25 ottobre 2004
Tags : Remo. Croce
Croce Remo
• Nato a Roma il 23 agosto 1924, morto a Roma il 23 ottobre 2004. Libraio. «Governava tra i quasi centomila libri disseminati nei millecinquecento metri quadrati del suo regno cartaceo in Corso Vittorio. Più che una dittatura la sua era una paciosa democrazia alla romana, esercitata su un minigruppo di famiglia (la moglie Lidia, da sempre efficiente ”alter ego”, le figlie Rossella e Patrizia, un manipolo di collaboratori). Un regime che durava da oltre quaranta anni da quando Remo Croce (classe 1924, romano di Testaccio almeno da cinque generazioni) aveva deciso di mettersi in proprio dopo aver fatto ”l’apprendista” per una decina di anni. Quel periodo di formazione Remo lo ricordava con inevitabile nostalgia. Da Angelo Signorelli, prima, in via del Corso, da Vittorio Bonacci dopo, dalle parti di Piazza Cavour, ”le mie due università”. Lì aveva imparato a fiutare i libri e soprattutto gli scrittori. Lì passavano i Moravia, i Brancati, i Flaiano. Avevano autorità indiscussa, come non ascoltarli? Nasceva, e si consolidava nel tempo l’affettuosa disponibilità di Remo Croce libraio naturalmente vicino agli scrittori, grande mediatore con il gusto del lettore in virtù di un fiuto esercitato nel quotidiano contatto con i libri, grazie anche ad una parolina giusta sentita da Alvaro, a una indiscrezione secca di Cardarelli. In fondo un libraio è come una spugna. Deve saper assorbire. Sente quello che si dice e, poi, al momento opportuno si mette a disposizione del futuro lettore. Un lettore conquistato è una vittoria senza prezzo. Attraverso gli anni Croce aveva allargato i suoi obbiettivi. Dalla sua libreria che prima aveva aperto all’Argentina poi in Corso Vittorio passava tutta la cultura italiana più prestigiosa. Croce ricordava con simpatia, con affetto soprattutto i poeti, i grandi poeti scomparsi, quell’amabile signore che era Palazzeschi, il tenero e indifeso Penna, il dolce Caproni ”a sorpresa grandissimo lettore - lui così timido - dei suoi versi da incantare la platea”. A Roma, città che amava visceralmente nonostante tutte le sue contraddizioni Croce doveva quell’alacrità sorniona, quella sorridente (e indulgente) disponibilità che, a secondo delle necessità, lo faceva accorrere in difesa del best-seller stanco e bisognoso di cure o dell’autore giovane, ignorato da troppi. ”Gli autori - ripeteva spesso - sono come cavalli. Anche il purosangue ha bisogno di essere accudito, altrimenti il suo talento è sprecato”. Croce assecondava i talenti organizzando per loro presentazioni, si impegnava in un continuo e disinteressato ”consiglio alla lettura”. Non c’è stato scrittore nei suoi anni d’oro, tra il settanta e il novanta, che non sia passato per l’antro magico di Corso Vittorio sotto l’occhio curioso, benevolo, positivo del libraio più famoso di Roma, che guardava, approvava e progettava sempre nuove serate. Verso il libro aveva una realistica venerazione. Lo vedeva appunto realisticamente come fonte di soddisfazione e (perché no?) di giusto profitto per chi bazzica nei suoi dintorni. Non solo lui, ma soprattutto autori ed editori. Bisogna saper coniugare la cultura con il mercato, l’alta letteratura con il salotto letterario. Il best-seller è sacro perché crea altro best-seller, ”ma la pratica di un libraio è quella di soccorrere chi ne ha bisogno, di far conoscere ciò che non è ancora conosciuto”. Per questi obbiettivi vissuti con l’identificazione fatale di chi lavorava quindici ore al giorno distribuendo vitalità e buon umore a chi gli stava accanto, lo scenario di Roma non era bastato. E infatti Croce divenne tra la fine gli anni Ottanta e i primi anni Novanta presidente dell’Associazione Nazionale dei librai. Portò molte discussioni e qualche polemica. Per lui si trattava di salvare il mestiere ”dalle tante insidie sul suo cammino”. [...]» (Renato Minore, ”Il Messaggero” 24/10/2004).