Varie, 27 ottobre 2004
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Sebald Winfried
• Georg Maximilian Allgäu (Germania) 18 maggio 1944, Norfolk (Gran Bretagna) 14 dicembre 2001. Storico • «L’’Operazione Gomorra” prevedeva la distruzione di Amburgo. Gli aerei inglesi, appoggiati dalla flotta americana, scatenarono sulla città tedesca un inferno che nessuno aveva mai visto né creduto possibile. In poco tempo l’intera area urbana divenne un mare di fiamme. Le vampe degli incendi raggiunsero i duemila metri d’altezza, le correnti d’aria provocate dall’ossigeno risucchiato dal fuoco sembravano uragani che sradicavano alberi, sollevarono tetti, trascinarono in aria esseri umani trasformati in fiaccole viventi. Lingue di fuoco correvano per la città a centocinquanta chilometri all’ora, l’acqua ardeva nei canali, l’asfalto liquefatto si gonfiava in grosse bolle. Nessuno sa con esattezza quanti morirono quel 28 luglio, si sa solo che le squadre di sgombero che entrarono in azione parecchi giorni dopo trovarono solo macerie fumanti, montagne di corpi lessati nell’acqua bollente, ammassi di carne e ossa, fagotti di esseri umani carbonizzati. Per rimuovere i resti di un’intera famiglia bastava un cesto della biancheria. La sorte di Amburgo toccò all’intera Germania. Il paese, sommerso da un milione di tonnellate di bombe, fu raso al suolo, dai borghi medievali, allo zoo di Berlino, ai luoghi simboli del nazismo. Oltre cinquant’anni dopo, nel 1997, lo scrittore W. G. Sebald tenne una serie di conferenze a Zurigo [...] Di fronte al pubblico, l’autore dell’acclamato Austerlitz, toccava un nervo scoperto della sua nazione, effettuava un lucido ragionamento, poneva un interrogativo scabroso. Le vittime della guerra aerea furono oltre mezzo milione, il popolo tedesco si ritrovò in mezzo a macerie, topi, distruzione, visse ”un’umiliazione nazionale senza precedenti”. Eppure, tutti cercarono di rimuovere l’apocalissi. I sopravvissuti tacquero l’orrore e pochi scrittori - e storici - sentirono il bisogno di raccontare quella distruzione. Le eccezioni furono poche, dall’Angelo tacque di Böll (uscito, tra l’altro, solo nel ’92) ad altre opere minori di Kasack, Nossack, Schmidt, Kluge. Perché questo silenzio? Le conferenze, come aveva già fatto nel bellissimo Mattatoio N° 5 Kurt Vonnegut, americano prigioniero a Dresda, sottolineano la cinica, assurda, spietata logica della guerra aerea. Sebald è asettico. Ma le sue parole pesano come macigni. I bombardamenti sono vigliacchi, spietati, militarmente inutili. La distruzione sistematica delle città era stata voluta da Churchill per fiaccare il morale del popolo tedesco nel momento in cui le armate di Hitler conquistavano il continente. Chiese e ottenne che l’industria bellica si concentrasse sulla costruzione di bombardieri e ordigni. Quando il traguardo fu raggiunto bisognava ”necessariamente” agire. Che farsene di tutto quel ben di dio costoso se non sganciarlo sulle teste del nemico? Dopo tanti sforzi non si poteva ”sprecare” le bombe sganciandole in un campo, dice un pilota alleato, nemmeno se le città scelte come bersaglio avessero issato bandiere bianche, sarebbero state risparmiate. Così era deciso, così bisognava fare, seguendo un’assurda logica dell’annichilimento. I bombardamenti colpirono quasi sempre obiettivi civili, quartieri residenziali, edifici pubblici, monumenti, il sistema industriale di Hitler venne solo minimamente intaccato, uccisero donne vecchi bambini. La fine della guerra non fu anticipata di un sol giorno con quel diluvio di fuoco. Naturalmente Sebald non vuole mettere sul banco degli imputati gli strateghi della Raf. Né accreditare un’immagine revisionista di un silenzioso olocausto tedesco. I generali della Wehrmacht avevano, a loro volta, pianificato l’annientamento dell’esercito francese e di intere zone della Francia, come nelle visionarie scenografie nibelungiche di Fritz Lang e Thea von Harbou. Hitler e Goebbels sognavano di cancellare Londra dalla faccia della terra, ma non ci riuscirono. L’analoga missione con gli ebrei sappiamo come è andata a finire. A Sebald non interessa separare i buoni dai cattivi. Vuole semplicemente, come lo studioso Jacques Austerlitz, protagonista del suo meraviglioso romanzo, fare chiarezza sul passato per affrontare la menzogna, il dolore, l’inautenticità. Sebald è nato nel ’44 in una zona a ridosso delle Alpi, risparmiata dalle grandi distruzioni (è morto poi, improvvisamente, nel 2001, dopo aver insegnato per trent’anni in un’università inglese). Non ha un ricordo diretto del conflitto. Ma la generazione precedente alla sua sì. Eppure fece di tutto per cancellare, rimuovere, tacere. La gente si gettò a capofitto nel lavoro per ricostruire il paese - e effettivamente compì un miracolo - gli scrittori fecero finta di niente. Perché andò così? Perché tutti si sentivano complici di quanto era accaduto. [...] Per anni il periodo compreso tra il 1930 e il 1950 fu una specie di buco nero nella coscienza collettiva della Germania. Nessuno voleva guardarci dentro e nessuno voleva raccontarlo alle generazioni future. Ma per Sebald il silenzio è colpevole. L’orrore deve essere capito, messo a nudo, affrontato. Altrimenti riemerge. Dopo le conferenze di Zurigo, un tal ”signor H.” scrisse a Sebald una lettera per fornire inquietanti spiegazioni. La campagna aerea e la distruzione delle città - a suo dire - avevano l’obiettivo di rescindere le radici del popolo tedesco per preparare l’invasione culturale dell’America nel dopoguerra. E tutto era stato pianificato dagli ebrei che vivevano all’estero. Più o meno le stesse argomentazioni dei Protocolli dei Savi di Sion, gli stessi fantasmi della congiura mondiale giudaica. Il dottor H. era più o meno coetaneo di Sebald, dunque non era figlio della propaganda hitleriana. E non era nemmeno uno squinternato. Era un individuo normale e lucido. Come i tanti che negli anni Trenta avevano permesso l’ascesa del nazismo, la cultura della violenza e dello sterminio. ”Se mai vi fu qualcosa all’origine delle incommensurabili sofferenze che si riversarono sul mondo a causa di noi tedeschi - dice Sebald - si trattò proprio di quelle dicerie propalate per ignoranza e risentimento. La maggioranza dei tedeschi oggi sa - almeno si spera - che fummo proprio noi a provocare la distruzione delle città nelle quali vivevamo allora”. [...]» (’La Stampa” 26/10/2004).