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 2004  settembre 09 Giovedì calendario

MENDINI

MENDINI Alessandro Milano 16 agosto 1931. Designer. Acceso sostenitore del ”design amoroso”, in antitesi con le correnti funzionaliste, si contraddistingue per la sua apertura al mondo giovanile e per l’impegno culturale (’Specchio” 4/5/1996) • Con lo studio Alchimia è stato un guru del postmoderno negli anni Ottanta. Nell’89 ha fondato col fratello Francesco l’Atelier Mendini. Direttore di Domus (dal 2010 e già dal 1980 al 1985), ha diretto anche ”Casabella”, è stato art director di Swatch. Tra la sue opere-manifesto, la ”Poltrona di Proust” e, in architettura, il Museo di Groningen. Lavora molto in Estremo Oriente (’L’Espresso” 30/11/2000) • «’Senza fine, senza valore, senza metodo, senza idee, senza vita, senza soldi, senza qualità, senza parole, senza affetto, senza violenza, senza odio, senza voglia, senza ricetta, senza spessore, senza sale, senza matita, senza teoria, senza forma, senza pace, senza poesia, senza speranza, senza calore, senza funzione, senza idee [bis], senza novità, senza rumore, senza classe, senza dignità, senza luce, senza energia, senza magia, senza rancore, senza forza, senza cibo, senza arte, senza pensare, senza niente”. Questo, in sintesi, il pensiero di Alessandro Mendini, architetto senza arte né parte, che dobbiamo considerare uno dei geni del nostro tempo. La chiave di volta di questa citazione riportata all’inizio, che possiamo considerare una sorta di lungo ed articolato aforisma concepito da Mendini nel 1987, è l’ironia, o meglio, l’autoironia che permette all’architetto di baloccarsi con la propria creatività come il Bagatto dei tarocchi gioca con i semi delle carte (che poi sono i quattro elementi) posati sul suo tavolo. Basterà pensare, infatti, al Sandro vestito da Arlecchino o al suo Io non sono un architetto. Sono un drago o, ancora, all’Alessandro ”sub-specie” di lampadario, tutti disegnati con l’inseparabile tratto pen, per comprendere come il non prendersi sul serio sia il corollario di un teorema inventivo che per definizione vuole cambiare il punto di vista e riconsiderare le cose del mondo con gli occhi stupiti di un bambino. Altrimenti, a nessuno sarebbe potuto venire in mente di progettare, già nel 1985, il Parco-stella di Hokkaifo, dove vengono anticipate tutte le tendenze contemporanee dei grandi paesaggisti e land-artists di oggi, con un pizzico di fantasia in più e l’idea di catapultarci in un percorso che guarda a Bomarzo e al Parco Guëll di Antoni Gaudí. Già, perché la contaminante voglia di fare di Mendini non si ferma dinanzi a nulla e investe oggetti architettonici d’ogni scala e misura: dal parco, appunto, al Groninger Museum a Groningen (1989-1994), alla fermata Steinto di Hannover realizzata nel 1992 che sembra costruita con il ”Lego”, all’ala Mazzoniana della Stazione termini di Roma, ai mobili, agli orologi per la Swatch (1989 1993), fino alla straordinaria serie di cavatappi di forma antropomorfa per la Alessi (2003 2008) considerati da Mendini una variante sul suo autoritratto. [...] L’antropomorfismo di Mendini [...] è rivolto soprattutto agli oggetti. Scrive l’architetto: ”Se mi siedo per terra ”io sono una sedia’, se cammino io sono un mezzo di trasporto, se canto io sono uno strumento musicale. Il corpo è l’insieme primario di oggetti a disposizione dell’uomo, mentre i soliti utensili sono innaturali estensioni e caricature del corpo, protesi mostruose. Io sono tazza, radio, ombrello, bicicletta, veste, tavolo. La tazza è finta mano, la radio è finta bocca, l’ombrello è finti capelli, la bicicletta è finte gambe, la veste è finti peli, il tavolo finte ginocchia”. Allora perché non restituire agli oggetti la loro originaria forma antropomorfa? Animarli? Non solo cavatappi, ma anche vasi, teiere, scatole metalliche che sono l’autoritratto dell’autore, oggetti per il bagno, ornamenti per il corpo che sveleranno la loro vera funzione e origine, palesandosi per quel che sono: nient’altro che estensioni del corpo. Tuttavia, Mendini non si è lasciato soltanto affascinare dall’idea del fare, ma anche dalle riflessioni teoriche connesse all’arte, al linguaggio al design e all’architettura. Non per nulla è stato direttore di ”Casabella” (1970-1976), come pure di ”Domus” (1980-1985), è stato professore alla Hochschule für Angewandte Kunst di Vienna e via di questo passo, in un percorso, che senza saperlo e certo senza volerlo, assomiglia molto a quello di un genio del rinascimento. Una coincidenza forse casuale, certo banale, come avrebbe detto Mendini che di se stesso scrive: ”Per quanto mi riguarda, non è il progetto che m’interessa: io uso la realtà progettuale non coerentemente al suo proprio fine, mal al fine di svolgere il mio naturale atto vitale che è quello di produrre immagini. La mia vita non ha in sé intenzioni ”di progetto’, non vuole realizzare obiettivi o programmi. Allora il disegno, la parola, l’oggetto, una rivista, un’altra e ancora un’altra rivista, la mostra, la lezione, la poesia, il dipinto, l’istallazione, sono come onde che si frangono sulla spiaggia”. Solo che il mare di Mendini è antropomorfo come gli oggetti che pensa» (Marco Bussagli, ”Avvenire” 5/5/2009).