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 2004  ottobre 18 Lunedì calendario

Auel JeanMarie

• Nata a Chicago (Stati Uniti) il 18 febbraio 1936. Scrittrice. «Vendere 34 milioni di copie di una saga d’amore e avventura ambientata nel Pleistocene è già, ammettiamolo, un gran bel risultato. Se poi aggiungete che l’autrice è una pingue [...] cresciuta e vissuta sempre a Portland, Oregon, moglie, madre e nonna felice di cinque figli e 12 nipotini, e se ascoltate la storia della sua vita capirete forse meglio il successo mondiale de La saga dei figli della Terra proposta in Italia da Tea [...] il nome da ragazza era Untinen perché la famiglia viene dalla Finlandia, conversatrice e narratrice nata, parlando e ridendo affabula, incanta e fa sprofondare, piacevolmente, nella notte della razza umana. Non a caso menziona inorridita computer e telefono cellulare: ”Non li so usare bene. E non mi importa, per anni ho dattiloscritto molto velocemente”. Se le si chiede come sia iniziata la sua carriera la prende (deve farlo perché il fascino della sua narrativa risiede anche in quello), alla lontana. ”Mi sono sposata a 18 anni, a 25 anni avevo già cinque figli, a 28 ho deciso di iscrivermi all’università occupandomi, però, sempre della famiglia e badando a che mio marito si laureasse. Scrivevo manuali tecnici su telescopi e antenne satellitari che venivano commercializzati dalla ditta per la quale lavoravo. La fisica, la matematica, le scienze mi hanno sempre appassionato, se leggo un libro sull’argomento mi resta ben impresso. Mi sono ritrovata a 40 anni con una laurea, tre figli all’Università, uno in procinto di andarci e uno a casa con me e mio marito. Così, per passare il tempo, una sera d’inverno, era gennaio, ho iniziato a scrivere. Di getto”. Cosa? ”Un racconto lunghissimo. Mentre scrivevo pensavo già che sarebbe potuto diventare più d’un libro. Mio marito lo lesse, gli piacque, mi disse che c’era materiale per cinque, sei libri e, pensandoci adesso, aveva proprio ragione. [...] Fu lui a spingermi a contattare un’agente letterario [...] In un primo momento non cercai proprio nessuno. Andai alla biblioteca pubblica, mi feci prestare libri che spiegassero come piazzare un manoscritto, seguii accuratamente le istruzioni ma non successe nulla. Così mi decisi: quando a Portland organizzarono l’annuale fiera letteraria mi feci coraggio e mi presentai col mio manoscritto a diversi agenti letterari. Dopo mesi ricevetti una telefonata da quella che poi sarebbe stata la mia di agente, mi disse che il marito aveva trovato il mio manoscritto in una scatola da scarpe, lo aveva preso ed era scomparso. Per tre giorni. Dopodiché era riapparso e l’aveva invitata a contattarmi. Assolutamente. Mi disse di farne più copie e mandarle in giro alle case editrici e alla fine ci fu un’asta tra due delle più importanti case editrici e nel ’78 firmai il primo contratto. Per 130 mila dollari, un record per allora”. Perché ha scelto di ambientare le sue storie nel Pleistocene? ”Ho sempre letto molto, quel periodo mi aveva affascinato sin da ragazzina. I primi due libri - Ayla la figlia della terra e La valle dei cavalli , n.d.r. - li ho scritti consultando... no, saccheggiando è meglio, la biblioteca pubblica. Per i successivi - Gli eletti di Mutt , Le pianure di passaggio e Focolari di pietra , n.d.r . - ho avuto la possibilità di viaggiare molto, documentarmi sui luoghi dove molti degli episodi che racconto potrebbero essere realmente accaduti. Ho seguito corsi di sopravvivenza per cercare di capire, in parte, come potessero vivere in quelle proibitive condizioni. In Alaska ho persino imparato a creare e tenere vivo un fuoco nella neve”. Ayla e Giondalar, i protagonisti, come sono nati? ”Attraverso loro volevo dimostrare che l’uomo preistorico non è affatto il selvaggio che abbiamo sempre erroneamente pensato. Il nome di Ayla mi venne sentendo ripetitivamente il ritornello di un gospel; Giondalar, invece, l’ho pensato nel Sud della Francia, a Cro-Magnon, davanti a quattro scheletri di una donna, un vecchio e due uomini, uno alto proprio come avevo immaginato il mio personaggio maschile fino ad allora”. Da un piccolo racconto è nata una saga che va avanti [...] con crescente successo in tutto il mondo. [...] ”Già scrivendo, quella sera, sentivo che io stessa volevo saperne di più di Ayla, Giondalar, del loro mondo. Da allora ho conosciuto molti archeologi e paleontologi, insieme a loro ho visitato grotte e insediamenti preistorici in tutto il mondo. Davanti ai cavalli dipinti sulle pareti della grotta di Lascaux, in Francia, o ai bisonti di Altamira, in Spagna, capisci subito che i nostri progenitori tutto erano meno che dei selvaggi, la violenza serviva loro solo giorno dopo giorno. Per tentare di continuare a vivere. Attraverso Ayla e Giondalar, le loro imprese, cerco di trasmettere un messaggio di pace, dire che, forse, il mondo allora non era poi così terribile come ce lo hanno sempre dipinto [...] Mi affascina anche molto il periodo in cui l’uomo scoprì l’agricoltura. E sono anche tentata dagli etruschi così come dalla sorte di Ercolano. Si è scritto tanto su Pompei e molto poco su Ercolano”. Un po’, insomma, alla Mika Waltari, lo scrittore autore, tra l’altro, di Sinuhe l’egiziano e Turms l’etrusco . E a un giallo storico, genere attualmente di gran successo , ha mai pensato? Oppure a una storia sui Nativi americani? ”Waltari da ragazzina l’ho divorato, era anche finlandese. Gialli storici? No. Credo siano nati e abbiano successo perché non ci possono più essere spy stories credibili . Nativi americani? Ci sono già i bellissimi romanzi di Linda Lay Shuler [...] Sfortunatamente dissi sì alla trasposizione cinematografica del primo libro - il film, diretto da Michael Chapman, uscì nel 1986, Ayla la interpretava Daryl Hannah e fu un disastro, n.d.r. - ma lo stravolsero. Completamente. A Hollywood non accettano l’idea che una donna possa essere l’eroe di una storia. Non è semplice raccontare attraverso immagini quel periodo, L’età del fuoco - del francese Jean-Jacques Annaud, n.d.r. - non mi è piaciuto, offriva un’immagine troppo stereotipata di quegli esseri umani del periodo Neandertal [...]» (Paolo Zaccagnini, ”Il Messaggero” 17/10/2004).