Varie, 5 novembre 2004
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Bahrami Ramin
• Teheran (Iran) 1976. Pianista. «Quando suo padre morì in carcere, accusato dal regime dell’ayatollah Khomeini di aver collaborato con lo Scià Reza Pahlevi, lui non pianse, si aggrappò alla tastiera e sfogò il dolore attraverso le note di Bach. Per il pianista iraniano Ramin Bahrami, nato a Teheran nel 1976, costretto a emigrare in Italia ancora bambino per continuare gli studi al Conservatorio di Milano, la musica del sommo compositore tedesco è da sempre un conforto, un rifugio, un simbolo di libertà. ”Mio padre rimase in prigione sette anni [...] e ancora oggi non sappiamo come è morto, né dove è sepolto. Era ingegnere, ma aveva studiato violino a Londra, spesso suonava la Rapsodia in blu di Gershwin al pianoforte. Dal carcere ricevevo le sue lettere. Un giorno mi scrisse: ”Suona Bach, lui non ti lascerà mai solo’. Sapeva di non poter essere presente nel mio futuro, e voleva darmi in eredità un pezzo di cultura”. Dopo anni di sofferenze e difficoltà, Bahrami, che ora vive in Germania con la mamma e il fratello malato di sclerosi multipla, è un giovane pianista bachiano tra i più quotati, da alcuni paragonato addirittura a Glenn Gould. [...] ”Le prime note le eseguii con mia madre, che suonava il pianoforte. Avevo cinque anni, ascoltavo i dischi di Brahms e Beethoven diretti da von Karajan e mi mettevo in piedi sul tavolo fingendo di dirigere. A sei anni scoprii la Partita N. 6 di Bach suonata da Glenn Gould: fu una folgorazione, un destino” [...]» (Paola Zonca, ”la Repubblica” 5/11/2004).