13 settembre 2004
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Natta Alessandro
• Nato a Imperia il 7 gennaio 1918, morto a Imperia il 23 maggio 2001. Politico. «Deputato dal ’48, membro della direzione del Pci dal ’62, così sobrio e schivo, divenne noto a un pubblico più vasto quando gli occorse di fungere da inquisitore, nel ’69, nel processo intentato dal Pci agli eretici del ”Manifesto”. Questa parte non gli piacque, anche se la sostenne senza alcun visibile tentennamento. Non gradì che qualcuno, nella circostanza, gli avesse affibbiato l’appellativo di Dottor Sottile, fin lì riservato a Umberto Terracini. Celiando, ma non troppo, sostenne che era stata Madre Natura, facendolo così mingherlino, a costringerlo al cavillo ideologico: fosse stato per lui, avrebbe preferito disporre del fisico robusto e dell’altrettanto robusta eloquenza di un omone come il sindacalista torinese Emilio Pugno. Sempre per via di Madre Natura, fu chiamato, non sempre scherzosamente, Capannelle, come il vecchietto sempre affamato dei Soliti Ignoti. Ci rise sopra. Visse la sua vita politica a Botteghe Oscure e a Montecitorio. Fu, tra l’altro, capogruppo dei deputati comunisti e collaboratore strettissimo di Enrico Berlinguer. Quando Berlinguer morì, nel 1984, aveva già avviato le procedure per farsi (relativamente) da parte. Forse aveva intuito che il tempo suo e della sua generazione stava finendo, di certo non gli piaceva il mondo nuovo che si stava profilando. Gli homines togliattiani lo risospinsero quasi a forza sul proscenio, facendolo segretario. Accettò senza entusiasmi, anche se, non essendo democristiano, non tirò fuori lo spirito di servizio. La sua segreteria, che voleva essere di transizione, coincise con l’inarrestabile declino del Pci: un berlinguerismo senza Berlinguer era impossibile, un ritorno a Togliatti pure. Alle sue spalle premevano le generazioni più giovani, guidate dal meno giovane Achille Occhetto, che lui stesso aveva voluto vicesegretario, in nome del rinnovamento e magari anche della continuità. Nel giugno del 1988 fu colpito da un infarto, peraltro lieve, che diede il là al cambiamento. Nella lettera d’addio, scrisse che si faceva da parte per ”senso del dovere”, e chiese che potesse valere anche per lui ”la norma dei francescani, tra i quali il priore che ha compiuto il suo mandato torna a essere un semplice frate”. La cosa, già difficile, divenne impossibile nel novembre dell’89, quando, assieme al Muro di Berlino, venne giù anche il convento. Della svolta di Occhetto, fu fierissimo avversario: nel ’91 non aderì al Pds, si dimise da deputato e se ne andò a Oneglia. Forse, più ancora della svolta e delle sue ”cialtronerie”, detestò, nessuno escluso, gli ”svoltisti”, le cui prese di distanza dalla storia del Pci gli provocarono ”fastidio e disdegno”» (Paolo Franchi, ”Corriere della Sera” 24/5/2001).