23 settembre 2004
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Davies Norman
• Nato a Bolton (Gran Bretagna) l’8 giugno 1939. Storico. «Ogni oggetto, ogni idea, ogni persona, ogni comunità ha la sua storia. C’è la storia delle tazzine, la storia delle gonne, la storia di Cracovia, la storia dei professori, la storia delle università, la storia delle acconciature. Tutto ciò che esiste, esiste nel tempo e ha la sua storia. Tutto evolve, tutto ha i suoi cambiamenti, ci sono le cause e gli effetti. Io considero la storia come l’esistenza delle cose nel tempo, come analisi, descrizione, discussione di questo fenomeno. [...] Sono stato educato in un ambiente dove ”buon scrittore” era il più grande complimento. Ad esempio, Alan Taylor, il mio tutor, lo storico più conosciuto nel mondo anglosassone, sapeva splendidamente scrivere e parlare. stato il primo ”teledon” britannico (qualcosa di simile alle odierne stelle televisive) negli anni Sessanta, quando non esistevano le registrazioni. Era capace di parlare diritto in una telecamera per 45 minuti senza neppure un errore! Mi pare che altrove manchi questo atteggiamento verso la storia: prevale la tradizione, come dire, dell’atteggiamento tedesco verso il sapere. Il professore, lo studioso devono essere seri, pesanti, imponenti [...] Lo storico, nel suo lavoro, incontra sempre due problemi fondamentali. Il primo riguarda la raccolta di informazioni, mentre il secondo è legato al comunicare questo sapere agli altri. Questi due fenomeni dovrebbero coesistere armonicamente [...] Lo storico dovrebbe avere in sé a volte un po’ del novellista, del romanziere e persino un po’ del poeta. [...] Soltanto attraverso la propria immaginazione lo storico può suscitare l’immaginazione del lettore. Questa è una questione importantissima nella storiografia inglese. L’immaginazione dello storico fu il motto dell’opera dell’altro grande storico ottocentesco, Thomas Carlyle. Scrivendo sulla guerra dei polacchi con i bolscevichi, nel 1920, mi sono ispirato alle avventure del mio compianto suocero Marian Zielinski, che allora era un ragazzino di sedici anni. Comunque bisogna avere immaginazione per poter tentare di descrivere cosa provavano le persone, che ebbero la ventura di vivere in simili periodi [...] Un buon insegnamento sul valore delle fonti archivistiche lo ebbi subito dopo la fine dell’università. Stavo scrivendo un saggio sulla politica nei confronti della Polonia di Lloyd George, che fu premier britannico dopo la prima guerra mondiale. Misi le mani sui documenti governativi di Lloyd George - il che non era facile - in una biblioteca londinese. Stetti là alcune settimane, lessi quei documenti e a un certo punto venne da me il bibliotecario, chiedendomi cosa stavo cercando. Quando glielo dissi, mi rispose: ”Devo dirle che Lloyd George quei documenti non li leggeva affatto”. Venne fuori che il nostro premier era in disaccordo con il ministro degli Affari esteri e aveva per queste questioni un proprio esperto e su quelle carte, sulle quali mi ero affannato per mesi, non aveva mai gettato l’occhio. Ciò vuol dire che un documento su quanto stava accadendo in Polonia, inviato al premier dal ministro degli Affari esteri, non aveva nessun significato di fonte storica nella valutazione della politica inglese nei confronti di quel Paese [...] Già dagli anni giovanili mi ha sempre interessato molto la multiculturalità. Quando da bambino, sono stato educato in Inghilterra, vedevo bene che parte della nostra famiglia apparteneva a un’altra cultura. Estremamente importante è sempre stata per me la questione della identità perduta. La visione multiculturale della storia delle isole è completamente estranea agli inglesi, la cui prospettiva è in larga misura egocentrica: loro non sanno niente della storia del Galles, della Scozia e dell’Irlanda. Per loro è importante soltanto, ad esempio, che un certo re inglese abbia sottomesso l’Irlanda nel XIII secolo, ma di conoscere la storia dell’Irlanda non gliene importa niente. E invece la prospettiva dei celti che abitano le isole è completamente diversa. [...] Sono sempre stato un uomo che va controcorrente, volevo scrivere diversamente, guardavo con sospetto alla versione dominante della storia. La storia dell’Europa è sempre stata scritta dal punto di vista degli storici occidentali. Anch’io naturalmente sono un uomo dell’Occidente, ma che sa quali sono state le esperienze delle genti della parte orientale del continente e ha capito quale terribile falso sia attenersi nella storia di tutta l’Europa alla versione occidentale» (’Corriere della Sera” 23/9/2004).