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 2004  ottobre 20 Mercoledì calendario

VEERAPPAN Koose Muniswamy Gopinatham (India) 18 gennaio 1952, morto il 18 ottobre 2004. Bandito • «Quando Koose Muniswami Veerappan era diventato un fuorilegge, i baffi non gli crescevano ancora

VEERAPPAN Koose Muniswamy Gopinatham (India) 18 gennaio 1952, morto il 18 ottobre 2004. Bandito • «Quando Koose Muniswami Veerappan era diventato un fuorilegge, i baffi non gli crescevano ancora. Aveva 14 anni e uno zio bracconiere d’elefanti nella giungla spessa tra Tamil Nadu e Karnataka. Uccise il suo primo pachiderma e svelse le zanne, era il 1960 e cominciava una carriera criminale tra le più singolari di un paese che sembra un film anche quando tutto è solo vero. Da allora Veerappan e la sua banda hanno abbattuto duemila elefanti, centoventi persone e una incalcolabile quantità di alberi di sandalo. Perché prima d’essere un capobanda sanguinario, oppure il Robin Hood di una Sherwood piena di cobra lungo il fiume Cauveri, il re della giungla era un contrabbandiere di legno di sandalo. Raro, prezioso, protetto, vietato. Quindi redditizio. Un po’ Salvatore Giuliano e un po’ Ghino di Tacco, Veerappan aveva accumulato fortuna, potere e seguito popolare con gli elefanti. Poi nel ”73 il governo indiano dichiarò il bando totale dell’avorio, gli affari dei bracconieri crollarono e Veerappan si riconvertì all’altro oro della giungla, il sandalo. La leggenda, una tra le tante, dice che ne ha tagliato e commerciato per 450 milioni di dollari. Che sono da qualche parte nella giungla, visto che Veerappan non ne sarebbe mai uscito. Era il suo regno, fuori dalla foresta il capo dei banditi era un uomo morto. Con il sandalo il bandito accumula soldi, potere, fortuna. A suo modo paga le tasse, sotto forma di tangenti alla polizia e all’esercito. Ma ai politici mai, non vuol pagare nulla. ”Bracconaggio e contrabbando? Lo fanno tutti - dice in una rara intervista a ”India Today’ - lo fanno i deputati statali, lo fanno i parlamentari, perché voi figli di puttana ve la prendete solo con me? Io sto solo guadagnando la mia vita e proteggendo la mia gente”. Già, la sua gente. Per essere un bracconiere con nessun addestramento militare Veerappan si muove nella giungla come un guerrigliero consumato. Poche o nessuna arma pesante, piedi leggeri, una scatoletta di carne secca Mysore pak, un po’ di pasta di tamarindo per fare la zuppa, il principio che una mina ben piazzata serve più di cento mitragliatrici e soprattutto che senza la gente della foresta hai perso. E per amore o per forza, la gente è dalla sua.
Chi avrà cominciato prima a massacrare contadini, le forse speciali per avere informazioni o il bandito per fermarle? Lui lo racconta così a ”India Today”: ”Mi avevano detto che la guardia forestale aveva promesso l’impunità a dei cacciatori se mi uccidevano. Allora non ci ho visto più: li ho aspettati al varco, ho sparato, poi li ho fatti a pezzi con ascia e coltello. Così sono diventato una tigre”. E Jungle cat sarà chiamato. Non è solo terrore. Veerappan protegge i villaggi di dalit, i senza casta, dalle angherie della polizia che brucia i villaggi per bruciare la terra intorno al bandito, regala soldi alle figlie dei contadini per farsi la dote. E si ”politicizza”. La svolta la racconta un quindicinale ambientalista indiano, Down to Earth (l’intera storia è raccontata da Marina Forti in La signora di Narmada per Feltrinelli). Ed è dovuta a una catastrofe: a furia di tagliare indiscriminatamente, il legno di sandalo è sparito. Tamil Nadu e Karnataka fanno il novanta per cento della produzione indiana di sandalo, la giungla di Veerappan ne è la miniera più ricca. Quando arriva la crisi, alla fine degli anni ”90, le istituzioni statali corrotte si contendono ciò che rimane: promulgano leggi dannose, promuovono le soffiate tra le bande di boscaioli illegali, massacrano gli alberi giovani, incentivano le piccole fabbriche illegali che pagano meglio di quelle dello stato. E tra una caserma assaltata e un magistrato decapitato, Veerappan impara il valore del legno. Incentiva i ”suoi” villaggi a tagliare pochi alberi per volta, a venderli nel ”suo” Tamil Nadu insieme agli altri prodotti della giungla, a condividere i benefici del commercio. Un bandito equo e solidale. Mentre il suo regno d’alberi si restringe, Veerappan prova più volte ad ”arrendersi”: le condizioni (immunità, possibilità di tenere le armi, un film sulla sua vita e un sacco di soldi) sono risibili. Nel 2000 ci riprova, ma con un colpo da maestro: rapisce l’attore Rajkumar, stella di primissima grandezza di Bollywood in lingua kannada, quella del Karnataka. Nella capitale Bangalore succede il finimondo, il governo chiude scuole e negozi per due giorni e manda diecimila poliziotti per le strade. Il direttore di un popolare giornale in lingua tamil viene inviato nella giungla come mediatore. E racconta di un altro Veerappan: ”Parla come il capitano di un movimento politico armato, nomina sempre Che Guevara”. Nuova vita, nuove rivendicazioni: un processo all’Aja per spartire equamente le acque del fiume Cauveri, la scarcerazione di estremisti tamil, risarcimenti per i dalit danneggiati dalla caccia al re dei banditi... L’attore torna a casa intatto dopo più di tre mesi, e il bandito resta nella giungla. Ma il sandalo è finito, e con lui i guadagni e la possibilità di tenere in piedi la rete che lo protegge dalla special task force che lo insegue da anni. E una soffiata lo inchioda. Ha un problema a un occhio, deve andare in un ospedale a Dharmapuri nascosto in un’ambulanza, ma alla guida c’è un agente infiltrato. La polizia intima la resa, racconta, ma Veerappan e i suoi aprono il fuoco. Muoiono tutti e finisce la leggenda. O forse ne comincia un’altra» (Roberto Zanini, ”il manifesto” 20/10/2004). «Il ”principe” dei banditi indiani è caduto sotto le pallottole della polizia che da decenni gli dava la caccia. Gli occhi piccoli e neri, i grandi baffi spioventi e un fucile mitragliatore a tracolla, Koose Muniswamy Veerappan sembrava un eroe maledetto, partorito dalla fantasia di Emilio Salgari. [...] Si nascondeva dalla fine degli anni 60 nell’impenetrabile foresta tropicale che copre gran parte degli Stati meridionali del Tamil Nadu, del Kerala e del Karnataka. Si muoveva agile come una tigre, insieme ai suoi complici, che nella fantasia popolare erano ”centinaia”, se non ”migliaia”. Come i terribili Thugs, gli appartenenti alla setta degli strangolatori de I misteri della jungla nera. I poliziotti lo hanno ucciso tra liane, alberi di tek e di sandalo, a 300 chilometri da Madras, dopo che - dicono - aveva rifiutato di arrendersi, insieme a tre complici. Terribili i delitti di cui si era macchiato: le autorità lo accusavano di oltre 130 omicidi e di contrabbando di legno di sandalo e di avorio, per procurarsi il quale Veerappan, nella sua lunga carriera, aveva sterminato 2.000 pachidermi. La sua fama aveva raggiunto anche l’Occidente. L’uomo che in India veniva definito sui giornali come un Robin Hood, ”perché non rubava ai poveri”, aveva raggiunto la notorietà mondiale quando, nel 2000, compì la sua impresa più clamorosa sequestrando Rajkumar, un celebre attore di ”Bollywood”, la Mecca del cinema indiano. Veerappan lo aveva rapito mentre il settantunenne divo del grande schermo si trovava nella sua villa e lo aveva tenuto prigioniero per 108 giorni nella giungla, per poi liberarlo in cambio di un riscatto. [...] non tutto è chiaro nella fine del bandito. Alcuni giornali locali hanno messo in dubbio le circostanze della morte, avvenuta - secondo la versione ufficiale - mentre Veerappan si trovava a bordo di un’ambulanza condotta da un complice. Gli agenti di una squadra speciale che lo seguiva nei suoi spostamenti da settimane, hanno provato a fermarla lanciando una granata. ”I banditi hanno risposto al fuoco - ha raccontato il capo della squadra K. Vijaykumar - riuscendo a difendersi per venti minuti prima di essere sopraffatti dal tiro dei poliziotti”. Alcuni giornalisti indiani hanno però avanzato l’ipotesi che Veerappan fosse ancora vivo al termine della sparatoria, circostanza non commentata dall’ufficiale di polizia. Comunque sia andata, la fine di Veerappan esce delle cronache per entrare nel mito celebrato da decine di film girati ogni anno a Bollywood. Sono molti i copioni ispirati alle sue gesta. [...]» (Paolo Salom, ”Corriere della Sera” 20/10/2004).