Rossella Sleiter, "Il Venerdì" 10/9/2004, pagina 79., 10 settembre 2004
Salvador Dalì arrivò diciottenne a Madrid nel settembre del 1922, tre anni dopo il poeta Federico Garcia Lorca
Salvador Dalì arrivò diciottenne a Madrid nel settembre del 1922, tre anni dopo il poeta Federico Garcia Lorca. Orfano di madre, timido, capelli lunghi, basette pronunciate (lo chiamavano "senor Patilla", signor basette), un metro e 72 di altezza, non aveva muscoli, non praticava sport, non frequentava donne. A Federico sembrò che quel ragazzo magro, solito accentuare il nero dei capelli con la brillantina e la lacca da pittore, dalla brutta calligrafia, lo sguardo sottolineato a matita come Rodolfo Valentino e la voce bassa, pastosa come un’oliva matura, fosse fatto su musira per lui e se ne innamorò. Dalì s’aggirava per la città con un cappello di feltro a larghe tese, una mantella lunga fino a terra e le gambe, dal ginocchio in giù, bendate come gli zampognari. Lui lo trovava attraente, ma la gente per strada gli rideva dietro. Tra il ’25 e il ’27 si videro spesso, ma la loro amicizia per il poeta fu un amore tormentato e appassionato. Tentò due volte di violentarlo. Poi, a Barcellona per la prima di ”Yerma” (1935), uno dei suoi più famosi drammi, cofessò a un giornalista: "Siamo spiriti gemelli. Qui c’è la prova: sette anni senza vederci e abbiamo coinciso in tutto come se fossimo stati in contatto quotidianamente". Nel 1925 gli aveva dedicato l’Ode Didactica, esaltandone la voce, l’animo, l’anelito di esattezza e di ordine, e il suo "amor a lo que tiene explication posible", a quello che è razionale. Secondo il comune amico Bunuel, Dalì "asessuato, fu poi sverginato da Gala" moglie di Paul Eluard e "unica donna della sua vita".