maurizio Assalto, La Stampa 1/10/2004, pag. 33., 1 ottobre 2004
La grande dea dell’amore, Venere, a Pompei era effigiata ovunque e in tutte le (più imbarazzanti) posizioni, dalla nascita nella conchiglia agli intrighi adulterini con Marte, alla conseguente vendetta del legittimo sposo Vulcano
La grande dea dell’amore, Venere, a Pompei era effigiata ovunque e in tutte le (più imbarazzanti) posizioni, dalla nascita nella conchiglia agli intrighi adulterini con Marte, alla conseguente vendetta del legittimo sposo Vulcano. E il suo influsso ebolliva riversandosi generosamente su cittadini e forestieri. Ne fanno fede le iscrizioni. «Restituta, levati la tunica, facci vedere pilosum cunnum» incita l’avventore di un’osteria. «Qui ho trafitto di brutto la signora...» proclama trionfante un anonimo gladiatore, dalla parti della Palestra. «Qui Quinzione futuit natiche sculettanti» ribatte un altro, con tanto di firma. E un altro annota: «Ninfa, fututa; Amomo, fututa, Perenne, fututus» (donne e uomini, faceva poca differenza: la bisessualità era normale). Né erano soltanto maschili le vanterie: una certa Euplia fa sapere che «qui si è congiunta con uomini gagliardi a volontà», mentre «Romula, di uomini, mille, diecimila».