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 2004  ottobre 23 Sabato calendario

PERRIERA Michele

PERRIERA Michele Palermo 1937, Cefalù (Palermo) 11 settembre 2010. Drammaturgo • «Non ama le cose facili. Sceglie i percorsi complessi. E allora ha voluto restare, combattendo e lavorando, cercando di spargere grani di creatività fin dal 1963, quando militò nella cosiddetta “Scuola di Palermo”, parte integrante del nucleo storico del “Gruppo ’63”. All’epoca aveva ambizioni narrative. Aveva appena pubblicato il romanzo Principessa Montalbo e il teatro era un pensiero nascosto, sfociato (era il ’61) nel dramma Il signor X. Aspetterà il 1970 per fornire la prima prova ufficiale di regista e drammaturgo con la riscrittura e la messa in scena del Faust di Marlowe, da lui ribattezzato Morte per vanto. La svolta grande, e tutt’oggi visibile, avviene nel 1979, quando Perriera fonda la Scuola di Teatro Teatès. Ha trascorso anni corrugati. Ha meditato sul teatro d’avanguardia, che gli appare privo di un rigoroso senso del “mestiere”, ha misurato l’assenza della tradizione, che per lui coincide con mito e memoria. E allora fonda Teatès, che è molto più di una scuola: è una finestra sul futuro ancorata al passato, è un luogo di ascolto della parola poetica e della parola interiore. Inaugurando un corso del 1996, Perriera dichiara ai giovani allievi: “Noi desideriamo che il teatro sia un luogo di rivelazione e di intensità”. Mostra il percorso che porta al teatro: “Senza il piacere, senza la passione delle differenze non c’è vero teatro”. E impone il prezzo da pagare: “Imparare a fingere bene in scena - imparare, cioè, a rendere viventi le verità nascoste - è imparare a misurarsi con la parte più segreta di noi, scottarsi al nostro fuoco nascosto, diventare stregoni, artigiani e moderni ragionieri della scena”. Teatès è tuttora uno dei gangli vitali di Palermo. Da alcuni anni è riuscito a trovare nei cantieri della Zisa la sua sede stabile. Qui si creano attori e suggestioni. Qui, senza tradire la proverbiale discrezione né il tono sommesso della voce, Perriera sperimenta la sua utopia teatrale, quel corpo scenico pulsante di emozioni e di memorie che nasce dai miti: come tutto il suo lavoro di scrittore teatrale. Le sue “favole” provengono da questo medesimo sostrato, appena corrugato dalla passione civile o dall’indignazione morale. Gli atti del Bradipo appartengono a questo genere di favole: sono un elogio della lentezza affidato a una scimmia che attraversa i tre atti con la densità e la levità di una macchia, di una nuvola, di un pensiero allegro o maligno. Nella città “crudele e meravigliosa” questa scimmia può creare allarme, simpatia, divertimento e affetto. Magari gratitudine» (“La Stampa” 22/10/2004).