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 2004  settembre 16 Giovedì calendario

SIN Jaime Lachica New Washington (Filippine) 31 agosto 1928, Manila (Filippine) 20 giugno 2005. Cardinale

SIN Jaime Lachica New Washington (Filippine) 31 agosto 1928, Manila (Filippine) 20 giugno 2005. Cardinale. «[...] venne ordinato sacerdote il 3 aprile 1954 nella diocesi di Capiz. Il primo incarico fu quello di ritornare sui monti dove aveva vissuto negli anni della guerra, e di visitare una per una le centinaia di piccole parrocchie che vi erano disseminate, per tenere prediche e per suscitare vocazioni per il nuovo seminario San Pio X. Alla fine di questo faticoso compito che durò tre anni e che non mancò di dare risultati, nel giugno del 1957 fu nominato rettore del seminario San Pio X. Nei dieci anni successivi fu animatore instancabile oltre che del seminario, nel quale pure insegnava, di molte opere di apostolato tenendo pure seguitissime conversazioni da una stazione radio della diocesi. Eletto da Paolo VI il 10 febbraio 1967 alla sede titolare di Obba e consacrato vescovo il 18 marzo dello stesso anno, è stato dapprima ausiliare e poi, dal giugno 1970, coadiutore con diritto di successione e amministratore apostolico sede plena di Jaro. Promosso, il 15 gennaio 1972 arcivescovo titolare di Massa Lubrense, è successo all’arcivescovo di Jaro l’8 ottobre 1972. Il 21 gennaio 1974 Paolo VI lo ha nominato Arcivescovo di Manila. Qui ha proseguito con coraggio la sua opera pastorale nonostante i pericoli e le difficoltà della situazione interna. Da Paolo VI creato e pubblicato cardinale nel Concistoro del 24 maggio 1976, del Titolo di S. Maria ai Monti» (www.vatican.va, Sala Stampa della Santa Sede). « L’hanno chiamata la ”rivoluzione Mariana”, cioè fatta in nome della Vergine; anche People’s Power, perché tutta la gente della grande, misera caotica Manila vi ha preso parte con determinazione e dignità, con il coraggio non della disperazione ma, come continuava ogni due ore a ricordare il Cardinale Jaime Sin che parlava a Radio Veritas, l’emittente della Curia, con il coraggio della fede. Di questa inattesa rivoluzione che portò nel 1986 alla cacciata del dittatore Marcos, l´ispiratore e il portabandiera è stato [...] un cardinale che non aderiva alla teologia della liberazione in quanto pensava che il Vangelo fosse di per sé liberatorio. Bastava metterlo in pratica. In nome del Vangelo fece appello ai filippini esortandoli a difendere i militari che avevano contestato la vittoria di Marcos alle elezioni presidenziali e la risposta popolare fu tale da lasciar sbalordito il mondo intero. Non si era mai vista una simile mobilitazione, guidata da preti e suore che suonavano e cantavano, usavano il filo spinato dei cavalli di frisia per fare delle corone come quella di Cristo in croce. La gente, uomini, donne, ragazzini, la povera gente di Manila, si metteva in testa quelle corone, simbolo di riscossa. Giovani preti brandivano enormi crocefissi come se fossero dei kalashnikov e così armati andavano a fermare i carri armati delle truppe rimaste fedeli al dittatore lungo la Avenida Epifanio de Los Santos: e i militari piangevano e si univano al coro delle suore che li circondavano recitando il rosario. Per le strade e nelle piazze la folla cantava delle Ave Maria che risuonavano forti come la Marsigliese, come l’Internazionale, inni di battaglia, non preghiere. Radio Veritas trasmetteva in continuazione appelli alla calma, ma non alla rassegnazione. E la voce del cardinale Sin tuonava ”il popolo ha parlato, la volontà del popolo deve essere rispettata”. Era il febbraio del 1986, Ferdinando Marcos, dittatore delle Filippine da venti anni, era stato dichiarato vincitore delle elezioni presidenziali, ma nessuno aveva dubbi che, se non fosse stato per i brogli, la vittoria sarebbe stata di Cory Aquino, la vedova di Ninoy Aquino, ucciso da sicari di Marcos nel 1983. Dopo neanche un mese Cory l’ebbe vinta e il cardinale Sin annunciò: ”Il popolo ha vinto”. Con gioia, sempre cantando inni sacri, la notte del 25 febbraio, dopo che Marcos e sua moglie Imelda abbandonarono in elicottero il Malacanang, la loro Città Proibita, una folla di migliaia di persone si riversò nelle sale della residenza presidenziale, fino agli appartamenti privati dei Marcos, senza saccheggiare, senza compiere atti vandalici. Molti sostengono che la rivoluzione mariana del Cardinale Sin ha ispirato altri sollevamenti popolari negli anni Ottanta, in Corea, in Birmania, a Tiananmen, nell’Europa dell’Est, compresa la Rivoluzione di velluto di Praga. Difficile dirlo, comunque il popolo filippino ha dovuto sollevarsi un’altra volta, nel gennaio del 2001, per cacciare il presidente Estrada, il corrotto buffone ex attore di film di serie C dalle dieci mogli e dai cinquanta figli. E anche questa volta fu il cardinale Sin a chiamare a raccolta migliaia di persone sempre nella Avenida Epifanio de Los Santos. Estrada fu costretto, a suon di Ave Maria e di crocefissi, a dimettersi. Ha detto [...] il cardinale Sin: ”So che in Occidente possono non capirmi, magari condannarmi, ma non sanno cosa significhi vivere in un Paese sottosviluppato dove chiesa e popolo devono lottare uniti. Non possiamo parlare di salvezza eterna al nostro gregge ed essere ciechi di fronte alla realtà che nega loro qualsiasi salvezza su questa terra”» (Renata Pisu, ”la Repubblica” 22/6/2005).«[...] Personaggio carismatico, conservatore ma insofferente verso gli abusi del potere, Jaime Lachica Sin ha simboleggiato per lungo tempo la capacità di reazione del popolo filippino e la sua fedeltà a un cattolicesimo vivace, assediato da lusinghe e costrizioni, maggioritario nel Paese ma assolutamente minoritario nel contesto asiatico. Una personalità poliedrica, quella del [...] cardinale, nato in una numerosissima famiglia di origine cinese, arcivescovo emerito di Manila dal settembre 2003, capace di esprimere grande umorismo e umanità ma anche eccezionale determinazione. ”Ali Baba è scappato, ora restano i quaranta ladroni”: con questa frase nel febbraio 1986 Sin salutava la fuga del dittatore Marcos di cui era stato il più severo critico negli anni bui della Legge marziale (1972-1981), e nello stesso tempo metteva in guardia gli esultanti filippini da un troppo facile entusiasmo. I fatti negli anni successivi, dalla tormentata presidenza di Cory Aquino a quella del protestante Fidel Ramos, alla fine farsesca dell’ex attore Estrada [...] dovevano purtroppo dargli ragione. Anche alla presidente Arroyo, portata al potere da quel People’s Power che riconosceva nell’arcivescovo della capitale un leader indiscusso, Sin aveva fatto sapere sin da subito che non le sarebbe stato riservato un trattamento di favore da parte di una Chiesa che ha sempre avuto il ruolo di coscienza critica della classe politica. [...] L’attivismo sociale o l’opposizione politica non sono certamente stati gli impegni principali di Jaime Sin, ma derivavano naturalmente dal suo ruolo di pastore. Un ruolo iniziato nel 1954, quando divenne sacerdote. Paolo VI lo creò cardinale nel 1976 a 47 anni: allora era il più giovane tra i porporati. Alla guida dell’arcidiocesi di Jaro dal 1972 e di quella di Manila dal 1974, presidente della Conferenza episcopale filippina dal 1977 al 1981, il cardinale Sin ha guidato la Chiesa locale attraverso anni difficili: quelli dell’ansia libertaria e della teologia della liberazione, della repressione della dittatura e della ritrovata libertà con la rivoluzione dei fiori e dei rosari, la prima insurrezione pacifica della storia dell’Asia che doveva essere di esempio non solo a quel continente. Fu con grande orgoglio che nel 1995 accolse per la seconda volta papa Giovanni Paolo II (la prima, ancora sotto la dittatura Marcos, era stata nel 1981) per quella che doveva essere la più affollata manifestazione pubblica della storia cristiana: la Giornata Mondiale dei Giovani celebrata il 15 gennaio nel Rizal Park di Manila davanti a 4 milioni di persone. Intransigente sui temi della dottrina e della morale, si è sempre battuto perché benessere, eguaglianza e rispetto dei diritti umani prendessero piede in una nazione gestita ancora da una èlite appoggiata a settori dell’esercito. Già colpito dalla malattia, nel settembre 2003 si ritirò dalla gravosa responsabilità dell’arcidiocesi, dopo averla divisa in tre diverse circoscrizioni ecclesiastiche, non senza aver lasciato nella cerimonia di saluto quello che a molti è sembrato un testamento spirituale: ”Il mio dovere è di porre Cristo nella politica. La politica senza Cristo è la più grande punizione per la nostra nazione”. Comunque vadano le cose nelle Filippine dei potenti e dei miserabili, della fuga nell’emigrazione e dell’inesauribile determinazione della società civile, di una Chiesa non sempre univoca, sarà difficile dimenticarlo» (Stefano Vecchia, ”Avvenire” 22/6/2005).