Varie, 20 ottobre 2004
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Rijkaard Frank
• Amsterdam (Olanda) 30 settembre 1962. Allenatore. Ex calciatore. Con il Milan vinse la Coppa Campioni 1988/1989 e 1989/1990 (suo il gol decisivo nella finale vinta 1-0 col Benfica), due Coppe Intercontinentali (1989, 1990), due scudetti (1991/1992, 1992/1993), con l’Ajax la Champions League 1994/1995. Allenatore, col Barcellona ha vinto la Champions League 2005/2006. Prima aveva guidato la nazionale olandese fino agli europei 2000 (eliminato ai rigori in semifinale dall’Italia). Terzo nella classifica del Pallone d’Oro 1988 e 1989, nono nel 1990, decimo nel 1992, dodicesimo nel 1995 • «Franklin Edmundo Benjamin Rijkaard arriva al Milan nel 1988, dopo lo scudetto di Sacchi. Non gradito, pare, dal presidente Berlusconi. Il Dottore tifa per l’indio Daniel Borghi, talento vero con la testa sbagliata. Sacchi resiste resiste resiste e, forte del tricolore sul petto, fa pedinare il centrocampista olandese. Chiede informazioni a Van Basten e Gullit: ”Ma è buono? Possiamo fidarci?”. La risposta: ”Buono? formidabile, instancabile e non ha grandi difetti. Soltanto qualche vuoto. Sa, mister, scarseggia un po’ con la memoria”. Sacchi s’irrigidisce. ”Ahi, ahi, nel calcio la memoria è indispensabile”. E ripete lo slogan romagnolo ai due olandesoni: «Non dimenticatelo occ, memoria e bus de cul”. Non ha molta memoria, Frank, ma l’occhio è buono, in campo. Poi, soprattutto, ”è collegato” con il cervello. Un giorno dice: ”Io non gioco con il cuore perché mi fa perdere colpi: preferisco ragionare con la mia piccola testa”. Il suo è un ragionamento chiaro, fa correre la palla e muovere il Milan che dà spettacolo e conquista il mondo. Vince la coppa dei Campioni 1990 al Prater di Vienna contro il Benfica di Eriksson. Tocco di Van Basten, progressione e gol con dedica: ”Al mio amico Ariedo Braida, senza di lui io non sarei diventato Rijkaard”. Rijkaard lascia il Milan nel 1993 e i tifosi gli regalano uno striscione: ”Frank, meglio perdere 100 coppe dei Campioni che uno come te”. Lavora sotto Capello, vince uno scudetto. Negli spogliatoi i compagni lo abbracciano e saltano: ”Resta con noi, Frank, resta con noi”. Francolino si commuove, piange, ma se ne va. Il Milan gli offre tre miliardi e mezzo (lire) d’ingaggio per giocare un altro anno. ”No, vado via prima che cominci la parabola discendente. Io non ho fatto nulla o poco, se volete, per essere ricordato. Ma vorrei che un giorno qualcuno dicesse: ”Però, quel Rijkaard con il Milan ha vinto’. Vorrei che i miei compagni dicessero: ”Giocare con Frank è stato un piacere’”. Vince molto e forse non ricorda tutto quello che ha vinto. La memoria non è la sua migliore amica. ”Si dimentica” anche in campo. Un giorno, primavera del ”91, Arrigo Sacchi a Milanello parla di pressing, schemi colorati e diagonali ibride. Dura lezione tattica con i giocatori in piedi, che ascoltano. Sacchi parla e parla e Franklin chiude gli occhi. Van Basten lo fissa preoccupato: si sta addormentando... Sacchi si gira di colpo e lo vede barcollare. ”Frank, hai capito Frank?”. Marco gli dà un pizzicotto e lo sveglia. ”Ehi, ce l’ha con te...”. ”Sì sì”, dice Frank che fa un scatto e molla un calcio al primo pallone che incontra. ”A volte non ti capisco”, dice Sacchi. Frank Rijkaard si gratta in testa come Stanlio: ”Ehm...”. Non ricorda le cose più semplici. Una sera in aereo in viaggio con l’Olanda verso Instanbul si avvicina a Marco Van Basten. ”Scusa Marco, puoi darmi il numero?”. Marco scuote la testa: ”Ancora... Dài scrivi...”. E gli fornisce un numero telefonico di Milano. Frank, sigaretta in bocca, prende nota, poi saluta e torna al suo posto. Marco lo segue con l’occhio e ride. ”Sai che numero era? Quello di casa sua. Dimmi se si può...”. Strambo, strampalato, stravagante. E anche un po’ balengo, Frank è però un giocatore strepitoso, straordinario, unico. Un pomeriggio a San Siro, una partita di normale importanza, si scontra con un avversario. Botta secca, alla testa. Frank cade. Poi si mette in ginocchio e lentamente si rialza. Il Milan è fermo sul risultato di parità, zero a zero. Il medico, il grande Giovan Battista Monti, gli chiede: ”Come ti senti?”. E Frank: ”Ciao, dottore”. ”Va bene, ciao. Ma come ti senti?”. ”Bene e tu?”. ”Ho capito. Frank, quanto stiamo vincendo?”. E Riccardino: ”Due a zero, dottore”. E Monti: ”Via, fuori, cambio”. Rijkaard esce dondolando e saluta tutti. Se ne va con la sua vocina da cartone animato, dopo cinque meravigliosi anni rossoneri. Dice Franco Baresi: ”Uno dei più intelligenti giocatori del mondo”. Alza la mano: ”Ciao, ragazzi è stato un piacere”. Torna a casa, Amsterdam, Ajax, va all’allenamento in bicicletta. Lascia dopo un’altra coppa dei Campioni, ancora a Vienna. Stavolta con l’Ajax. Poi si ritira. E adesso cosa farai? Si gratta in testa e dice: ”Non lo so”. Farai l’allenatore? ”Non lo so”. Johan Crujiff spiega: ”Frank, non è un leader, non sa comandare”. così Frank? ”Non lo so. Però qualche consiglio posso darlo...”. Si sistema per un breve periodo a Montecarlo, si mette nella moda e lancia una linea di mutande e canottiere. Si annoia. Van Basten e Gullit lo chiamano: ”Prendi il patentino di allenatore, Frank”. Poi lo chiama anche la nazionale e lui non fa male. Gioca bene, è sfortunato, perde e si dimette. Lo chiama Sacchi al Parma. Dice no: ”Non salgo in corsa”. Lo chiama, lo fa chiamare, o lo spinge – non si è capito bene – Cruijff al Barcellona» (Germano Bovolenta, ”La Gazzetta dello Sport” 20/10/2004).