Varie, 10 ottobre 2004
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Maathai Wangari
• Muta Nyeri (Kenya) 1 aprile 1940, Nairobi (Kenya) 26 settembre 2011. Biologa. Premio Nobel per la pace 2004 • «La prima donna africana a vincere il premio Nobel per la pace [...] “Durante una conferenza organizzata dall’Onu per parlare dei problemi delle donne nel 1975, le donne del Kenya si lamentavano dell’urgente necessità di acqua e legna da ardere. Mi resi conto che i loro problemi erano tutti problemi ambientali e che sarebbero stati eliminati piantando alberi. Ho cominciato dal mio giardino di casa e poi con l’aiuto del National Council of Women of Kenya abbiamo cominciato a dare un piccolo compenso per ogni albero che ogni donna avrebbe piantato [...] Non riesco a separare la lotta per l’ambiente da quella per i diritti delle donne e per quelli di tutti gli uomini. Non vedo i confini [...] Ho cominciato la campagna a favore dei diritti umani a partire dai miei. Quando insegnavo [veterinaria n.d.r.] all’Università di Nairobi guadagnavo meno dei miei colleghi uomini ed ero trattata come insegnante di serie B. È stata la prima volta che ho conosciuto la discriminazione contro le donne. A quel tempo pensavo ancora che il mio solo limite fosse il cielo: invece all’Università volevano impormi un limite molto più basso. Poi a casa con mio marito, che amavo moltissimo, le cose non andavano meglio. Nessuno accettava che una donna potesse essere influente più del marito [un membro del parlamento n.d.r.]. Lui decise di divorziare e io mi opposi al divorzio. Dopo una lunga battaglia pubblica gli fu accordato e fu in quell’occasione che mi resi conto quanto e come i diritti delle donne possono essere violati, e cominciai a lottare” [...]» (Federica Bianchi, “la Repubblica” 9/10/2004) • «Viene da una buona famiglia che le ha garantito ottimi studi, sfruttati col massimo profitto negli Stati Uniti: scuole superiori nel Kansas, università a Pittsburgh, quindi in Germania, a Monaco di Baviera. Dopo c’è una catena di record: prima donna a conseguire un dottorato di ricerca in Kenia, prima donna a diventare professoressa all’università di Nairobi, presidente del Consiglio nazionale delle donne del Kenia. E soprattutto prima donna africana capace di sfidare, nel nome dell’ecologia e della difesa della natura, un intero regime, quello keniota di Arap Moi. La chiamano Mama Mici, la madre degli alberi. Appellativo che in Kenia per anni ha avuto un significato politico. Il suo movimento, il Green Belt, la cintura verde, è stato l’incubo del presidente Moi, uscito di scena nel 2002 dopo 24 anni di potere: “Wangari Maathai? Una pazza, una minaccia all’ordine e alla sicurezza della patria”, i suoi ministri rincaravano la dose (“una donna ignorante, un pupazzo nelle mani di padroni stranieri”). Dal loro punto di vista di affaristi, avevano ragione. È stata Wangari, nel 1989, a bloccare una megaspeculazione nel cuore dell’Uhuru Park, unico residuo polmone verde nel cuore di una cementificatissima Nairobi. Il presidente Arap Moi aveva dato il via alla costruzione di un grattacielo da sessanta piani per uffici, finanziato da un club di multinazionali. Lei riuscì a mobilitare le organizzazioni ecologiste di mezzo mondo, facendo leva sulle leggi contemporanee della comunicazione: chi era coinvolto nell’affare, per esempio negli Stati Uniti, si sentì accusato di voler massacrare una specie di Central Park africano. Non se ne fece nulla, l’Uhuru Park è ancora al suo posto. Due anni dopo finì in prigione per le sue proteste mentre tentava di piantare giovani alberi nella foresta di Karura, sfigurata da una continua deforestazione, aperitivo di una grandiosa speculazione edilizia che costò l’abbattimento di migliaia di ettari di alberi ad alto fusto. Ci volle una campagna di Amnesty International per tirarla fuori dal carcere: con la testa mezza rotta perché la polizia l’aveva pestata a sangue, con altri ecologisti. Nel nome di Wangari Maathai sono stati interrati in tutta l’Africa altri trenta milioni di alberi: i suoi seguaci durante le proteste si armano solo di zappette, concime, germogli. Sono soprattutto donne. Gli alberi da frutto piantati poi diventano uno strumento di autonomia economica, di sviluppo di realtà rurali. [...] nel 1992, durante il vertice ecologista a Rio (alternativo a quello ufficiale dell’Onu sull’Ambiente) diventò un personaggio per gli addetti ai lavori. Il suo continente l’ha laureata nel 1991 col premio Africa per i Leader [...]» (Paolo Conti, “Corriere della Sera” 9/10/2004).