2 novembre 2004
BOULMERKA
Hassiba. Nata a Constantine (Algeria) il 10 luglio 1968. Mezzofondista. La «più grande atleta del mondo arabo, la ragazza coraggiosa che vinceva tre ori in cinque anni nei 1500 metri (Mondiali di Tokio ’91, Olimpiade di Barcellona ’92, Mondiali di Göteborg ’95: ”I miei tre figli”) sfidando l’ostilità degli integralisti islamici con le uniche armi che aveva a disposizione: il volto scoperto (’Non ho mai messo il velo: sono bellissima così!”), le gambe nude, il coraggio delle azioni e delle idee. [...] Arrivava sul traguardo, pompava il pugno in aria, spalancava quel suo sorriso cavallino. Osava. ”Molta gente in Algeria rideva di me. Diceva che ero un’idiota, una pazza. Cosa significa una donna che corre? Nessuna ragazza musulmana era mai arrivata ai vertici dell’atletica mondiale. Io sì. E ho deciso che avrei accettato la sfida”. Non con le avversarie né con il cronometro. La corsia di Hassiba era transennata dai pregiudizi. Guai a te se passi il confine, sporca peccatrice. Attenta a te se ti presenti ancora con quell’abbigliamento scandaloso, canottiera e calzoncini. Eretica. Puttana. E lei continuava ad osare: ”Sport vuol dire emozione, fatica, gioia e lacrime. Lo spettacolo è fatto di facce che cambiano e gambe che corrono. Nascondere il corpo di un’atleta è un controsenso”. Pericoloso. Dopo l’oro di Tokio, il Gia (Gruppo islamico armato) la condannò a morte. Nomi falsi negli alberghi, un letto diverso ogni sera, guardie del corpo. Paura. Per tutta risposta, l’anno dopo Hassiba conquistò l’Olimpiade spagnola. Il corpo sudato e ansimante, ancora quella risata sfacciata in mondovisione. Gli Imam si riunirono per pronunciare un ”kofr”, una pubblica sconfessione della Boulmerka dalle moschee dell’Algeria. Lei, ancora una volta, non si tirò indietro: ”Dedico la medaglia al presidente Mohamad Boudiaf”. Ucciso dai fondamentalisti. Perché l’hai fatto Hassiba? Perché ti sei esposta così? ”Perché la sua morte mi aveva fatto soffrire”. Correva, e un passo dopo l’altro la sua vita diventava blindata. Il primo bersaglio celebre del furore islamico. Hassiba, la signora in paltò rosso che ancora oggi è considerata una donna scomoda. ”Vorrei conoscere qualcuno che ha patito ciò che ho dovuto sopportare io”. A Constantine, 400 chilometri da Algeri, dove è nata, ha lavorato come capo del personale della filiale Fiat ed è decollata verso il tartan della grande atletica, non torna più. Non ne ha motivo: mamma, papà e i sei fratelli, minacciati di morte quando lei cominciava a vincere, non abitano più là. ”Il mio sacrificio è il sacrificio di tutta la mia famiglia”. Constantine non le manca. la città dove negli anni Settanta un’adolescente che si dedicava allo sport era ”una provocazione”. Quando partì, non aveva lepri che le tirassero la volata. Nessun modello, nessun punto di riferimento. ”Ma se in Algeria il 10 luglio 1968 è nata Hassiba Boulmerka, lo devo anche ai martiri della rivoluzione. Da piccola mi portavano in pellegrinaggio nei luoghi degli scontri [...] Le mie vittorie arrivarono in un momento difficile della storia dell’Algeria. Era impossibile per una donna araba e musulmana emergere in quel tipo di società: ciò che non era proibito dalla religione, lo era dalla legge o dalle tradizioni”. Di Barcellona ’92, che le diede fama e problemi, ricorda un’emozione feroce: ”La vertigine di essere arrivata in cima”. E oggi che in cima non c’è più, lungo la schiena le rimane un brivido sottile. ”Il mio messaggio era che, attraverso lo sport, la società araba riconoscesse la donna. Mi sono imposta con i miei mezzi: la forza d’animo, il coraggio, la tempra”. L’immagine di quella piccola donna, 156 centimetri per 52 chili, stravolta all’arrivo, era troppo violenta per chi non aveva mezzi per capire. ”Diventai un polo d’aggregazione, un simbolo per le donne del mondo arabo”. Agli integralisti non piacque. ”Volevano soffocare tutti i simboli di modernità”. Inclusa Hassiba. [...] in un’intervista, diceva che ”il vero problema è che l’integralismo si allargherà nei paesi europei, sfruttando le libertà dei sistemi democratici”. Sembrava pessimismo, si è rivelata una profezia. Il fanatismo che ha devastato il cuore di New York, squarciato Madrid e Istanbul, colpito l’Egitto, le è famigliare. L’ha assaggiato, ne sente ancora il sapore amaro in bocca. ”L’ho visto, l’ho conosciuto, l’ho vissuto. Io so cos’è. Ecco perché mi permetto di dire che ogni estremismo è sbagliato, che l’Islam è una religione magnifica, che parla di pace e tolleranza, che andrebbe insegnata nelle scuole anche in Occidente perché i bambini, almeno loro, sappiano che l’immagine dell’Islam come terrorismo è fuorviante e sbagliata. l’estremismo che va combattuto, non l’Islam. Ma forse è troppo tardi, perché ormai la politica ha inquinato anche la religione”. triste per ogni paese che si rifiuta di valorizzare una sua grande risorsa naturale: la donna. [...] ”Mio nonno diceva: meglio avere un uovo in mano che guardare un uccello che vola”. Vive tra Miami e Parigi, la metropoli europea dove è in vigore una legge contro l’esibizione a scuola di simboli religiosi: ”Proprio a questo alludo quando dico che abbiamo politicizzato la religione. In un paese democratico ognuno dovrebbe sentirsi libero di fare ciò che vuole nel rispetto degli altri”. Ad Atene, ai Giochi 2004, non c’era. Nessuno dei papaveri del Comitato olimpico internazionale ha pensato di invitarla. ” grave che se ne siano dimenticati: credevo che fosse rimasta solo l’Algeria ad avere paura dei simboli femminili...”. Ti pianta quegli occhi di piombo in faccia. Osa. Come sempre. ”Ho un carattere duro, non regalo fiori. Ma sono onesta in un mondo di ipocriti. E sono sincera quando dico che l’emancipazione della donna passerà sempre attraverso lo sport”. Se tornassi indietro, rifaresti tutto? ”Sì”. Proprio tutto? ”Sì”. [...]» (Gaia Piccardi, ”Corriere della Sera” 2/11/2004).