varie, 6 ottobre 2004
MONTANARI
MONTANARI Massimo Imola (Bologna) 23 dicembre 1949. Storico. Fra i suoi lavori più significativi: L’alimentazione contadina nell’alto Medioevo (Liguori, 1979); Alimentazione e cultura nel Medioevo (Laterza, 1988); La fame e l’abbondanza. Storia dell’alimentazione in Europa (Laterza, 1993); Il pentolino magico (Laterza, 1995); Il mondo in cucina. Storia, identità, scambi (Laterza 2002). Con Alberto Capatti ha scritto La cucina italiana. Storia di una cultura (Laterza, 1999). Fa parte del comitato di redazione di numerose riviste e dirige Food & History, pubblicata dall’Institut Européen d’Histoire de l’Alimentation. direttore del Master europeo «Storia e cultura dell’Alimentazione», istituito dall’Università di Bologna. «Medievalista, tra i maggiori storici dell’alimentazione al mondo [...] ”Partivo dal presupposto che la storia dell’alimentazione e la storia della gastronomia fossero due storie distinte: da una parte economia e necessità, dall’altra cultura e piacere. Questo era ed è un luogo comune fortemente radicato, che si respira nella nostra tradizione. Ma dopo trent’anni di riflessioni mi sono convinto del contrario, cioè che non è legittimo, non giusto e nemmeno fondato escludere il campo del piacere e della cultura dal campo della necessità e dall’economia. Sono elementi che sono sempre andati di pari passo. ovvio che il primo bisogno dell’uomo è quello di sopravvivere, ma è vero che gli uomini hanno sempre cercato di farlo nel modo più piacevole possibile. Del resto, non si vede perché avrebbero dovuto fare diversamente [...] Bartolomeo Scappi, che nella seconda metà del ’500 ha scritto uno dei libri che reputo più importanti per la storia gastronomica: L’opera. Era il cuoco della corte papale, forse la cucina più ricca che poteva esserci al tempo, dove arrivava ogni sorta di derrata alimentare, anche tenuto conto che siamo già nel post scoperta dell’America. Egli chiaramente esprime una cucina ricca, è il cuoco del Papa, il cuoco al più alto livello che poteva esprimere quella società. Eppure aveva una conoscenza e un rispetto della cultura popolare straordinaria, che non ci si aspetterebbe. Se uno storico conosce perfettamente la realtà del periodo, cioè i prodotti che circolavano, cosa coltivava il contadino, quali erano i prodotti di lusso, la realtà economica e l’agricoltura del tempo, leggendo le sue ricette a volte gli sembra di trovarsi a casa di un contadino piuttosto che in una corte” [...]» (’La Stampa” 5/10/2004).