Varie, 12 settembre 2004
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SANDERS Deion Fort Myers (Stati Uniti) 9 agosto 1967. Giocatore di football. Venne scelto come n. 5 nel draft dell ”89 dagli Atlanta Falcons, con cui è rimasto fino al ”93
SANDERS Deion Fort Myers (Stati Uniti) 9 agosto 1967. Giocatore di football. Venne scelto come n. 5 nel draft dell ”89 dagli Atlanta Falcons, con cui è rimasto fino al ”93. Nel ”94 ha giocato con i 49ers, dal ”95 al ”99 con i Cowboys e nel 2000 con i Redskins. Contemporaneamente ha giocato a baseball: dall’89 al ”90 per gli Yankees, tra il ”91 e il ”93 per Atlanta, nel ”94 per Reds e Braves, nel ”95 per Giants e Reds e nel ”97 e 2001 ancora con i Reds. «’Neon” oppure ”Prime Time”. Tradotto: sei come le luci di Las Vegas e Times Square o un programma da Prima Serata. I due soprannomi di Deion Sanders sono azzeccatissimi: eccentrico, spettacolare, stravagante, originale. Ma, assicurano gli amici più intimi, solo quando intorno a lui si accendono le telecamere della tv. Altrimenti Neon si spegne e diventa taciturno, premuroso, quasi un introverso. [...] stato uno dei migliori, anzi un campione. Non solo, il suo nome è passato alla storia per via delle sue due occupazioni: giocava a football e baseball contemporaneamente nella stessa stagione, cosa riuscita solo a un pugno di giocatori nella storia, ultimo dei quali in anni recenti Bo Jackson. Ed è stato l’unico a riuscire a giocare (e vincere) in un Super Bowl (con i San Francisco 49ers nel 1994 e con i Dallas Cowboys nel 1995) e nelle World Series (Atlanta Braves nel 1992). Uno dei più grandi giocatori di football, soprattutto nel ruolo di cornerback, con il compito cioè di marcare il ricevitore avversario; solo bravino, invece, nel baseball. Racconta Deion: ”Il football mi viene molto più naturale: posso alzarmi dal letto, mettermi in tenuta da gioco e disputare una grande partita in qualsiasi momento. L’ho fatto per anni. A baseball invece è un po’ più complicato: occorrono ore e ore di allenamento”. Da aprile a settembre giocava a baseball, poi cambiava sport, attrezzatura, squadra e diventava uno dei più rapidi ed efficaci giocatori di football. Fuori dal campo si metteva al collo grandi catenoni d’oro incastonati di brillanti con la scritta Neon o Prime Time, si fasciava in vestiti da domatore di cavalli e dava spettacolo. Gli piacevano le donne e soprattutto stupire. Come l’11 ottobre del 1992, il giorno in cui decise di sbalordire l’America. Giocò a football con gli Atlanta Falcons contro i Miami Dolphins, poi saltò su un charter che lo aspettava all’aeroporto e volò fino a Pittsburgh dove con i suoi Atlanta Braves avrebbe dovuto affrontare in una partita di playoff di baseball i locali Pirates. Ma il suo proposito fu mandato all’aria dall’allenatore Bobby Cox che non lo fece mai entrare in campo. Nello spogliatoio Sanders si vendicò facendo un gavettone al tecnico che gli aveva mandato a rotoli i suoi progetti di gloria. Interpretava la vita come si trovasse su una giostra. Ma quando neon e telecamere si spegnevano, Deion Sanders era un uomo solo. Diceva la madre Connie Knight: ”Quando è a casa lontano dai riflettori, Deion è una persona semplice e generosa. Vorrei che la gente potesse conoscerlo meglio”. La giostra si fermò nel maggio del 1997. In preda a una tremenda depressione, Deion lascia una lettera di addio al suo manager Eugene Parker in cui gli rivela il proposito di suicidarsi. Sale sulla sua Mercedes, imbocca una highway al confine fra Ohio e Kentucky e a un certo punto sterza vigorosamente uscendo di strada. La macchina capotta più volte (ne resterà solo un rottame), ma Deion esce dall’incidente miracolosamente illeso. Interpreta l’accaduto a modo suo, come sempre: pensa a una rivelazione divina e da quel momento cambia binario. Diventa religioso, filantropo e cerca sempre di aiutare gli altri. Quell’episodio però rimane segreto per qualche anno, fino a quando Sanders, ormai fortificatosi interiormente, decide di svelare tutto in un’intervista sulla Fox: in prime time, ovviamente. Disse: ”Hai un sacco di donne e non sei felice. Ti puoi permettere abiti alla moda e non sei contento. Puoi avere tutto quello che vuoi, ma niente ti soddisfa”. Lo aveva appena lasciato la moglie. E il padre, che se n’era andato di casa quando Deion era ancora molto piccolo, era morto da poco per un tumore al cervello. A luci spente non riusciva proprio a stare e dal tunnel buio che aveva imboccato non vedeva vie d’uscita. Così dopo il tentato suicidio, grazie alla religione, riaccende di nuovo il Neon: questa volta però dall’interno della sua anima. E la luce finalmente la trova dentro di sé. Va avanti a giocare per alcuni anni, poi nel 2000, dopo un ultimo tentativo con i Washington Redskins, la sua quarta squadra di football, appende casco e armatura al chiodo. Si concede l’anno dopo un’altra chance nel baseball, dopo che aveva già abbandonato i diamanti nel ”97. Per giustificare il rientro la mise ancora sul religioso: ” Dio che me l’ha chiesto”. Poi il ritiro definitivo anche dal batti e corri. [...] ”Smisi perché non avevo più il fuoco dentro, mi infortunavo spesso. per questo che decisi di lasciar perdere”. Ma le telecamere continuano a riprenderlo, questa volta nei panni di telecronista: la sua verve e le sue battute rilanciano gli indici del football. Sanders piace anche come commentatore. Ma [...] dopo aver chiesto un aumento alla Cbs viene messo alla porta. Forse anche per questo comincia a riflettere sulla possibilità di tornare a giocare. Smettere era stato devastante. Era sui campi dal liceo, dove era nata la leggenda della sua poliedricità: football, baseball e basket. Sì, anche il basket. Anzi, Prime Time era nato proprio sotto a un canestro: un giorno in cui sommerse la squadra avversaria di schiacciate. Racconta il suo allenatore di allora, Ron Hoover: ”Deion passava le giornate a giocare a tutto perché così se ne stava lontano dai pericoli e dalla violenza delle strade. E dovevate vederlo in pista, nei 100 era velocissimo”. [...]» (Massimo Lopes Pegna, ”La Gazzetta dello Sport” 10/9/2004).