Varie, 18 ottobre 2004
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Dexter Pete
• Michigan (Stati Uniti) 1943. Scrittore. «Ha deciso di vivere in un’isola al largo di Seattle molto tempo prima di diventare uno scrittore di culto, e la celebrità conquistata con Paris Trout, e accresciuta dal successo di Deadwood e Paperboy, lo hanno spinto a cercare un ulteriore isolamento in lunghe traversate in barca verso isole al largo della costa canadese, caratterizzate da foreste di conifere che scendono fin nell´oceano popolato di orche e balene. Ma la lettura dei suoi romanzi [...] sembra negare un rapporto così armonico con la bellezza della natura, e il tono delle sue storie, aspre e malinconiche, suggerisce l’anelito di una catarsi che porti finalmente armonia nel violento caos dell’universo. [...] ”Molti critici si chiedono come mai nelle mie storie ci sia tanta violenza [...] ma io rispondo che è quello che il mondo ci offre ogni giorno. La serenità e la pace rappresentano sempre una eccezione”. Quando Paris Trout vinse il National Book Award, alcuni critici elogiarono il coraggio di premiare un libro segnato da un’atmosfera violenta e angosciata. ”La mia esistenza è stata caratterizzata dalla violenza sin da quando ero bambino. Non credo si tratti di un tema dei miei libri, ma di qualcosa che succede, ineluttabilmente, ai miei personaggi. Probabilmente questa sincerità convince la critica generalmente distante dal noir, e nello stesso tempo è segno di un mio atteggiamento intimo nei confronti di quel tipo di letteratura [...] riconosco con fastidio la violenza quando è prefabbricata, e gli effetti quando sono fini a se stessi [...] ma voglio chiarire che James Ellroy non è tra costoro: è un grande scrittore che ha vissuto anche lui in prima persona il trauma della violenza [...] non ho mai letto alcun libro di Spillane [...] il riferimento a Chandler mi sembra valido soprattutto per quanto riguarda l’uso dello humour. Ma nel suo caso è filtrato dallo sguardo disincantato di Marlowe, mentre nei miei libri è alquanto oggettivo. Forse rimarrà sorpreso, ma tra i riferimenti costanti del mio lavoro ci sono Robert Frost, ed in particolare Flannery O’Connor, che ho anche avuto modo di conoscere da bambino. Ogni volta che leggo i suoi libri rimango conquistato dal suo approccio etico e spirituale [...] Per me i romanzi nascono da qualcosa di estremamente intimo, difficile da catturare, e ritengo che la qualità della scrittura nasca proprio dalla riuscita di questo tentativo. Ho il massimo rispetto per il cinema, e con Muholland Falls e Rush ho cercato di creare qualcosa di pregevole, ma non nego che per me ha rappresentato una esperienza più superficiale, e che ha avuto un appagamento anche commerciale [...]» (Antonio Monda, ”la Repubblica” 17/10/2004).