Varie, 1 novembre 2004
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Buso Sergio
• Padova 3 aprile 1950, Milano 24 dicembre 2011. Calciatore. Portiere. Poi allenatore. Nel 2004/2005 sostituì Emiliano Mondonico sulla panchina della Fiorentina per poi lasciare il posto a Dino Zoff • «Tutto iniziò con Annibale, o con un rigore parato a Gigi Riva, o, forse, con gli studi di ingegneria edile. È difficile trovare un punto di partenza per scrivere la storia di Sergio Buso [...] nasce a Padova in una famiglia semplice, tanto che, per mantenersi agli studi superiori da geometra si inventa mille lavori: muratore, tornitore, centralinista, disegnatore tecnico. Al tutto unisce quattro borse di studio da centomila lire l’una, vinte con lo studio. Nel frattempo diventa portiere del Padova in serie C, dove approda dopo gli inizi nella squadra della parrocchia di San Benedetto. Buso somma 69 presenze in quattro stagioni. Abbastanza per fargli capire di avere le qualità per affermarsi nel calcio professionistico. A 17 anni ha l’occasione per un viaggio in Inghilterra e lo passa ad osservare allenamenti e partite rimanendo affascinato in particolare dal gioco del Liverpool. L’esordio in A risale al 14-10-73, quando il suo Bologna (vi era arrivato l’anno precedente e collezionò 40 presenze) vinse 4-0 col Vicenza. Buso, però, non era un calciatore qualsiasi, si era iscritto a Economia e commercio, studiava per diletto ingegneria edile, al punto da poter tracciare il progetto di una casa che si è fatto costruire qualche anno fa a Taranto, leggeva libri di storia e, in particolare, di strategie militari, primi tra tutti quelli che riguardavano Annibale. Quando, nel ’99, prese la guida del Bologna, suo primo incarico ufficiale da allenatore in serie A, si presentò con un simpatico accostamento tra il calcio e il condottiero cartaginese: “È stato lui a inventare il gioco sulle fasce. Come? Nella battaglia di Canne sconfisse l’esercito romano, guidato da Lucio Emilio Paolo e Caio Terenzio Varrone, fingendosi debole al centro. Lasciò che i romani lo attaccassero in quel punto e dispose cavalleria e fanteria sui lati in modo da colpire i legionari sui fianchi. Vincendo”. Ma questa è storia recente. Sergio Buso non è un talento naturale, lui ha sempre studiato calcio. La prima stagione da protagonista nel Bologna gli vide strappare il posto da titolare a Battara e parare 3 rigori, a Cuccureddu, Golin e ad un certo Gigi Riva. A fine campionato, però, niente mare, solo vacanze studio ai Mondiali in Germania. “Per apprendere i segreti dei campioni e studiare diverse metodologie di lavoro”. Non pago concluse il viaggio con un salto in Polonia e Cecoslovacchia e una puntatina in Inghilterra. In tutto diecimila chilometri di strada a bordo della sua Mini. I rigori parati gli valsero il secondo soprannome: Jascin, per l’altezza e i movimenti che ricordavano quelli del portiere russo. Il primo gli era stato affibbiato all’arrivo nel ritiro del Bologna. Nella canicola estiva si era presentato in completo di lino e cravatta. Per tutti era subito diventato “l’onorevole”. Quei rigori gli valsero pure la convocazione nell’Under 23 di Bearzot in una formazione straordinaria: Buso; Gentile, Maldera; Guerini, Danova, Scirea; Orlandi, Boni, Calloni, Antognoni, Libera. Quelle parate sui tiri dal dischetto divennero mito quando le spiegò: “È tutta questione — disse — di bisettrice, se l’attaccante tira da quella posizione ci si regola sulla semiretta che divide in due parti uguali l’angolo che ha come punti di riferimento il pallone e i pali. Se colpisce bene sai già dove va la palla”. La serie A dura poco, Buso scende in B ed anche in C, ma non si arrende e risale in A con il Pisa. Nel suo albo d’oro figura pure una coppa Italia, vinta col Bologna contro il Palermo, nel ’74, naturalmente ai rigori. Un giornalista scova un terzo soprannome, ispirato dai suoi silenzi: Buster Keaton, un altro lo definisce l’enciclopedia del calcio, per le sue straordinarie conoscenze calcistiche. Lui cataloga tutto, fin da quando era ragazzino, memorizza schemi, risultati, caratteri e movenze, persino le finte tipiche di ogni giocatore. Ha scritto un libro, con Orrico, e ha fatto tre videocassette sui portieri, ma soprattutto ha studiato. Con il Bologna, nel ’99 ha la grande occasione per diventare allenatore in serie A, ma l’avventura dura solo 7 partite. Riprova a Taranto in C2, poi torna a fare il secondo e ad allenare portieri con sporadiche presenze sulle panchine di Venezia e Reggina. Prima di prendere la guida della Fiorentina annuncia: “Io la mia grande occasione l’ho avuta a Bologna e non ne ho saputo approfittare. Ora penso solo a fare il bene della società che me lo chiede dando tutto me stesso, poi me ne tornerò ad allenare i portieri”. [...]» (Matteo Dalla Vite, Alessio Da Ronch, “La Gazzetta dello Sport” 2/11/2004) • «Lo chiamavano Treccani. Tutti a dire che era una specie di enciclopedia. Tattiche, giocatori, strategie. Che bravo che è Buso, come è preparato Buso. Sì, certo. “E così mi hanno ucciso” dice lui [...] Una faccia triste, in tinta con la pioggia d’autunno. Riservato, pignolo, zelante, aziendalista, silenzioso, freddo: quanti aggettivi per provare a capire un uomo senza capirci un granché. Poi basta parlarci e scopri l’umorista che non ti aspetti. “Gli amici mi chiamavano Buster Keaton” spiega. E Keaton faceva ridere senza parlare. E senza ridere. Mai. [...] “Preferirei che mi definissero un manovale o un muratore piuttosto che un’enciclopedia” [...] Innamorato di strategie militari e ammiratore di Annibale (“Mi interessano, ma ho letto solo qualche libro”)» (Benedetto Ferrara, “la Repubblica” 1/11/2004).