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 2004  ottobre 16 Sabato calendario

Cary Diana

• Serra (Margaret Montgomery) Merced (Stati Uniti) 26 ottobre 1918. Attrice • «Suo padre Jack Montgomery era un cowboy e uno stuntman. All’età di tre anni Peggy era stata messa sotto contratto dalla Century film corporation, ma in realtà in quel periodo lavorò anche per altre produzioni per esempio in Penrod di Marshall Neilan e in Fools First, entrambi del 1922, o in alcuni film della Universal come The darling of New York (1923). Con l’arrivo del sonoro Baby Peggy ricoprì ancora qualche ruolo per poi ritirarsi dalle scene nel 1938. In anni più recenti, con il nome di Diana Serra Cary ha scritto diversi libri autobiografici tra cui Hollywood Posse, Hollywood’s children. La sua biografia Whatever Happened to Baby Peggy? è stata pubblicata nel 1996» (’il manifesto” 15/10/2004). «A soli tre anni aveva già partecipato a 150 film, le slapstick comedies a due rulli, a sette smise di fare il muto, riprese a recitare nel sonoro e nel 1938 si ritirò dal cinema. A sei anni, nel 1924, fece un’altra apparizione importante: la mascotte della convention democratica in cui Franklin Roosevelt, reduce dalla poliomelite, ricomparse per la prima volta in pubblico, seduto in sedia a rotelle, per presentare l’allora candidato governatore di New York Alfred Smith. ”Lo incontrai anche quando era diventato presidente, un ottimo politico, peccato che sia morto troppo presto” [...] Captain January fu l’ultimo film che Baby Peggy interpretò da baby star, perché per qualche motivo a lei rimasto ignoto suo padre ruppe il contratto che il produttore Sol Lesser aveva stipulato per la figlia: due milioni di dollari per tre film. ”Ciò voleva dire contrasti, avvocati, insomma uccise la mia carriera e persi anche tutti i soldi. Essendo l’unica a portare il pane a casa, dovetti recitare nei vaudeville per molto meno, poi tornai a Hollywood, dove nel frattempo era arrivato il sonoro e io avevo recitato solo nel muto. Avevo 14 anni, dovevo simulare di averne 18 e reimparare completamente il mestiere. Il cambiamento era imponente. Se prima il lavoro sul set era ripetitivo, noioso, anzi a volte mi addormentavo, sentivo però che c’era un’atmosfera di collaborazione e fui trattata da professionista. Nel sonoro era tutto frenetico, la cinepresa enorme e tutti nervosi. Inoltre dovevo fingere di essere ricca, non doveva trapelare che portavo i soldi alla mia famiglia”. Baby Peggy che ora si chiama Peggy Montgomery resistette sei anni, dal 1932 al `38, poi scappò - come dice lei - si sposò e cominciò i suoi studi, ma suo padre non la prese mai sul serio. Dopo nove anni divorziò e allora ebbe inizio la sua seconda carriera e una nuova vita: scrivere. [...] ”La vita da piccola star non era facile, sia per me, che non sapevo cosa significasse giocare, sia per i parenti, genitori e fratelli”, che essendo letteralmente travolti dalle onde di popolarità della figlia o della sorella/del fratello non trovano spazio per se stessi. ”Per me, al contrario, non c’era la vita reale - aggiunge - Lavorare era normale, una cosa che amavo, non lavorare era terribile. Certo, io lo vedevo dal punto di vista della bambina che ero, un punto di vista capovolto nel senso perché ero investita di una responsabilità quasi adulta, ero io la grande che doveva guadagnare e loro i miei bimbi”. D’altronde suo padre venne chiamato ”Mister Baby Peggy”, per lui una enorme umiliazione e lei benché piccola lo sapeva. Lui guadagnò molto meno facendo la controfigura di Tom Mix negli anni venti. Anche il papà di Shirley Temple venne chiamato ”Mister Shirley Temple”, spese tutti i soldi della figlia, salvo che lei lo scoprì davvero tardi, già sposata, quando suo marito chiese al padre la situazione economica della moglie per questioni di tasse e questi dovette affermare che non c’era nulla. ”Il mio secondo libro Hollywood’s Children parla di questo, per spiegare i problemi vissuti dalle famiglie e nelle famiglie. Le questioni economiche, il fatto che i genitori spendevano tutti i soldi e non li mettevano da parte per i bimbi che li avevano in fondo guadagnati. Un esempio chiave era Jackie Coogan, famoso per essere stato Il monello di Charlie Chaplin, lui perse tutto il suo patrimonio”. [...] Diana poi ebbe un altro problema: la sua identità era oscurata dall’immagine di Baby Peggy che le fluttuava accanto come un’ombra, finché non decise di affrontarla e lo fece scrivendo Whatever happened to Baby Peggy?, autobiografia stimolata dalla riflessione sulla propria infanzia quando, per sua stessa sorpresa (i medici la davano sterile), a 40 anni rimase incinta dal secondo marito, l’artista Bob Cary, e nacque Mark, suo figlio. Fino allora aveva rinnegato ciò che aveva fatto prima, vedeva quei film come una specie di gioco, troppo veloci nel ritmo, ridicoli nella recitazione. ”Mi vergognavo di quel periodo, non so perché lo biasimavo ma fu una ricerca affascinante nella mia storia personale e in quella di Hollywood, che a sua volta rinnegava il cinema muto. Quanti film sono andati perduti? Uno dei miei prodotti dalla Universal è bruciato, un altro scomparso. Ci sono voluti molti anni per far rivivere quelle immagini, e allora un simile riconoscimento sarebbe stato impensabile”. La sua carriera era iniziata per caso, un giorno che sua madre, a Los Angeles con le due figlie, il padre cavallerizzo già stuntman, andò a visitare i Century studios sul Sunset Boulevard con una vicina che doveva ritirare una busta paga per un lavoro fatto. Sua madre non aveva mai visto girare un film e volle andare a curiosare. Lasciò Peggy (allora 19 mesi) seduta su uno sgabello. Il regista, in cerca di una bimba, nel vederla si avvicinò e sorpreso della sua tranquillità chiese delucidazioni alla madre e lei rispose che la bimba era abituata a fare ciò che le veniva detto. Fatto! Peggy era assunta per recitare con Brownie, il cane più famoso di allora. ”Mio padre guadagnò 7 dollari e 50 cent alla settimana come stunt, il regista propose 5 dollari per me, alla fine ebbi 2 dollari 50 cent per quel primo ruolo. Lavorai cinque anni con Fred Fishback che mi portò a un salario settimanale di 75 dollari quando lui ne prendeva 150. Più di tutti guadagnò il cane che però morì dopo pochi mesi. In fondo era molto più vecchio di me... Dato che ebbi successo con lui, mi offrirono di continuare la serie scritturando un altro cane. Andò bene e divenni popolare quanto Brownie prima” [...]» (Elfi Reiter, ”il manifesto” 15/10/2004).