario. Una volta, nella finale del campionato brasileiro col Corinthians, l’ha fatta 8 volte di seguito, estasiando la torcida. Chiamato a furor di popolo nella Seleçao, il c. t. Parreira l’ha fatto esordire nel settembre 2004 contro la Bolivia: ha dato spettacolo. [...]» (Fabio Bianchi, “La Gazzetta dello Sport” 7/6/2005) • «Come gli piace danzare intorno a quella palla. Come si diverte davanti agli occhi un po’ persi di chi se lo trova davanti e sta lì a pensare: ma questa volta da che parte andrà? Lui, Robson De Souza detto Robinho per via di un fisico leggero come la sua danza, otto volte su dieci sarà fuggito via prima che l’altro abbia capito dove, come e quando. [...] Robinho è l’ultimo hit, il nuovo modello, l’evoluzione della specie del calcio brasileiro. Sottile, quasi fragile, nei suoi sessanta chili. Egoista come è normale che sia uno nato per il dribbling, ma anche capace di grande generosità, grazie a un cambio di passo che ti toglie il fiato e a quel senso dell’assist che spesso lo tira fuori dall’area di rigore. L’ultimo, quel tocco lieve al volo che ha spedito Adriano verso il terzo gol nella porta tedesca e il Brasile in finale di Confederations Cup, offre l’immagine di un talento a più facce: Robinho, il numero sette, sa essere solista ma anche far ballare azioni d’insieme. [...] ragazzino di Parque Bitaru, area poverissima di Sao Vicente, periferia di Santos, stato di San Paolo. [...] il primo a capire tutto è stato O’ Rey quando, tra un affare e una pubblicità, si occupava del settore giovanile del Santos. “L’ho guardato mentre toccava la palla e mi sono quasi commosso, perché mi sono rivisto in lui” ha detto Pelè. Certi paragoni forse somigliano troppo a un rito. Ma non è un caso e nemmeno una forzatura mediatica se in Brasile Robinho è già Pelesinho, anche perché quando la società di Teixeira decise di puntare su lui per provare a volare, è stata tutta un’altra vita: due titoli conquistati insieme a un ritrovato orgoglio. Sicuramente quei sessanta chili possono essere un problema, per un ragazzo che si prepara ad affrontare un altro calcio. Ma chissà come sarebbe oggi Robinho se Pelè non si fosse dato subito da fare portandolo a vivere nella foresteria riservata ai ragazzi del Santos. La sua era una dieta uova e riso, quando andava bene e, soprattutto, quando tornava a casa a mangiare, visto che quasi sempre preferiva stare fuori a giocare a futsal, quella specie di calcetto velocissimo che i bambini brasiliani inventano dentro spazi ai limiti della claustrofobia. La cura Pelè funziona. Il ragazzino malato di pallone lascia a casa l’aquilone, unica alternativa possibile al dribbling, e può finalmente conoscere la gioia di tre pasti quotidiani. A diciassette anni Robinho rilancia il Santos tra le stelle, quindi ecco il debutto in nazionale nel 2003, contro il Messico. è ancora acerbo. Ma mica così tanto. Ecco un altro titolo (21 reti) e perfino i cori d’amore delle tifoserie avversarie. Lui non è più un calciatore del Santos, lui è il nuovo simbolo di quel calcio ballato che scatena la torcida. Il ragazzino ha già fatto i conti con i problemi legati all’improvvisa notorietà: sua madre, Marina Silva, è stata rapita e quindi liberata dopo quarantacinque giorni durante i quali Robinho ha lasciato il calcio per risolvere la questione. [...] c’è chi lo ha criticato per aver esultato dopo un gol con le dita in segno di vittoria. Il gesto era dedicato a “Vivo”, la compagnia telefonica sponsor del Brasile. A non tutti è piaciuto, ovvio. [...] quando lui ti punta danzando intorno al pallone, poi fugge via che tu nemmeno hai capito come, dove e quando. Poi però è capace di tornare indietro e ricominciare il giochetto. “È più forte di me” ammette Robinho in mezzo a un sorriso da bambino. [...]» (Benedetto Ferrara, “la Repubblica” 27/6/2005).