21 ottobre 2004
Tags : Jeffrey. Eugenides
Eugenides Jeffrey
• Nato a Detroit (Stati Uniti) l’8 marzo 1960. Scrittore. «’In genere io parto sempre dai personaggi, non dalla storia o da un’idea preconfezionata del tema che intendo affrontare. Scelgo i loro nomi e i loro caratteri, e cerco di immaginare quali vicende potrebbero ruotargli intorno”. [...] Anche Middlesex, il libro sulla storia di un ermafrodita con cui [...] ha vinto il premio Pulitzer, era nato intorno all’idea di un personaggio? ”Nella letteratura si era già parlato di ermafroditi, ma sempre come figure mitiche tipo Tiresia. Io volevo descriverne uno normale. Facendo le mie ricerche, avevo letto la vicenda di una ragazza del Medioevo che si era accorta di avere questa caratteristica mentre era in convento, innamorandosi di un’altra ragazza. Perciò ho pensato di trasferire la sua storia in una scuola dei nostri tempi. A quel punto mi sono accorto che potevo inserire nella narrazione le vicende della mia famiglia, venuta negli Stati Uniti dall’Asia Minore, facendo risalire a quelle origini lontane lo sviluppo del gene da cui dipende la disfunzione del protagonista Cal. Così Middlesex si è trasformato in un libro epico-comico. Io lo vedo come una storia familiare. Non ho usato l’ermafrodita per raccontare la vicenda di un eccentrico, o di qualcuno diverso da noi, ma piuttosto come correlativo della confusione sessuale e d’identità attraverso cui passiamo tutti durante l’adolescenza” [...] Il club delle vergini suicide, il suo libro d’esordio, raccontava la storia di cinque sorelle che si tolgono la vita vicino Detroit. Come si fa ad avere successo commerciale con temi del genere? ”Pesanti eh? Ma solo in apparenza. A descriverli così, non si capisce che sono libri divertenti. Eppure ho cominciato a scrivere Middlesex con l’idea di fare un’opera epica e comica. Suppongo di avere una particolare sensibilità tragicomica. Non posso immaginare di scrivere una cosa che sia priva di umorismo, e allo stesso tempo non ammetta la tragedia. Mescolo i due elementi. un fatto centrale, per come vedo le cose [...] Non mi considero uno scrittore postmoderno. La mia generazione è cresciuta al contrario: prima ci siamo nutriti della letteratura moderna, e poi abbiamo scoperto quella realista. Andava bene il tentativo di rompere le regole, per cercare la novità, ma molta sperimentazione accademica ha raggiunto un vicolo cieco. Middlesex è postmoderno sotto vari aspetti, ma è anche un libro parecchio tradizionale. Ovviamente tornare ad utilizzare motivi classici è una pratica fondamentale del postmodernismo, ma raccontare una storia non sempre lo è. A me piace la narrativa. Leggo e scrivo per lei. E penso che un autore debba trovare il suo equilibrio sulla base della storia che intende raccontare, non delle dispute accademiche”» (’La Stampa” 20/10/2004).