Varie, 18 ottobre 2004
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ZHAO ZIYANG Honan (Cina) 17 ottobre 1919, Pechino (Cina) 17 gennaio 2005. Politico • «Se c’è un ideale di comunista romantico questo non poteva essere che lui [
ZHAO ZIYANG Honan (Cina) 17 ottobre 1919, Pechino (Cina) 17 gennaio 2005. Politico • «Se c’è un ideale di comunista romantico questo non poteva essere che lui [...] Era stato segretario generale del partito comunista cinese ed era stato deposto per il suo sostegno ai fatti di Tienanmen. Dopo la caduta ha trascorso 15 anni agli arresti domiciliari, circondato da uno strettissimo cordone di sicurezza, ma comunque ostinato a non volere un compromesso con il partito. Su Tienanmen, diceva, lui aveva ragione, gli altri, quelli che subito e poi via via sempre più numerosi erano andati con il flusso della Storia e avevano chiuso gli occhi sulla repressione, avevano torto. Notizie su di lui uscivano di rado. Dapprima si era detto che andava a giocare a golf, aveva rifiutato da anni di tingersi i capelli di nero, come vuole la moda dei politici di qui, e sul prato verde delle 18 buche spiccava la sua chioma canuta. Poi si è saputo che era stato male, che qualche politico in voga lo era andato a trovare. Così i dissidenti cinesi in esilio, i militanti della rivoluzione democratica pativano e soffrivano per lui, ex capo del partito che li aveva repressi. In realtà però la sua icona, di simbolo della fallita rivoluzione democratica cinese di Tienanmen si era andata sbiadendo per il successo delle riforme dei suoi successori ed anche per gli insuccessi delle riforme democratiche russe. Cadeva infatti pezzo dopo pezzo, con gli anni, il teorema che le riforme politiche verso la democrazia dovevano procedere insieme se non prima di quelle strutturali economiche. Tale teorema era stato il modello russo che aveva portato la democrazia a Mosca. Ma le riforme russe non stavano dando i risultati sperati. L’economia russa non brillava e poi negli ultimi anni anche la politica di Mosca aveva smesso di essere liberale e ha cominciato un processo di involuzione. Al contrario nello stesso periodo, la Cina manteneva un tasso di sviluppo economico intorno al 10 per cento l’anno e, pur controllando fermamente la vita politica, allargava gradualmente le libertà sociali, la libertà di stampa e le libertà individuali. In qualche modo, sia in Occidente che in Cina, si faceva largo l’idea che era stata una fortuna che Tienanmen fosse fallita. Nei primi anni ”90 Deng Xiaoping, allora capo del Paese e decisore ultimo dell’intervento armato contro gli studenti, tentò più volte una riconciliazione con Zhao. Gli offrì un ministero o un altro posto prestigioso. Un sodale di Zhao, Hu Qili, aveva accettato, rientrando al potere come ministro dell’elettronica. Zhao invece aveva rifiutato, scommettendo in un rovesciamento della Storia, pensando che la morte di Deng avrebbe aperto nuove prospettive politiche. Però quando Deng effetivamente spirò, nella primavera 1997, era passato troppo tempo dal 1989. L’allora capo del partito Jiang Zemin si era consolidato al potere con una strategia astuta: aveva chiamato intorno a sé tutti i principali collaboratori di Zhao, a cominciare da Wen Jiabao, che nell’autunno del 1997 diventava vice premier. I nuovi dirigenti di Jiang non avevano a quel punto interesse a fare ritornare dal confino interno il loro vecchio capo Zhao. Questi avrebbe sconvolto equilibri consolidati, avrebbe potuto negare e stravolgere i risultati politici ed economici di quegli anni. Nella primavera del 1997 ci fu allora un bagliore. Filtrò la notizia che Zhao era andato a visitare la salma di Deng, uno scritto di Zhao apparve su un giornale di Hong Kong. Ma dopo qualche giorno tornò il silenzio, Zhao fu seppellito vivo una seconda volta, e questa volta, vista l’età, definitivamente. [...] Nato nel 1919 era già un piccolo soldato comunista negli anni ”30 e venti anni dopo sosteneva lo spirito rivoluzionario del Grande balzo, per poi diventare critico degli eccessi della rivoluzione culturale. Raggiunse Mao a Yanan subito dopo la Lunga Marcia, voltando le spalle a suo padre, proprietario terriero nella provincia dello Henan. Alla fine degli anni ”50 sostenne il fallimentare Grande Balzo in avanti voluto da Mao, accusando i contadini di boicottare lo sforzo rivoluzionario. Nel 1978 andò poi con Deng e contro la banda dei quattro perché quella era la novità. Gli piaceva il nuovo, il cambiamento. Da primo ministro, negli anni ”80 promosse le riforme economiche studiando i monetaristi di Reagan e il liberismo della Thatcher. Non opportunismo politico, ma un tentativo di ”comunismo romantico”. In fondo, non si può dire ufficialmente, ma la Cina di oggi è in gran parte figlia sua» (Francesco Sisci, ”La Stampa” 18/1/2005). «L’uomo stempiato in lacrime con gli occhialoni da miope che gli scendono un po’ sul naso e il megafono impugnato nella mano destra. E attorno gli studenti del movimento e della rivolta democratica che lo ascoltano con le facce stordite. Nella storia di ogni Paese ci sono immagini che diventano documenti perché fermano per un istante un dramma che è lì, dietro l’angolo. Nella storia della Cina il volto di Zhao Ziyang stampato in bianco e nero con il dolore negli occhi che nasconde quanto solo lui sa e cioè che il leader della modernizzazione Deng Xiaoping sta per applicare la legge marziale e sta per ordinare all’esercito di sparare sui giovani della pacifica protesta di piazza Tienanmen, quel volto è una pagina che la censura dell’apparato comunista non è mai riuscita a cancellare. Ed è rimasta [...] dall’aprile del 1989, e per sempre rimarrà a testimoniare i tormenti, le spaccature, la vergogna di un vecchio regime autoritario che non voleva ascoltare le ragioni di chi rivendicava libertà e democrazia e scambiava queste ragioni per un attentato al potere assoluto del partito e dello Stato. Zhao Ziyang [...] costretto fino all’ultimo al silenzio e all’emarginazione degli arresti domiciliari sia pure in una bella casa di Pechino, all’epoca dei fatti di Tienanmen era già un corpo quasi estraneo a quel regime. Capiva che il suo spazio si era ridotto al minimo schiacciato dalla prepotenza dei conservatori. Ma tentò invano di convincere quei ragazzi a desistere dall’occupare la piazza; ché se non lo avessero seguito le speranze di innovare il sistema si sarebbero azzerate e si sarebbe scatenata l’ira della restaurazione. Zhao era stato nominato a capo del Consiglio di Stato, il governo, nel 1980 ma costretto a dimettersi nel 1987 in quanto le sue fughe in avanti sul riformismo economico e politico avevano irritato e sconvolto sia l’ortodossia comunista sia le cautele e le prudenze dei modernizzatori. Aveva mantenuto la carica di segretario del partito comunista eppure non rappresentava ormai che se stesso o poco più. Il premier che gli era succeduto, Li Peng, e il capo della commissione per la pianificazione di Stato, Yao Yilin, erano riusciti a portare dalla loro parte Deng Xiaoping che a sua volta aveva il controllo delle forze armate e della sicurezza. Zhao doveva essere neutralizzato e l’entusiasmo con il quale stava seguendo il passaggio dalla economia collettivista alla economia di mercato andava fortemente ridimensionato. La sorte di quell’uomo, segretario del partito comunista, che piange davanti agli studenti e li implora era in verità segnata. Nessuno può dire se una diversa decisione del movimento, se il movimento si fosse ritirato davanti alla minaccia della forza, avrebbe cambiato il corso degli eventi. Nell’aprile del 1989 la parola fine fu pronunciata dai carri armati che schiacciarono la protesta dei giovani e piegarono le illusioni di chi oltre al riformismo economico aveva ipotizzato una timida liberalizzazione nel campo politico. Da lì a poco, dopo il sangue di Tienanmen, Zhao Ziyang sarebbe sparito. Inghiottito dal silenzio. Umiliato dagli arresti e dalla espulsione dal partito. E pensare che al partito aveva dedicato la sua vita. Ne aveva ricevuto gloria, fatiche e dolori. Figlio di una famiglia della provincia dello Henan si era unito alla gioventù comunista fin dal 1932 ma il primo incarico importante, segretario del Guangdong, gli fu attribuito nel 1960. Non era il funzionario zelante e indottrinato. Piuttosto un marxista attento ai turbamenti sociali, un precursore della modernizzazione e un dirigente equilibrato, per questo apprezzato, che cominciava allora a intuire la necessità di svoltare rispetto al modello sovietico della pianificazione e del totalitarismo. Non è certamente un caso che gli orrori e le purghe del fanatismo propri della rivoluzione culturale caddero anche sulla sua persona. Zhao Ziyang fu preso dalle guardie rosse, costretto a sfilare per Guangzhou con un cappuccio sulla testa, poi accusato di revisionismo e spedito nella Mongolia Interna. Da dove qualche tempo più tardi, nel 1973, Zhou Enlai lo riabilitò. Riprese il suo posto e morto Mao, nel 1977 Deng Xiaoping lo chiamò nel comitato centrale e successivamente nel politburo, il vertice del partito. Fu un riformista ante litteram ma accelerò troppo e pagò. La Cina ufficiale ha tentato invano di cancellare Zhao Ziyang dalla sua storia. [...] Lo ha abbandonato nella speranza che il ricordo affievolisse e sparisse. Ma quella foto nessuno è riuscito a cancellarla. un documento che continua a parlare. Zhao Ziyang era in piazza Tienanmen con le lacrime che gli scendevano e il megafono in mano. ”Vi supplico...”. Al suo fianco, a sinistra, un uomo, che ancora pochi conoscevano. Era Wen Jiabao che sarebbe diventato, tredici anni dopo il massacro in piazza, il premier della Cina del libero mercato. [...]» (Fabio Cavalera, ”Corriere della Sera” 17/1/2005). «Fino al 1989 segretario generale del Partito comunista cinese [...] personalità che ha troppo a che fare con un nodo politico ancora non risolto come i fatti di sangue di Piazza Tiananmen. Zhao che allora era alla testa dell’onnipotente Partito, il giorno 19 di maggio del 1989, a Tiananmen, quando gli studenti manifestavano già da giorni per la democrazia, fece la cosa giusta nel posto sbagliato e nel momento sbagliato. Era quasi mezzanotte e lui andò in piazza, parlò ai ragazzi, con il volto rigato dalle lacrime tentò di dissuaderli dal portare avanti in quel modo estremo la loro protesta. Sapeva che Deng Xiaoping e Lin Biao stavano preparandosi a dichiarare la legge marziale e a far intervenire l’esercito. Uno dei suoi assistenti, il professor Wu Guoguang, sostiene che, per lui, difendere gli studenti era come difendere il suo sogno di una Cina migliore perché era convinto che progresso economico e democratizzazione fossero strettamente legati. Fu infatti il primo leader cinese di massimo rango a perorare elezioni democratiche con un’ampia rosa di candidati, prima a livello di amministratori dei villaggi e poi, gradualmente, fino a interessare ogni carica pubblica a qualsiasi livello. Questo nel 1986, quando in Cina le riforme economiche stavano dando i primi frutti ma nessuno osava accennare a riforme politiche. [...] Il gesto che Zhao Ziyang compì quella notte - e fu l’ultima volta che lo si vide in pubblico - è stato paragonato a quello del ragazzo che da solo tentò di deviare l’avanzata di una colonna di carri armati lungo la Via della Lunga Pace. Zhao venne deposto immediatamente e sostituito da Jiang Zemin; fu sottoposto a un’inchiesta disciplinare conclusasi nel 1992 [...]» (Renata Pisu, ”la Repubblica” 18/10/2004). «[...] leader del partito comunista silurato nel giugno 1989 per aver simpatizzato con gli studenti di piazza Tienanmen. [...] murato vivo in casa sua, inesistente per il partito comunista di cui era stato il massimo leader. [...] Era il 19 maggio 1989, e il segretario del partito fece un gesto fatale. Andò a mescolarsi agli studenti che occupavano Tienanmen per discutere con loro. Era accompagnato dal suo braccio destro Wen Jiabao, che oggi è primo ministro e farebbe volentieri scomparire ogni traccia di quell´episodio. L’immagine di Zhao in lacrime - ripreso dalle telecamere mentre si disperava di non riuscire a convincere gli studenti a tornarsene al campus - fu il segnale esterno della tragedia che si stava consumando ai vertici del partito. In quelle ore il destino del segretario del partito era segnato. Accusato di essere troppo molle di fronte alla destabilizzazione del paese, stava per essere rovesciato da un vero e proprio golpe. Deng controllava l’esercito e già preparava i movimenti di truppe e di colonne blindate, l’accerchiamento della capitale, la repressione sanguinosa. Al vertice del partito Deng doveva promuovere Jiang Zemin e la caduta di Zhao sarebbe stata totale: espulso dal partito e arrestato. [...]» (Federico Rampini, ”la Repubblica” 14/1/2005).