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 2004  novembre 04 Giovedì calendario

Rehnquist WilliamHubbs

• Milwaukee (Stati Uniti) 1 ottobre 1924, 4 settembre 2005. Giudice. Fu capo della Corte Suprema Usa • «Un conservatore tutt’altro che neo, un repubblicano di antica scuola, è giudice costituzionale dal 1971, per nomina di Nixon, ed esercita la funzione di presidente dal 1986. [...]» (Filippo Ceccarelli, ”La Stampa” 3/11/2004) • «Il ”cavaliere solitario” che in 33 anni era riuscito a conquistare la Corte Suprema americana e spostarla a destra [...] Rehnquist era figlio di una famiglia di svedesi immigrati nel Wisconsin. Fu scelto [...] da Nixon, nel 1972, nella speranza di diluire il ”progressismo” della Corte Suprema. L’impeccabile preparazione giurisprudenziale, primo della classe alla Stanford University, ottenne l’assenso del Senato convinto che il giovane giudice di 47 anni sarebbe stato il lone ranger, come lo battezzarono, appunto il solitario conservatore in una Corte di liberals. Ma lo avevano sottovalutato. Con la sua formidabile cultura giuridica e con un tratto umano privato cordiale e sorprendente per quei tremanti avvocati che lui demoliva in aula, il lone ranger divenne il seme attorno al quale successivi presidenti repubblicani poterono costruire quella maggioranza di conservatori che si contò nel dicembre del 2000, quando, con 5 voti contro 4, assegnarono la Casa Bianca a George W. Bush. Era stato Reagan a promuovere il figlio degli immigrati svedesi allo scranno più alto, quello di chief justice, nella speranza che la Corte guidata da lui riportasse la giurisprudenza americana verso il federalismo, cioè più potere agli Stati e meno al governo centrale, verso l’erosione di quei ”diritti sociali” acquisiti nei decenni del post sessantottismo. Ma, soprattutto, perché avviasse la negazione, o la massima restrizione pratica, di quel diritto d’aborto che la Corte Suprema, nel ’73, aveva creduto di vedere nella Costituzione. Rehnquist, matricola allora della Corte, aveva votato contro. Il ”cavaliere solitario”. [...]» (Vittorio Zucconi, ”la Repubblica” 5/9/2005). « Al principio lo avevano soprannominato ”Lone Ranger”, il ranger solitario, perché nella Corte Suprema liberal degli Anni Settanta finiva sempre per votare da solo con l’opposizione. Quando è morto William Hubbs Rehnquist era diventato non solo il capo del massimo tribunale americano, ma anche l’incarnazione della sua filosofia giudiziaria prevalente. Questa, a seconda dei punti di vista, è la misura del suo successo o del suo danno. [...] famiglia di immigrati svedesi. L’etica luterana dominava la loro concezione della vita, e quella conservatrice la politica: il presidente Hoover, per capirsi, era un mito, e Roosevelt una condanna. Il giovane William era andato in guerra, come addetto ai servizi meteorologici in Africa Settentrionale, senza pretendere mai di essere stato un eroe: ”In realtà - raccontava - non riuscii mai neppure a riparare uno strumento”». Quando tornò, però, decise che il clima del deserto era più adatto a lui, e scelse l’Arizona come terra adottiva. Si laureò a Stanford, poi ad Harvard, poi ancora a Stanford in legge, dove uscì come primo di una classe in cui c’era anche la futura collega giudice Sandra Day O’Connor. Aveva cominciato a lavorare come avvocato a Phoenix, ma nel 1964 si era lasciato appassionare dalla politica, facendo campagna elettorale per il superconservatore Barry Goldwater. Goldwater aveva perso la Casa Bianca contro Johnson, ma Rehnquist si era fatto le conoscenze che gli sarebbero tornate utili quando i repubblicani fossero riusciti a riconquistare la presidenza con Nixon. Un amico si ricordò di William, che venne nominato assistente segretario alla Giustizia. L’ex consigliere di Nixon John Dean racconta che quando il capo della Casa Bianca vide per la prima volta Rehnquist, vestito con l’improbabile eleganza di uno svedese del Wisconsin trapiantato in Arizona, domandò: ”Chi è quel pagliaccio?”. Alla lunga, però, il clown aveva finito per conquistarlo, perché fu proprio Nixon a nominarlo giudice della Corte Suprema nel 1971. Allora il massimo tribunale usciva dall’era di Earl Warren, che l’aveva usato per affermare i diritti civili e il potere governo federale sugli stati. Nixon accusava la Corte di legiferare dallo scranno con le sue opinioni e voleva invertire la rotta. Rehnquist era l’uomo giusto per farlo, e lo dimostrò appena un anno dopo il suo insediamento. Infatti quando il 22 gennaio del 1973 i suoi colleghi legalizzarono l’aborto con la sentenza ”Roe vs. Wade”, lui espresse uno dei soli due voti contrari. Poi lo spiegò così: ”Questo è stato un atto legislativo, non giudiziario”. Venti anni prima, nel 1952, Rehnquist aveva manifestato un’altra opinione che lo avrebbe perseguitato per tutta la carriera. L’oggetto era la causa ”Brown vs. Board of Education”, sulla segregazione razziale delle scuole, e William aveva scritto un memorandum per il giudice Jackson. In sostanza diceva che la divisione tra studenti bianchi e neri era accettabile, a patto che le scuole fossero uguali. Di questo incidente si parlò parecchio nel 1986, quando Reagan scelse Rehnquist come nuovo capo della Corte Suprema, una carica che lo trasformava nel giudice di più alto grado del Paese. William aveva passato l’esame della conferma senatoriale, cominciando la fase determinante della sua carriera. Sulla toga nera aveva cucito i gradi, quattro strisce in oro copiate dal costume del Lord Cancelliere nell’operetta ”Iolanthe”, e si era impegnato a modellare a propria immagine e somiglianza un tribunale che intanto si riempiva di giudici conservatori. La ragione dello Stato doveva prevalere su quella dell’individuo, il potere dei cinquanta Stati andava protetto rispetto a quello del governo federale, ”il muro di separazione tra Chiesa e Stato è una metafora sbagliata che si basa su una cattiva storia”, in democrazia il volere della maggioranza deve sempre avere la meglio, e il compito dei giudici non è quello di legiferare. Con questi principi in testa ha orientato alcune delle sentenze fondamentali per gli Stati Uniti, come quella del 12 dicembre 2000 sulla sfida presidenziale tra George Bush e Al Gore. La Corte Suprema della Florida, secondo lui, aveva violato i proprio limiti ordinando la riconta dei voti. Siccome non c’era uno standard nazionale per compiere questa operazione, e mancava il tempo per adottarlo, bisognava sospenderla e dare la Casa Bianca a chi era in vantaggio. Severo sullo scranno, Rehnquist passava per un uomo gioviale nella vita privata, condivisa con la moglie Nan che aveva sposato quando lei lavorava alla Cia. Al suo ristorante preferito mangiava sempre un cheeseburger con una birra leggera, giocava a tennis con i segretari e scommetteva qualche dollaro su tutto, dalle elezioni presidenziali ai centimetri di neve accumulati d’inverno sui gradini della Corte. Alla fine del processo per l’impeachment di Bill Clinton, che gestì in Congresso fino all’assoluzione, si fece regalare una T-shirt per sdrammatizzare se stesso e il suo ruolo: ”Ho presieduto - diceva la scritta - al processo ad un presidente, e tutto quello che ci ho guadagnato è stata questa miserabile maglietta”» (Paolo Mastrolilli, ”La Stampa” 5/9/2005).