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 2004  ottobre 25 Lunedì calendario

BenAli ZineElAbidine

• Hammam-Sousse (Tunisia) 3 settembre 1936. Politico. Dal 1987 presidente della Tunisia, il 14 gennaio 2011 fu costretto alla fuga da una rivolta popolare • «[...] Quando [...] il 7 novembre 1987, prese il potere “senza violenza ed effusione di sangue”, Ben Ali fu salutato con simpatia persino dagli islamisti, che pur lo conoscevano come un poliziotto esperto nella repressione. Era allora primo ministro e ministro degli Interni, dopo essere stato capo della polizia ma anche diplomatico. Tra l’altro ambasciatore in Polonia. Nato in una famiglia modesta, della città costiera di Hammam Sousse, aveva salito tutti i gradini della gerarchia militare, frequentando anche accademie militari in Francia e negli Stati Uniti. Parlava un pessimo francese con un accento arabo-americano. Habib Bourguiba, il padre della patria, era ormai afflitto da una progressiva senilità e Ben Ali, ritenendosi il suo delfino, lo relegò in una residenza sorvegliata, senza troppi complimenti. Si parlò di un “colpo di Stato medico”. Il nuovo presidente fu salutato come un salvatore della patria che versava in pessime condizioni economiche e che si diceva fosse insidiata da un partito integralista islamico (Ennahdha) impegnato in innumerevoli e imprecisati complotti. Lui, Ben Ali, rilanciò l’economia gettando le basi di un liberismo nuovo per il paese e schiacciò il partito integralista. Ebbe anche impennate democratiche, poiché abolì il principio della “presidenza a vita” del tempo di Bourghiba e limitò a tre il numero dei mandati, che poi aumentarono via via che prendeva gusto ad esercitare il potere. Promosse persino una politica sociale detta di solidarietà, istituendo fondi speciali destinati ai più poveri, o alla creazione di un sistema di sicurezza sociale. Sull’esempio del predecessore, che aveva fatto della donna tunisina una delle più libere del mondo arabo, si dedicò per un certo periodo anche all’emancipazione femminile. Mentre diventava l’idolo delle classi medie, favorite dal rapido sviluppo economico (la crescita è stata per anni superiore al 5 per cento); Ben Ali sviluppava al tempo stesso, e con identico zelo, la sua inclinazione alla repressione poliziesca. Non soltanto nei confronti degli islamisti, ma anche di qualsiasi oppositore, subito definito di sinistra. Cosi ha creato un’atmosfera da incubo. Le intercettazioni telefoniche estese a tutte le classi sociali rendevano le conversazioni enigmatiche, fitte di sottintesi. Negli anni Novanta le prigioni tunisine si sono riempite di persone che avevano osato criticare il regime. I giornalisti e i sindacalisti erano le vittime preferite. Grazie a uomini di fiducia, spesso parenti di Leila, la seconda moglie, il presidente si è impadronito dei principali mezzi di comunicazione: quotidiani, radio, televisione. Mentre la famiglia Trabelsi, quella della moglie, e i clan alleati, allungavano le mani su tutte le altre attività economiche del paese: le banche, le compagnie aree, le rappresentanze di automobili di lusso, spesso tedesche, le compagnie di navigazione, i cellulari e tutti gli strumenti elettronici. Senza contare le residenze più pregiate, sulla costa, verso Gabez o verso Biserta. Uno dei pilastri del regime era Abdelwahab Abdallah, capo di un organismo incaricato di controllare i massmedia, nazionali e internazionali. Compito di Abdallah era di far apparire Ben Ali come uno scudo contro l’islamismo radicale. A questo fine venivano inventate crisi più o meno gravi, presentate come minacce alla laicità. Lo slogan, che non lasciava indifferenti le cancellerie occidentali, era: “Gli estremisti amici di Bin Laden vogliono il potere”. E gli alleati occidentali abboccavano all’amo, al punto da trascurare il carattere sempre più poliziesco del regime, e l’abbandono progressivo di quella politica sociale che Ben Ali aveva abbozzato all’inizio del suo lungo potere. Che importava se le galere erano piene, dal momento che chi le riempiva era un fiero avversario dell’estremismo islamico? Nel 2007 l’economia tunisina era classificata la migliore dell’Africa, e al tempo stesso i difensori dei diritti umani giudicavano il regime tunisino uno dei più liberticidi. La crisi ha attenuato i vantaggi economici, mettendo ancor più in risalto la repressione. E la Tunisia è esplosa» (Bernardo Valli, “la Repubblica” 15/1/2011) • «Lo stile è cattedratico, involuto, asfittico. Il suo armamentario ideologico vive con i ritagli del vecchio Bourghiba, senza la leonina passione del rivoluzionario che mise al mondo la Tunisia indipendente [...] sopracciglia nerissime, la faccia bonaria e domenicale [...]» (“La Stampa” 24/10/2004) • «È tetragono alla democrazia. Senza rievocare le immagini più odiose delle dittature e dei dittatori, perché ci tiene alla sua “rispettabilità”, la Tunisia di Zine El Abidine Ben Ali resta molto al di sotto della soglia minima di rispetto, effettivo e non nominale, dei “diritti dell’uomo”. L’accesso alla vita politica ufficiale (partiti, parlamento) passa attraverso misure amministrative che comportano discriminazione per qualsiasi forma di contestazione o alternativa e distribuzione di prebende compensative non solo fra i clienti ma anche fra gli oppositori compiacenti. È come se Ben Ali non riuscisse a liberarsi dei suoi trascorsi di “uomo di polizia”. Una contraddizione storica per un dirigente - e, si suppone, un gruppo dirigente - che è emerso a debita distanza dal governo “dell’indipendenza”, in cui prevalgono per vocazione o per inerzia pregiudizi e idiosincrasie poco compatibili con l’istituzionalizzazione della politica. [...] Nella sua scalata al potere, nel novembre 1987, Ben Ali ricorse a un atto più vicino al colpo di stato che alla successione costituzionale. Dalla sua parte aveva la giustificazione della “senilità” di Habib Bourguiba. Alla sua morte, molti anni dopo, vecchissimo ma forse non dimenticato, il padre della patria fu celebrato come si conviene a un personaggio ormai affidato alla storia e come tale fuori della politica corrente. Il regime sfrutta una giusta valutazione del fondatore dello stato e della repubblica per assicurarsi un di più di legittimità. Ma se l’irruzione poco ortodossa di Ben Ali sul proscenio dopo aver svolto ruoli primari ma in subordine al “combattente supremo” aveva un senso, questo era di avviare una fase diversa della politica tunisina. I fini immediati andavano nel senso dell’inclusione, con un vincitore ovviamente ma senza vittime che avrebbero pesato sulla coscienza e la convivenza. In particolare, Ben Ali aveva voluto scongiurare un passo falso di Bourguiba o di qualcuno dei suoi contro le prime, inquietanti manifestazioni dell’islamismo politico, in un paese che si faceva vanto di aver inaugurato in epoche non sospette laicismo e tolleranza ma che, secondo Ben Ali, non poteva permettersi una confrontazione troppo scoperta e troppo violenta ancorché in difesa di quei valori. [...]» (Giampaolo Calchi Novati, “il manifesto” 25/10/2004).