Varie, 13 settembre 2004
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NAVARRO VALLS Joaquin Cartagena (Spagna) 16 novembre 1936. Medico, è stato direttore della Sala stampa vaticana dal 1984 al 2006 ma soprattutto la ”voce” del pontificato di Karol Wojtyla • «In Vaticano, ha sempre fatto rima con mistero
NAVARRO VALLS Joaquin Cartagena (Spagna) 16 novembre 1936. Medico, è stato direttore della Sala stampa vaticana dal 1984 al 2006 ma soprattutto la ”voce” del pontificato di Karol Wojtyla • «In Vaticano, ha sempre fatto rima con mistero. E qualche volta con bugia. Anche il suo passato è avvolto da ombre. Per anni ha lasciato correre e scrivere l’idea che in gioventù avesse fatto il torero. Per smentirla ha aspettato il 1994: ”Mai mi sono trovato davanti a un toro”. In compenso ha sempre ammesso di appartenere all’Opus Dei, come membro numerario, con voto di castità. [...] Ha cominciato facendo studi di medicina, con predilezione per la psicologia: ”Sono medico e ho lavorato per 14 anni come assistente”. Poi è passato al giornalismo. Nel 1971 ha scritto un saggio sulla ”manipolazione pubblicitaria”. Nel 1977 è diventato corrispondente da Roma del quotidiano ”Abc”. Niente di memorabile. Ma il clan dei giornalisti stranieri lo elesse presidente della stampa estera in Italia. Finché nel dicembre del 1984, con squilli di fanfara, traslocò in Vaticano a capo della sala stampa. Il suo primo atto di governo, subito dopo le feste natalizie, fu di cancellare l’inviato della ”Repubblica”, Domenico Del Rio, dalla lista dei giornalisti ammessi a seguire Giovanni Paolo II nel suo successivo viaggio in America latina. La colpa di Del Rio era d’aver intervistato teologi e storici che avevano espresso critiche al papa. Al suo posto, Navarro imbarcò sull’aereo un giornalista dell’Opus Dei, Alberto Michelini. Con i giornalisti che lo pungono Navarro è vendicativo. Nel settembre del 1988, durante un viaggio africano del papa, sul bordo della piscina dell’hotel Sheraton di Harare raccontò a un gruppo di inviati al seguito una fila di indiscrezioni sui passi della diplomazia vaticana in Mozambico, Angola e Sudafrica. L’indomani le notizie erano sui giornali di tutto il mondo, tranne su quelli dei giornalisti che invece di starsene nell’hotel avevano seguito il papa in una faticosa trasferta. Ne venne un pandemonio. Anche la segreteria di Stato vaticana s’infuriò. Navarro, impassibile, ricomparve negando d’aver detto quelle cose. Lo negò anche a chi gli mostrava la cassetta registrata con le sue parole (alcune frasi le aveva persino trasmesse la radio italiana). E dal successivo volo papale lasciò a terra per punizione Tullio Meli, l’inviato del ”Giornale” che aveva raccontato la vicenda ai lettori. Navarro vanta la sua prossimità al papa. Ma qualche volta gli fa dei danni. Nel 1989, a Bratislava, Giovanni Paolo II ce la mise tutta a dar risalto alle sue idee sull’Europa cristiana e all’annuncio di un sinodo paneuropeo. Ma il giorno dopo i giornali titolarono su tutt’altro: su Cuba. Perché a Navarro era venuto in mente di confidare ad alcuni giornalisti, come fosse uno scoop, che il papa sarebbe ”presto” andato da Fidel Castro. In realtà il papa a Cuba ci sarebbe arrivato nove anni dopo. I vaticanologi hanno imparato da un pezzo a non fidarsi delle sue verità. Tra Natale e Capodanno del 1990, mentre gli Stati Uniti bombardavano Panama e il dittatore Manuel Noriega era rifugiato nella nunziatura vaticana, Navarro produceva quasi ogni giorno bollettini di fuoco contro gli yankee. Poi tutto finì con il nunzio che consegnò Noriega agli americani. Se il compito del portavoce vaticano era stato di far da cortina fumogena, c’era riuscito bene. Navarro è l’immaginazione al potere. Il record, sinora imbattuto, lo stabilì nel febbraio del 1996 sull’aereo papale in volo tra Città del Guatemala e Caracas. Comparve tra i giornalisti e disse che la mattina stessa, nella nunziatura del Guatemala, Giovanni Paolo II aveva incontrato privatamente Rigoberta Menchú, premio Nobel per la pace ed eroina dei diritti umani. Riferì anche alcune battute del colloquio tra i due. Dopo di che sparì dietro la tenda invalicabile che sull’aereo separa le file dei giornalisti dalle poltrone del papa e della corte vaticana. Lasciando cadere nel vuoto la domanda di una giornalista spagnola, Paloma Gomez Borrero: ”Come era vestita la Menchú?”. Ma la Gomez non si arrese. Quando poco dopo vide sbucare dalla tenda Arturo Mari, il fotografo pontificio ufficiale, rifece la domanda a lui. Mari restò interdetto. Lui che aveva fotografato tutti gli interlocutori del papa, la Menchú proprio non l’aveva vista. Ripiegò confuso dietro la tendina. Con i giornalisti in subbuglio. E le guardie del papa in allerta, a presidiare il confine. Un paio d’ore dopo, per sedare la protesta, Navarro dovette mandar fuori il suo vice, Victor van Brantegem. Che confessò: ” stato un malinteso. L’incontro non c’è stato”. Non fosse stato per la curiosità di Paloma, Navarro l’avrebbe data da bere a tutti quanti. Eppure il papa sembra contento di questo suo portavoce. Che sa improvvisarsi anche cronista sportivo. Insuperabile la vacanza del 1994 di Giovanni Paolo II in Val d’Aosta. I bollettini giornalieri di Navarro erano trionfali: ”Ieri il papa ha fatto la sua più lunga escursione dopo l’operazione al femore. uscito alle 10 ed è rientrato dopo le 17”. ”Oggi ha raggiunto quota 2.480 metri”. Peccato che quando il papa ricomparve in pubblico era la sofferenza in persona, il suo camminare un tormento. Sulla salute del papa, Navarro si riscopre medico. E non tollera concorrenti. Il medico pontificio ufficiale, Renato Buzzonetti, è la sua bestia nera. Che Navarro gli abbia dichiarato guerra lo capì nel 1987 lo scrittore inglese John Cornwell, fratello del celebre autore di gialli John Le Carré. A lui il Vaticano aveva affidato il compito di ricostruire la vera storia della morte di papa Albino Luciani. Ne uscì il libro Un ladro nella notte, edito in Italia da Pironti. Il Navarro ritratto da Cornwell è un uomo inaccessibile, nel cui ufficio ”regna un forte odore di antisettici, da ricordare una sala operatoria”. Come dottore, Navarro ha fatto il suo colpo grosso il 7 settembre 1996. Mentre il papa era in Ungheria, a Györ, e predicava le sue cose, lui invase i media di tutto il mondo con dichiarazioni sul suo stato di salute. Per la prima volta ammise che Giovanni Paolo II soffre di disturbi ”di natura extrapiramidale”, che è come dire del morbo di Parkinson. Ma disse anche che il papa era preda di ”un virus sconosciuto” all’intestino. Apriti cielo. Quattro giorni dopo Buzzonetti e i veri medici che hanno in cura il papa lo smentirono: niente virus, semplice appendicite. Navarro fu a un passo dall’essere licenziato. Ma lui va raccontando che la frottola del virus l’ha detta a fin di bene: ”Per dare la sveglia a chi aveva in cura il papa”. Le inventa tutte [...]» (Sandro Magister, ”L’Espresso” 21/5/1998). «Facile dire che Navarro è lo spin doctor di Sua Santità, una specie di Alaistar Campbell col fascino dell’ex torero (ma pare che non abbia mai affrontato un toro) in grado di proiettare a piacimento l’icona di Karol Wojtyla come gli esperti fanno con Blair o Bush. Il paragone non regge. Perché se Tony o George siedono con i loro consiglieri per studiare ogni mossa, Joaquín Navarro quando ereditò venti anni fa la direzione di una placida sala stampa della Santa Sede, dovette muoversi in punta di piedi per non urtare suscettibilità, vincoli e potenti superiori. Con il Papa non ci si siede a progettare strategie di comunicazione, non si costruiscono battute, non si concorda il look. Il primo che si sogna di fare da suggeritore finisce muto nella buca. Dunque il lavoro da fare (e fu fatto) era un altro. Trasformare il ruolo di portavoce nell’estensione automatica, flessibile, moltiplicatrice delle improvvisazioni di Wojtyla, dei suoi gesti fulminei, dei segni profetici del suo pontificato. Significa anche accentrare. Se all’inizio del suo incarico le notizie su Papa e Vaticano, prodotte dalla sala stampa pontificia, erano solo il 20 per cento già dieci anni dopo erano arrivate all’83 per cento. Così Navarro è diventato l’uomo delle luci del grande spettacolo papale, ha assecondato intuitivamente (e con estrema cura professionale) l’ansia di comunicazione del pontefice nato attore. Non era scontato. Si fa presto a credere che con un maestro della comunicazione come Giovanni Paolo II fosse facile imporre la sua immagine al mondo. Di papi e Vaticano erano abituati a occuparsi regolarmente soltanto i giornali e la tv italiana e qualche esperto dell´informazione religiosa europea. Per i grandi network, internazionali, specialmente americani, il Papa di Roma era unicamente materia di grandi eventi, in un oceano di disinteresse quotidiano. Il colpo da maestro di Joaquin è stato di capire che nell’era della globalizzazione è vincente la tv e quindi bisognava impadronirsi psicologicamente dei network. Suadente come un gesuita del Seicento con il proprio monarca, il portavoce ha nutrito network e media di un flusso continuo di notizie, aneddoti, interpretazioni, si potrebbe persino dire di titoli, in certi casi. Alternando sapientemente l’esegesi dei testi con il più prudente ”penso che il Papa” o con la propria visione suggerita off record. Così le televisioni sono diventate via privilegiata di questa strategia. In tv i concetti sono brevi, l’emozione esaltata. La gloria prevale sulla critica. Certo, il timing deve essere impeccabile e comprende il rischio calcolato di assumersi responsabilità personali come quando a Budapest nel 1996 ammise quasi en passant il Parkinson del Papa, presentandolo come ”sindrome extrapiramidale” o quando in Kazakhstan nel 2001 legittimò tramite l’intervista un po’ clandestina alla Reuters l’attacco di Bush ai taliban in Afghanistan. A tratti il meccanismo s’inceppa. Partendo dal Guatemala, raccontò una volta in aereo l’incontro intenso tra Giovanni Paolo II e Rigoberta Manchù. Peccato che la grande donna non fosse stata ammessa all’udienza. In cambio Navarro è riuscito a incantare anche il comandante Fidel. Nel 1998, in un´interminabile seduta notturna all’Avana, lo convinse a permettere la diretta televisiva del viaggio papale. Cominciarono a parlare di preti e finirono a discettare sugli extraterrestri. La prima svolta avviene nel 1971. Navarro-Valls, che pubblica a Barcellona un saggio intitolato La manipulacion publicitaria: una antropologia del consumo, decide di prendersi un anno sabbatico. Viene a Roma e un gene clandestino si mette al lavoro nel suo Dna. Comincia a scrivere dall’Italia, per ”Abc”, un quotidiano liberale, finché la direzione del giornale non lo interpella: diventerebbe il nostro corrispondente? un’avventura interessante: l’Italia degli anni di piombo, il Medio Oriente, la guerra del Kippur, la restituzione del Sinai all’Egitto, ”ma soprattutto la possibilità di un’immersione profonda nelle culture, l´Islam, l’ebraismo, l’ortodossia greca”. Corrispondente dal Mediterraneo sud-orientale, presidente dell’Associazione della stampa estera. E a questo punto la storia affonda lietamente nel mito. Perché Navarro-Valls è un meraviglioso catalizzatore di leggende. Hanno scritto di lui che in gioventù ha fatto addirittura il torero, anche se lui smentisce con la sua bella risata, evocando testimonianze risolutive: ”No, il matador, mai!”. Non le crea, le leggende, lascia che sia l’interlocutore a completare il non detto. ”Ero a una conferenza stampa dell’Avvocato Agnelli, quando squilla un telefono: è un invito che non si può declinare e che conduce a un quesito. Cioè come si potrebbe riorganizzare la comunicazione della Santa Sede”. Il Vaticano, spiega Navarro, nei primi anni di pontificato wojtyliano aveva subito gli effetti nefasti dello scandalo Ior: una vicenda che aveva indotto i vertici della Chiesa a pensare che occorresse qualcosa di nuovo, una struttura capace di interagire con duttilità con il mondo dei media. ”Non abbiate paura”. Così arriva la seconda chiamata. ”Venga con noi”. Uno shock intellettuale. E una scelta di vita radicale. ”Il primo incontro con il Papa era stato nell´anno dell’elezione, il 1978; mi aveva molto colpito il suo essere portatore di un pensiero nuovo. Quel ”non abbiate paura’ che significava il desiderio sincero di misurarsi con il mondo, con la modernità”. Evidentemente, il ”non abbiate paura” valeva anche per lui, che stava per inventarsi un mestiere quanto meno difficile. ”Quando ho cominciato, occorreva soprattutto creare una mentalità. Non si trattava più di utilizzare i media, strumentalizzandoli. E nemmeno di ridurre al minimo la possibilità di danni provocati dall’attenzione particolarissima della stampa. Era venuto il momento di partecipare integralmente alla dialettica mediatica”. Significava accettare ”un linguaggio, una semantica, le regole intrinseche al mestiere”. La sua fortuna, dice Navarro-Valls, è stata trovare un Papa che veniva dalla Polonia, da un contesto senza opinione pubblica, ”perché ciò che veniva pubblicato non veniva creduto”; e che quindi ha concepito quasi come un dovere scrivere libri e sottomettersi al giudizio della critica. E, naturalmente, offrire se stesso ai media, come simbolo e come persona. A quel tempo Wojtyla non aveva ancora esplicato il suo ruolo globale. Andando a ritroso, Navarro-Valls sostiene che il Papa aveva maturato la consapevolezza che il cristianesimo doveva affrontare due ingenti sfide culturali: ”il marxismo, ossia una pratica senza più teoria, e lo strutturalismo, una insidiosa teoria senza pratica”. Sotto questa luce, la sintesi di Wojtyla è stata originale: ”Quello che apparve sulla scena europea e mondiale era un intellettuale molteplice per cultura: polacco nella poesia e nella storia; tedesco in filosofia, conoscitore di Husserl, Scheler, Heidegger, ma anche attento alla Francia, fino all’Essere e il nulla di Sartre”. Un racconto emozionante. Si emoziona, Navarro, quando descrive il pontefice intellettuale: ”[...] ho avuto il privilegio di essere vicino a un uomo dotato di straordinaria capacità di pensiero astratto, e allo stesso tempo di una impensabile capacità di tenerezza umana. Lo si vedeva da come baciava i bambini, nello sguardo diretto negli occhi, nella stretta delle mani, in quell’empatia che rivelava e ancora oggi, pur nella malattia, illumina il carisma. Giovanni Paolo II è un filosofo e un poeta. E la meraviglia maggiore è che questa stranissima miscela non diventa disarmonica, resta insieme con una sua coerenza?”. [...] Nella condivisione di questi principi, si intuisce da parte di Navarro una consuetudine, qualcosa in più, forse un’amicizia. ”Vedo il Papa quando ce n’è bisogno, di solito a pranzo o a cena. una bella conversazione, perché il Santo Padre ha un grande senso dell’umorismo, una inclinazione per la battuta, ed è dotato di un ottimismo che potremmo definire realista. Per questo non nasconde la malattia, è questo realismo che gli consente di essere ottimista: di vedere il male, ma essendo certo che il male non prevarrà”. Si avverte in Navarro l’ammirazione, quasi lo stupore per l’azione del pontefice, per il suo essere un agitatore di coscienze, di culture, di visioni: ” vero, durante tutti questi anni, ho avuto l’impressione di vedere la storia passare da vicino, soprattutto nella sua dimensione religiosa. una sensazione fortissima, che vale specialmente per i cambiamenti d’epoca, la rivoluzione nei paesi dell’Europa centro-orientale, trecento milioni di persone che vedono rovesciarsi il loro orizzonte. Ma pensiamo anche a Cuba, all’incontro con Fidel Castro, e alla critica al sistema cubano pronunciata con fermezza, con Fidel che ha ascoltato”. Oppure si può ripercorrere con la memoria una vicenda che supera deliberatamente i confini geografici, politici, religiosi: ”Nel mio ricordo c’è un Papa che va due volte all’Onu. Che è stato il primo pontefice a entrare in una moschea, a Damasco. Il primo che si reca in una sinagoga, a Roma. Una personalità che non ha mai, mai rinunciato al dialogo con l´Islam, visitando paesi ”difficili’ come l´Indonesia e il Sudan. Perché Wojtyla ha sempre manifestato un´opposizione chiara alla guerra di civiltà, e a tutto ciò che interpreta l’Islam nel segno dell´inimicizia”. Non è stato soltanto un portavoce, Navarro-Valls. Nelle conferenze internazionali sulla popolazione e lo sviluppo, tenutesi fra il 1994 e il 1995 al Cairo, a Pechino e a Copenaghen, si è assunto il compito di rendere pubblico il dissenso esplicito della Chiesa su alcuni punti considerati non negoziabili: ”No all’aborto come diritto umano, e no all’aborto come strumento per il controllo delle nascite. Ebbene, nessuna di queste posizioni è entrata negli statements di quelle conferenze”. In precedenza, nel 1988, era stato con il cardinale Casaroli nell’Unione Sovietica, per il Millennio del cristianesimo, in visita al patriarca ortodosso. In quell’occasione aveva portato a Michail Gorbaciov una lettera del pontefice: ”Fummo ricevuti dall’uomo della perestrojka, che ci disse: ”Dite al Papa che gli risponderò”. Gli rispose sei mesi dopo, con un’altra lettera. [...] Con il Papa parla in italiano. Lo chiama ”Santo Padre” e Wojtyla gli si rivolge chiamandolo ”dottor Navarro”. Talvolta una risata del Papa è bastata per dissolvere le ombre che si addensavano sul portavoce come quando parlò della malattia ”di origine extrapiramidale” del pontefice, rendendo ufficiale la diagnosi del morbo di Parkinson. Ci sono stati molti momenti difficili? ”La difficoltà c’è ogni giorno, quando sai che devi far passare un messaggio che non è politico, è di carattere etico, mentre non pochi tendono a tradurlo in politica”. E come si supera questa strettoia? ”Con la coerenza del linguaggio. Con il rigore. Con la verità”. [...] Anche con la freddezza, la padronanza estrema delle situazioni. ”Una sera, sono le 21.30 del 4 maggio 1998, squilla il telefono rosso, quello delle crisi gravissime. Ci sono tre cadaveri in Vaticano. la tragica notte delle guardie svizzere (il comandante Alois Estermann ucciso in Vaticano con la moglie Gladys dal suo sottoposto Cedric Tornay, poi suicidatosi, ndr). Qualcuno mi dice: ”Dobbiamo pensare a qualcosa da dire domani’. Domani? Subito, ribatto io. Poco dopo facevamo il primo comunicato. Avevo fatto gli accertamenti necessari. Uno scoppio di follia. Ma per la stampa contavano i particolari. I corpi erano nudi o no? Erano vestiti. Mi hanno chiesto se era stata esaminata la pista del delitto a sfondo omosessuale, e ho risposto che era stata considerata e poi esclusa. La verità spazza via le ombre”. Dire tutto è una delle risorse più raffinate di Navarro-Valls. Dire tutto significa dare la notizia che ”il Papa ha un tumore al colon, va a ricoverarsi e verrà operato domattina alle sei”. Oppure: ”Il pontefice è caduto nel bagno e si è fratturato il femore”, per poi mostrare in sala stampa la radiografia della protesi. Dire tutto è una tecnica sofisticata. Soprattutto se talvolta dire tutto equivale a non svelare niente. Difatti ride quando gli si dice che in un paese di furbacchioni a dire la verità si passa per furbi matricolati. Ed è per questo che guarda la politica di casa nostra con la curiosità e talvolta l’ammirazione di chi invidia la flessibilità italiana: ”Noi spagnoli vediamo tutto in bianco e nero. Voi, una infinita sfumatura di grigi”. La giornata di Navarro-Valls comincia con la lettura dei giornali italiani, come confessa con civetteria, come per farsi assolvere da un peccato veniale. Finisce di solito con l’impegno delle cene nella Roma serale e salottiera: altra veloce autoassoluzione. Seppur di rado riesce a ritagliarsi una giornata libera, e allora scappa in Abruzzo, gode della solitudine dei monti, si addormenta leggendo un libro di medicina, la vecchia passione. Altrimenti, se ha solo qualche ora di libertà? Navarro ammicca, si alza e tira fuori il suo peccato mortale, una foto su Prima Comunicazione, in cui si dice della sua passione per la pagaia: ” tutto sbagliato, a cominciare dal titolo, ”In canoa sul Tevere’. Non è una canoa e non è il Tevere. un kayak; se c’è vento vado sui laghi qui vicino, altrimenti vado in mare. Tre ore di pagaia e sono esausto al punto giusto per ricominciare a lavorare [...] Quando sono arrivato, solo il 20 per cento delle notizie pubblicate era di fonte vaticana; l’80 proveniva da fonti altre. Adesso il rapporto si è rovesciato”. Vuol dire che la ”sua” comunicazione è attendibile. E quando questo impegno finirà? In passato si parlò di un ruolo come osservatore permanente della Santa Sede all’Onu. Adesso invece si scommette sul suo futuro come rettore del Campus biomedico, il polo universitario dell’Opus Dei che farà inevitabilmente concorrenza all´’Università cattolica: ”Non ci penso nemmeno. Ho imparato che il modo migliore per preparare il futuro è vivere alla giornata. Beato l’uomo perché non conosce il suo destino”» (Edmondo Berselli, Marco Politi, ”la Repubblica” 12/12/2004).